‘E nella luce fredda della notte io vidi diecimila persone, forse più. Persone che parlavano senza dire nulla, persone che ascoltavano senza capire, persone che scrivevano canzoni che le voci non potevano cantare assieme. E nessuno osava disturbare il suono del silenzio.’
Abbiamo scaltramente delegato l’apertura di questo pezzo alle ben più sapienti mani di Simon e Garfunkel, autori dei succitati versi, nella piena consapevolezza che non saremmo mai stati in grado di trasporre così efficamente lo stridente contrasto tra frastuono e silenzio.
Una dicotomia uditiva, quella tra chiasso e quiete, foriera di incalcolabili nevrosi per la gran parte dei terrestri. Tale biforcazione si rivela ancora più netta ed impattante in ambito tennistico, in cui la liturgica osservazione del silenzio si avvicenda ad incontrollabili esondazioni sonore. Un groviglio di sensazioni sconosciuto a Duck-Hee Lee, prima giocatore sordo a varcare la soglia del professionismo nel tennis.
La vicenda del giovane tennista coreano è balzata a più riprese agli onori delle cronache, data l’avvincente unicità che lo connota. Oggi però possiamo aggiungere un ulteriore tassello a questa storia. E’ di poche ore fa , infatti, la notizia che in molti attendevano: Lee parteciperà per la prima volta alle qualificazioni di un torneo del Grand Slam, nella fattispecie gli Australian Open.
Un’investitura, quella dell’ATP, guadagnata solo ed esclusivamente grazie ai risultati conseguiti sul campo. Il 17enne coreano è reduce da un 2015 assai fruttuoso, nell’arco del quale è stato capace di aggiudicarsi ben quattro Futures, successi che gli sono valsi l’ingresso nei primi 200 del mondo (attualmente n° 229) oltre all’approdo nel più probante circuito Challenger. Fin qui la parabola di un promettente giovinastro, chiamato a confermare le incoraggianti potenzialità nel complesso passaggio da baby-boom a certificato campione.
Resta da capire quanto sarà traumatico, al di là degli aspetti tecnici, il confronto con lo spietato mondo del professionismo.