Ci sono domande alle quali, talvolta, non siamo in grado di rispondere. Per restare in ambito sportivo, ché di questo cerchiamo di occuparci, uno degli interrogativi più ricorrenti quando si cerca di analizzare il rendimento di un atleta nel corso di una competizione riguarda se – e se sì quanto – la prestazione dello stesso è influenzata da quella di chi gareggia con lui.
Naturalmente, le discipline sportive non sono tutte uguali. In alcune di esse, l’atleta (o gli atleti), pur sfidando uno o più avversari, non viene direttamente influenzato dalla prestazione di questo/i (alcuni esempi: nuoto, quasi tutte le gare dell’atletica leggera, sci) ed è quindi abbastanza corretto affermare che sostanzialmente costui sfida se stesso con lo scopo di fare meglio di altri suoi simili che stanno facendo la stessa cosa nello stesso momento. In altre invece, e il tennis rientra tra queste, ciò che fa un giocatore è costantemente condizionato da ciò che fa il suo avversario e viceversa.
Questo piccolo preambolo dovrebbe aiutarci a capire meglio l’argomento che andremo ad affrontare, ovvero la crisi – vera o presunta – di Novak Djokovic. Sconfitto in tre set dall’austriaco Dominic Thiem nei quarti di finale del Roland Garros, il serbo ha dunque concluso la sua personale via crucis involontariamente intrapresa giusto un anno (meno qualche giorno) fa, ovvero all’indomani della vittoria nell’unico slam che mancava al suo palmares e diventando così il terzo uomo nella storia del tennis capace di detenere contemporaneamente i titoli di singolare dei quattro major.
Un anno che sembra un secolo, tale sembra essere la differenza tra quel Djokovic – in realtà giunto a Parigi già in riserva ma ancora in grado di estrarre dal suo (apparentemente) inesauribile serbatoio di energia fisica e psichica le risorse per prendersi la tanto agognata Coppa dei Moschettieri – e quello attuale. Anzi, quello dell’intero ultimo anno.
Ma, ci chiediamo, possono dodici mesi cancellare il passato e indurre a ritenere che l’ex numero 1 sia già arrivato al capolinea della sua carriera? La risposta è fin troppo semplice: no. E nemmeno due o tre stagioni di questo livello potrebbero farlo, anche perché gli esempi recentissimi di Roger Federer e Rafael Nadal sono lì per darci una mano in questo senso. Per dirci cioè che un atleta di 30 anni appena compiuti in grado di stare per 223 settimane in testa al ranking, di disputare 21 finali slam (e vincerne 12), aggiudicarsi 5 ATP Finals e 30 Masters 1000 smetterà veramente di essere un potenziale vincitore di qualsiasi torneo a cui prenderà parte solo quando appenderà la racchetta al chiodo.
Tuttavia, il suo peggiore anno (sia pur anomalo, ovvero composto di due metà stagioni) degli ultimi dieci non può passare inosservato, così come non lo sono le conseguenze che hanno portato Nole a staccarsi prima da Becker poi da Vajda e dunque ad affidarsi ad Agassi mentre già si parla di novità per le prossime settimane.
Quando si cade da molto in alto, lo dice il proverbio, il tonfo fa molto più rumore ma è insito nella natura umana dimenticare in fretta il passato e concentrarsi molto (troppo) sul presente. Pur senza volere negare la realtà (due sole finali giocate nel 2017, di cui una vinta, con un bilancio attuale di 24 vittorie e 7 sconfitte con le eliminazioni piuttosto precoci sia a Melbourne che a Parigi), il cammino del serbo in questi primi sei mesi è stato certamente più brutto sul piano del “come” che su quello del “quanto”. In fondo, la sua attuale percentuale del 77% di vittorie non è tanto distante da quella complessiva dei suoi primi quattro anni da protagonista del circuito (2007-2010) in cui comunque incamerò sedici titoli; mentre il modo in cui certe sconfitte sono maturate, talvolta quasi delle rese incondizionate, ha destato enorme perplessità. Poi, dal 2011, divenne il cannibale che tutti si sono abituati a conoscere ma commetteremmo un grosso errore se pensassimo che il rendimento di Djokovic dell’ultimo lustro abbondante sia la norma.
No, quello è l’eccezione che lui ha trasformato in regola, abituandoci (e abituandosi) ad una visione distorta della realtà. Per non parlare dell’enorme numero di incontri giocati negli ultimi dieci anni: 821. Mentre Murray perdeva finali slam a ripetizione prima di iniziare a vincerne qualcuna, mentre Nadal di tanto in tanto era costretto a fermarsi (e rifiatare), mentre anche Federer accusava un paio di stagioni a dir poco spigolose, lui Nole era sempre lì, in prima linea, spesso con il pettorale n°1, che è quello che tutti vogliono sempre strapparti perché batterti dà un senso a un’intera carriera.
Alla luce di tutto questo, anche se gli ultimi rumors in casa Djokovic sembrano suggerire tutt’altro, uno stop per liberare muscoli e testa dalle tante, troppe tossine accumulate a stare sempre in testa al gruppo, non sarebbe poi così un errore. Defilarsi e lavorare per alzare l’asticella, limare laddove è possibile, perché migliorare si può sempre, come hanno dimostrato Federer e Nadal, tanto per citare di nuovo gli esempi più recenti ed eclatanti.
Infine, per tornare al preambolo di questa lunga divagazione, un altro errore sarebbe pensare che gli avversari attuali di Nole siano tanto migliori di quelli affrontati quando dominava il circuito. Non è certo così. Pur dando il giusto merito ai giovani leoni Zverev e Thiem, siamo convinti che la crisi di Djokovic dipenda molto più da se stesso che dagli avversari. E in fondo, per lui, è meglio sia così. Sapere che, se vuoi, puoi tornare quello che eri è un ottimo punto di partenza. Come tutti i grandissimi del tennis, al serbo manca davvero poco per poter dire di aver vinto tutto: Cincinnati e l’oro olimpico sono gli unici due titoli importanti che gli mancano e sono entrambi ampiamente alla portata. Ma non saranno questi gli obiettivi di una eventuale rinascita, quanto invece il desiderio di tornare ad essere competitivo con i migliori del suo tempo e con quelli che nel frattempo arriveranno.
Pensare che la vicenda di Novak Djokovic sia finita qui sarebbe un altro errore, il più grosso di tutti. Il serbo tornerà e probabilmente sarà più forte di prima.
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Oddio, in realtà pure negli altri sport ti influenza eccome
Forza Nole
Penso che il problema sia procurarsi delle batteria nuove ( leggi un vero coach in campo ) non un “guru”. Se poi oltre questo avesse bisogno proprio di una pausa, credo sia tempo di prendersela.
Forte non più forte di prima… ormai il massimo l’ha già dato… ma mi pare che abbia un alveare che gli ronza in testa
Seeeee