Barcellona e Belgrado, il grande spettacolo dei “tornei preparatori”

Sarebbero molti i dettagli su cui focalizzarsi per un articolo dopo una settimana come quella che abbiamo vissuto nel circuito Atp. Altri sette giorni da incorniciare per il tennis italiano, che ha visto Jannik Sinner issarsi fino alle semifinali dell’Atp 500 di Barcellona e Matteo Berrettini trionfare nell’Atp 250 di Belgrado, il torneo di casa di Novak Djokovic. Il numero 1 del mondo in semifinale è capitolato di fronte ad un’incredibile performance di Aslan Karatsev, vincitore in una battaglia di tre ore e venticinque minuti di gioco. Con piena cognizione di causa si è giustamente gridato al “match più bello dell’anno”, se non fosse che, proprio ieri – nella finale in Catalogna – Rafael Nadal e Stefanos Tsitsipas sembrano essersi spinti addirittura oltre. Come tre anni fa, a vincere è stato lo spagnolo, confrontatosi con una versione del greco però nettamente più matura. Il 22enne di Atene vi è infatti arrivato con un bagaglio di armi molto più ampio, cui Nadal è riuscito a sopravvivere solo dopo tre ore e trentotto minuti di elevatissima qualità tennistica.

Il mancino di Manacor, 35 anni il prossimo 3 giugno, ha così vinto il suo 87esimo titolo in carriera, il 61esimo sulla terra ed il 12esimo a Barcellona, con un bilancio ancora immacolato nelle finali sul Campo Centrale che da qualche anno è diventato “Pista Rafa Nadal”. Col primo trofeo in stagione, che allunga la striscia record di annate con almeno un titolo in bacheca (fanno diciotto dal lontanissimo 2004), il maiorchino si è anche riappropriato della posizione numero 2 del ranking mondiale. Eppure, il chiacchiericcio dietro a delle leggende così, includendo nel discorso anche Novak Djokovic e Roger Federer, è da un po’ di tempo che ci impedisce di godere appieno dello spettacolo che il tennis è capace di offrirci anche nelle settimane che non hanno nulla a che vedere con i Grand Slam.

In particolare sulla terra battuta, il cui unico Major è preceduto da una sfilza di tornei molto prestigiosi, alcuni dei discorsi che tengono banco sui social diventano quanto mai nocivi per il nostro sport preferito. Un tempo Nadal faceva bottino pieno vincendo tutti e quattro i tornei giocati prima del Roland Garros. Dal 2011 Djokovic ha cominciato a sottrargli qualcosa e per quante domeniche, al di là del vincitore, li abbiamo visti sfidarsi! Quasi troppe, ma è questione di gusti. Di tempo ne è passato, Federer sul rosso non è mai stato costante quanto gli altri due, che hanno comunque attraversato, in annate diverse, dei momenti difficilissimi. Da quando Nadal ha ripreso a volare, nel 2017, c’è stato però più spazio per le sorprese. Tenendo conto solo dei tre Masters 1000 sulla terra, degli undici giocatisi Nadal ne ha vinti cinque, Djokovic due. Altri due ne ha vinti Alexander Zverev, uno a testa ne hanno vinto Fabio Fognini e, neanche dieci giorni fa, Stefanos Tsitsipas, ambedue a Monte-Carlo.

Se le prime sconfitte di Nadal sembravano semplicemente incidenti di percorso determinati da un superbo Dominic Thiem, dal 2019, quando Nadal ha perso tre semifinali di fila tra Monte-Carlo, Barcellona e Madrid, andando poi a vincere a Roma e al Roland Garros in successione, si è diffusa una stranissima convinzione. Un chiodo fisso nella testa di molti appassionati, che ripropone un’assillante filastrocca secondo cui tutti i tornei a cui lo spagnolo si iscrive sulla terra battuta sono improvvisamente retrocessi al rango di “tornei esclusivamente preparatori per il Roland Garros”. Cantilena rafforzata dalla sconfitta di Nadal agli Internazionali d’Italia dello scorso ottobre, cui ha fatto seguito la dimostrazione di come il re della terra battuta non abbia più bisogno di vincere troppe partite per potersi esprimere poi al meglio al Roland Garros. Nella questione, in fondo, si è per sua stessa ammissione ritrovato coinvolto Djokovic, che soprattutto nel 2019 – ad ogni conferenza prima e dopo un torneo in primavera – ribadiva come il suo obiettivo reale fosse il torneo parigino, in cui ha vinto una sola volta.

