Niente da fare. Un muro tennistico, un muro soprattutto mentale. La vittoria di Nole Djokovic a Roma, la quarta della sua carriera, è una vittoria mentale prima che tecnica e fisica. La superiorità, nettà, dimostrata su Roger Federer è infatti da individuare nella solidità e puntualità della risposta del serbo che non ha dato il tempo allo svizzero di imbastire la sua tattica e di entrare nel match.
6-4 6-3 lo score, che non ammette repliche. Stingata anche la cronaca, equilibrio fino al 4 pari, prima palla break nelle mani di Federer che sembrava riscire, col dritto inside-out ad uscire dal palleggio teso e profondo nel quale i due finalisti si erano impegnati fino a quel momento. E invece proprio quando Nole sembrava in difficoltà, ecco che con tigna e determinazione chirurgica il n. 1 del mondo annulla il pericolo, si issa 5 a 4 e toglie il servizio al Roger, quasi sorpreso dalla capacità del suo avversario di venire fuori dalla buca nella quale, lentamente, pensava fosse finito.
Il colpo dell’occasione persa si fa sentire. Federer serve male sullo 0 a 1 del secondo set, Nole risponde negli ultimo 30 o 40 centimetri. Non fortissimo, ma ad una velocità tale da prendere subito il comando delle operazioni.
Il serbo difende il break sempre con facilità, addirittura ha la palla per andare 4 a 0, troppo per il blasone del suo leggendario avversario, che reagisce, e cerca di mettersi in scia. Si arriva a chiudere al primo match point senza che Federer possa impensierire in alcun modo Djokovic.
Sembrava favorito, Roger. Il suo cammino più lineare nel corso del torneo diceva questo. In realtà il serbo, dopo i 10 giorni di stop, aveva solo bisogno di sciogliere i muscoli imballati dal richiamo di velocità e resistenza, e ci è riuscito già dalla semifinale, perentoriamente vinta contro un Ferrer sicuramente ben messo in campo. Quello era il segnale di allarme. Così è stato. Respinto, al quarto attacco, Federer. Appare stregata la terra romana, e aumentano i rimpianti per quella finale persa da super favorito contro Felix Mantilla. Anche i miti, forse, hanno qualche crepa. Col senno di poi, del quale sono ben piene le note fosse, quella finale oggi appare davvero come un treno perso per l’elvetico.
Si va a Parigi, dove c’è un solo favorito. Gli altri devono inseguire, attendere un passo falso, una giornata storta o cercare di invetarsi il match perfetto, una sorta di tempesta che sorprenda il serbo. Uno scenario al quale in pochi crediamo, anche perché c’è l’obiettivo ancora non dichiarato del carreer slam per Nole, e poi, magari, quello del Grande Slam. Se non ora, quando?