Quella che sembrava essere una difesa inoppugnabile, fatta valere nella sentenza di appello, si è sciolta come neve al sole per Camila Giorgi. Il fatto di non essere tesserata FIT all’epoca del rifiuto della convocazione in Fed Cup, infatti, non le ha evitato la squalifica, come sostiene il Collegio di Garanzia del Coni. Le motivazioni della sentenza svoltasi lo scorso 31 maggio sono state rese note nelle scorse ore e rischiano di affermare un precedente discutibile dal punto di vista logico e morale.
Una non tesserata FIT, quale è Camila Giorgi, infatti, è stata sottoposta al regolamento riservato ai tesserati. All’epoca dei fatti la tennista marchigiana era tesserata per la Mario Belardinelli, non con la FIT direttamente, ma questo è bastato a instaurare tra Giorgi e Federazione un rapporto giuridico-sportivo, che prescinde dalla tessera. Rapporto di cui non è dato sapere i criteri per il quale esso venga instaurato, ma che di fatto è sufficiente per essere assoggettati ai regolamenti federali. In particolare appare importante riportare un passo principale della sentenza in cui, di fatto, ci si chiede come sia stato possibile che Camila Giorgi sia stata convocata senza essere in possesso di una tessera FIT: “[…] non solo non avrebbe potuto essere convocata in Nazionale, ma non avrebbe potuto partecipare ad alcun evento sportivo, in quanto priva del documento rappresentativo indispensabile per la partecipazione alle competizioni, a norma dell’art. 81 R.O. Deve allora presumersi che la partecipazione della Giorgi a numerosi eventi sportivi sia dovuta al possesso del documento rappresentativo, necessario titolo di legittimazione alla partecipazione alla competizione”.
Il ragionamento e la sentenza per come pronunciata sembra fare acqua da tutte le parti, di fatto assecondando le richieste della FIT. Tradotta in soldoni la federazione convocò la Giorgi senza averne il diritto in quanto si trattava di una non tesserata, a cui si contesta il rifiuto. Ma tale rifiuto avviene in seguito di una richiesta illegittima, ma tale, a nostro avviso fondamentale, dettaglio non ha inficiato nella pronuncia della sentenza. 30.000 euro di multa e 9 mesi di squalifica per la marchigiana, che finirà di scontare tra appena un mese. Dalla sentenza trapela in generale la sensazione che la FIT ha il controllo su tutti coloro che praticano il tennis, anche se non tesserati, perché, a questo punto, esiste un presunto “rapporto di tesseramento”, che va oltre il possesso della tessera. Speriamo di aver interpretato male quest’ultimo passaggio, altrimenti la cosa apparirebbe piuttosto raccapricciante.