Questo pezzo, tuttavia, prende spunto in special modo da quanto accaduto in queste prime settimane di stagione sulla terra rossa europea. La tiritera si è riproposta a Monte-Carlo, dando luogo però a degli spiacevoli episodi che hanno avuto sciagurate ripercussioni sugli altri tennisti, i quali – seguendo alla lettera il mantra – sarebbero gli unici a tenere davvero ai tornei di questa porzione di stagione. Il fatto che il Roland Garros abbia la priorità è venuto ad essere il solo ed unico “perché” delle sconfitte di Nole e Rafa nel Principato, rispettivamente per mano di Daniel Evans ed Andrey Rublev. Prima le due eliminazioni sarebbero state solo un piccolo grande “ma” davanti alla frase “è il Roland Garros che conta davvero”. Col recente cambiamento di tono, invece, si sminuiscono tutti i risultati dei tornei appena passati e dei prossimi. Volendo fare un po’ di italianissima dietrologia, è come se Evans e Rublev avessero vinto solo contro due versioni in rodaggio delle due leggende, come se lo score meritasse un asterisco di fianco. Come se vi fosse minore voglia di vincere per Nadal e per Djokovic, come se questa si riattivasse con un semplice click. Una pericolosissima abitudine che porta a chiedersi, erroneamente, se Tsitsipas avrebbe vinto qualora il serbo e lo spagnolo fossero stati più pronti. La stessa e poco intelligente (chiaro eufemismo) domanda che ci si è posti quando Thiem ha trionfato all’ultimo Us Open, o ancor di più quando Hubert Hurkacz ha vinto il Masters 1000 di Miami. Tutta una montatura che assume i contorni di un’offesa non solo al lavoro che i giocatori che inseguono svolgono per vivere settimane indimenticabili, ma anche all’etica di quei due mostri, al tennis in generale ed al tempo che con esso e per esso noi appassionati spendiamo.

Ed è quasi un peccato che Djokovic abbia perso la sfida contro Karatsev, perché chi vuole combattere contro i mulini a vento non farà caso a quante energie il beniamino di casa abbia speso per provare a portarla a casa. Figurarsi quindi se si concederanno anche un solo momento per riammirare i straordinari punti che il russo ha vinto contro il numero uno del mondo, che è tale sempre e non solo negli Slam, dunque si è meritevoli di una standing ovation ogni qualvolta lo si riesce a piegare, soprattutto se alla distanza. Nadal, invece, ha vinto, perché quando mette piede sui campi in terra battuta c’è un qualcosa di magico che continua a circondarlo. Quel qualcosa gli ha permesso di vincere un torneo partendo da un bruttissimo primo set contro il numero 111 del mondo fino a fermare la corsa di uno scatenato Tsitsipas. Diciassette set di fila vinti sulla terra sono roba di pochi, di uno che a fine aprile è primo nella Race e che ieri è andato oltre il complesso del giocatore col rovescio ad una mano che sfida il top-spin di Rafa sulla terra battuta, impresa riuscita pochissime volte anche a Federer. Eppure, c’è chi ha il coraggio di porre la lente sugli ancora evidenti margini di crescita dello spagnolo, cui – si dice in giro – non faticherebbe così tanto con il greco in un’eventuale incontro al Roland Garros. Al di là di tutte le ipotesi, non siamo affatto sicuri che questo sia il modo giusto per godersi una stagione su terra che promette ancora tanto divertimento.

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