Era il 6 luglio 2014 quando Rafael Nadal perse la prima posizione della classifica mondiale a vantaggio del serbo Novak Djokovic. Dopo aver vinto il Roland Garros, infatti, lo spagnolo, pesantemente condizionato da un infortunio al ginocchio, era sprofondato in una crisi di gioco e di risultati che lo ha tenuto lontano dalle posizioni più nobili della classifica per più di 1000 giorni.
Tre anni dopo Nadal si trova, da numero uno e da super favorito, in finale all’Open degli Stati Uniti d’America per la quarta volta in carriera. Come è stata possibile questa sensazionale rinascita? E da dove è cominciata?
Se l’estate del 2014 ha rappresentato un duro colpo per il fisico e per la mente del fuoriclasse di Manacor, non c’è dubbio che i due momenti più bui di questo triennio sfortunato siano stati la primavera del 2015 e il secondo semestre del 2016.
A fine Roland Garros 2015, edizione in cui Nadal perse ai quarti di finale contro il futuro finalista Djokovic, infatti, lo spagnolo è scivolato al decimo posto della classifica mondiale (il peggior piazzamento dall’aprile del 2005), segno eloquente di una stagione completamente da dimenticare, in cui Rafa è stato in grado di raccogliere sì tre vittorie, ma dal prestigio decisamente ridotto (ATP 250 Buenos Aires, ATP 250 Stoccarda e ATP 500 Amburgo).
Nel 2016, invece, dopo aver giocato una prima parte di stagione appena sufficiente, il cui unico acuto è rappresentato dalla vittoria del Master 1000 di Montecarlo, un problema al polso sinistro, accusato durante il Roland Garros, lo costringe al ritiro dallo Slam parigino; le successive difficoltà, sia in termini di gioco che di risultati, lo spingono di nuovo ai confini della top 10, fermandosi al nono posto del ranking il 21 novembre 2016.
Nadal, quindi, deve la riconquista del primato del tennis mondiale solamente ai risultati ottenuti quest’anno, un dato che permette di comprendere ancora meglio l’incredibile rullino di marcia tenuto dal Rafa versione 2017.
All’inizio dell’anno i dubbi sulla condizione del maiorchino sono molti ed effettivamente l’inizio non è dei migliori; Nadal, infatti, nel primo torneo della stagione, a Brisbane, perde ai quarti di finale contro il canadese Milos Raonic, alimentando così le voci di critici e scettici.
All’Australian Open, tuttavia, la musica cambia; dopo un inizio faticoso Nadal riesce a trovare la condizione migliore e l’attitudine alla lotta e alla sofferenza che l’ha sempre contraddistinto: lo spagnolo recupera uno svantaggio di 2 set a 1 al giovane e talentuoso Alexander Zverev, in semifinale sconfigge, dopo una battaglia di 5 set, il bulgaro Grigor Dimitrov ed è costretto ad arrendersi ad uno straordinario Federer solamente in finale.
La delusione è molta e infatti il resto della stagione sul cemento non è esaltante, sconfitto sempre da Federer sia ad Indian Wells che a Miami. Ma con l’avvicinarsi della primavera arriva anche la stagione sulla terra battuta e Rafa si trasforma in una macchina da guerra implacabile. Vince a Montecarlo, Barcellona e Madrid, prima del grande acuto a Parigi, dove conquista la sua decima “coppa dei moschettieri”, che, tradotto in numeri, significa: 24 vittorie su 25 partite e 4680 punti conquistati su 5500 disponibili.
Nonostante l’uscita agli ottavi sia a Wimbledon che a Montreal, complici gli stop forzati di Djokovic e Murray, lunedì 21 agosto Nadal torna a guardare tutti dall’alto, iniziando la sua 142esima settimana da numero 1.
A 31 anni, 2 mesi e 18 giorni, Rafael Nadal diventa, quindi, il terzo più anziano numero 1 nella storia dell’ATP dopo Andre Agassi (33 anni, 4 mesi, 9 giorni) e Roger Federer (31 anni, 2 mesi, 27 giorni). E inoltre, batte anche il record di Jimmy Connors che è stato numero 1 per l’ultima volta (3 luglio 1983) ben 8 anni, 11 mesi e 4 giorni dopo la prima (29 luglio 1974). Nadal ritocca questo record di 30 giorni portandolo a 9 anni e 3 giorni (prima volta il 18 agosto 2008).
Poco dopo l’annuncio del forfeit di Federer a Cincinnati, che ha garantito a Nadal la vetta della classifica, lo spagnolo ha commentato così: “Per me essere al numero 1 rappresenta qualcosa di molto speciale. Ho ancora tanta passione e amore per questo sport. Per questo sono stato capace di tornare in vetta. Dubbi? Se non ne avessi avuti sarei stato arrogante. C’è una nuova generazione di talenti che ha reso molto duro tornare numero 1. Io e Roger stiamo avendo una grande stagione. Mi dispiace per il ritiro di Roger a Cincinnati. Spero che si rimetta al meglio in fretta. Abbiamo bisogno di lui per il bene del nostro sport. Ovviamente non abbiamo più 20 anni e non possiamo giocare con continuità, ogni settimana. E’ la dura realtà, fa parte dello sport”.
Quella dello Us Open, poi, è storia recente. Lo spagnolo, anche grazie ad un tabellone abbordabile, si è qualificato, con un percorso netto e sempre in crescendo, alla sua quarta finale allo Us Open e domenica, contro il sudafricano Kevin Anderson, avrà la possibilità di conquistare il sedicesimo Slam della carriera; uno scenario decisamente impensabile appena un anno fa.