Un anno fa, di questi tempi, Andy Murray era a Rio de Janeiro con un doppio obiettivo: confermare la medaglia d’oro in singolare conquistata quattro anni prima sull’erba di Wimbledon e iniziare la scalata alla prima posizione del ranking mondiale. Naturalmente, solo del primo traguardo era pienamente consapevole in quanto il secondo, all’epoca, era pura immaginazione.
La classifica ATP dell’8 agosto 2016, infatti, vedeva lo scozzese al saldamente al secondo posto ma distanziato di quasi 6000 punti dal leader, Novak Djokovic (10065 punti contro i 16040 del serbo); un divario che Murray avrebbe colmato inanellando una serie di risultati eccezionali, culminati con la vittoria alle ATP Finals di Londra. Le graduatorie in uso all’ATP sono due, diverse tra loro per l’intera stagione fino a divenire identiche al termine della stessa: quella denominata Singles Race tiene conto solo dei risultati ottenuti nell’arco dell’anno solare e all’inizio di ogni stagione tutti ripartono da zero. La sua funzione è quella di assegnare gli otto posti per partecipare alle Finals oltre a fornire rilievi importanti sullo stato di forma dei diversi giocatori.
Per fare un esempio: nella Race ci sono solo 3 posizioni di differenza tra Murray (8) e Querrey (11) mentre nella Singles ce ne sono ben 19 (1 contro 20). La Race, in buona sostanza, è un po’ la cartina al tornasole della stagione in corso mentre l’altra, che ha la funzione di classificare i giocatori per l’ammissione ai diversi tornei e per la successiva assegnazione delle teste di serie, ha un meccanismo più complesso in quanto tiene conto dei risultati ottenuti nelle ultime 52 settimane e quindi ogni settimana il singolo atleta accumula i punti che ha ottenuto ma scarta quelli ottenuti nella stessa settimana dell’anno precedente.
Per aver diritto al titolo di n°1 del mondo, è della Singles che bisogna diventare leader. E da qui in avanti cercheremo di spiegare perché il regno di Murray, invero assai modesto, ha i giorni contati. Nel 2016, dai giochi olimpici in poi (in cui il britannico vinse l’oro ma che non assegnavano punti per il ranking), Andy disputò sette tornei e, dopo la finale persa a Cincinnati con Cilic e la sconfitta nei quarti agli US Open, ne vinse cinque consecutivi (Pechino, Shanghai, Vienna, Bercy e Finals). In tre mesi, dal 15 agosto al 20 novembre, Murray accumulò la bellezza di 5460 punti e, anche approfittando del calo di Djokovic, tolse lo scettro dalle mani del serbo.
Ora però le cambiali sono tutte in scadenza e il boomerang sta tornando indietro. Dopo aver dato forfait a Montreal, il n°1 del mondo ha rinunciato anche al 1000 statunitense di Cincinnati e dunque al termine della prossima settimana, quando gli verranno tolti i 600 punti della finale conquistata nell’Ohio un anno fa, potrebbe essere addirittura relegato al terzo posto. Questo perché attualmente Murray ha un vantaggio di appena 285 punti su Rafael Nadal e di 1205 su Roger Federer ma lo spagnolo ha pochissimo da perdere (90 punti a Cincinnati) e lo svizzero nulla, dato che dopo Wimbledon 2016 non giocò più fino all’anno nuovo.
Il principale candidato alla sua successione è Nadal. Al maiorchino sarà sufficiente vincere le prossime due partite a Montreal per scavalcare il britannico già da lunedì prossimo in quanto l’eventuale semifinale gli porterebbe in dote 360 punti, con i quali salirebbe a quota 7825 punti (contro i 7750 di Murray). Se invece Rafa in Canada dovesse fermarsi prima delle semifinali, Andy rimarrebbe n°1 ma solo fino al 21 agosto, giorno in cui uno tra Nadal e Federer prenderà il suo posto. E questo perché,a a prescindere dai risultati degli altri, a Murray verranno tolti 600 punti e scivolerà dunque a 7150 punti, quota inferiore a quella di Nadal anche se lo spagnolo dovesse perdere oggi in Canada e non giocasse a Cincinnati.
Chi tra Nadal e Federer succederà a Murray lo stabiliranno i risultati che gli stessi riusciranno a fare tra Montreal e Cincinnati. Andando per ipotesi, nemmeno una doppietta garantirebbe a Roger il primato in quanto, in quel caso, a Nadal basterebbero due finali per ritornare leader e rimanerci almeno fino agli US Open. Sarebbe, quest’ultima, una situazione alquanto imbarazzante in quanto sarebbe arduo spiegare a chi non ha molta dimestichezza con i machiavellismi della classifica, come sia possibile che altre due vittorie consecutive di Federer (oltre a tutto quanto l’elvetico ha già fatto in questo 2017) sullo spagnolo metterebbero – prima – e lascerebbero – poi – quest’ultimo in vetta al ranking. Ma non sarebbe la prima volta che la graduatoria non rispecchia fedelmente i valori espressi sul campo e fa storcere il naso a tifosi e addetti ai lavori.
Per riepilogare, mentre Nadal (almeno fino agli US Open) è padrone del suo destino, Federer non potrà contare solo su se stesso anche se quasi certamente tornerà almeno al secondo posto della Singles. Con Djokovic e Wawrinka ai box fino al 2018, l’unico altro ipotetico pretendente al trono potrebbe essere Marin Cilic ma pure il croato (assente a Montreal) stenta a recuperare la miglior condizione e in ogni caso da qui alla fine del 2017 avrà ben 2340 punti da scartare e le sue chance sono davvero ridotte al lumicino. Il testa a testa tra Nadal e Federer durerà presumibilmente fino alle ATP Finals e al momento attuale è difficile ipotizzare chi tra i due chiuderà questo sorprendente 2017 al primo posto.
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Lo sanno tutti da giorni e giorni…dov’e’ la notizia?
Non fermarti al titolo, brontolone 🙂
Raccontate troppe cazzate….siete a rischio eliminazione……
Non è la prima volta che ti rivolgi a noi con termini sgarbati e ben poco costruttivi: non leggerci e facciamo prima.
Meritate di essere trattati cosi. Senza pieta’.
:-*