Michael Russell e la dura vita da tennisti “mediocri”

Recentemente, a tuonare, per l'ennesima volta, è stato Michael Russell, tennista americano, che si è lamentato aspramente con la USTA e l'ATP per le disumane condizioni nelle quali sono costretti a giocare nei Challenger, soprattutto negli Stati Uniti. "Giocare in un parcheggio sarebbe meglio", ha affermato il tennista attraverso un tweet quantomai eloquente. Ecco alcune immagini postate proprio dallo stesso giocatore.

Dimentichiamoci per un attimo gli eclatanti montepremi dell’appena concluso Australian Open, lasciamo da parte le migliaia di tifosi, appassionati che accorrono nei più grandi campi del mondo, scordiamoci la moltitudine di telespettatori che guardano le partite in televisione. Scordiamoci tutto ciò, perchè esiste anche un altro tennis. Il tennis dei “mediocri”, o se preferite, di coloro che non possono viverci e quindi si trovano ad un bivio: lascio o non lascio? Il tennis di tutti quelli che, nel passaggio al vero professionismo, iniziano a cullarsi sulla possibilità di fare carriera con miseri risultati. Non è possibile. Questo è il tennis del Futures e dei Challenger.

Recentemente, a tuonare, per l’ennesima volta, è stato Michael Russell, tennista americano, che si è lamentato aspramente con la USTA e l’ATP per le disumane condizioni nelle quali sono costretti a giocare nei Challenger, soprattutto negli Stati Uniti. “Giocare in un parcheggio sarebbe meglio”, ha affermato il tennista attraverso un tweet quantomai eloquente. Ecco alcune immagini postate proprio dallo stesso giocatore.

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E questa è solamente parte della quotidianità che vivono circa 4000 tennisti. Una quotidianità fatta di sacrifici, allenamenti e spese incalzanti, in un tennis che non permette loro di vivere serenamente? Che sia sbagliato? Non è detto. Se è impossibile non concordare con Russell riguardo almeno la richiesta dignitosa di campi su cui poter giocare serenamente senza che il fisico ne risenta, diverso è il discorso riguardante i montepremi. Challenger e Futures dovrebbero infatti essere solamente una “tappa di passaggio”, attraverso la quale compiere una sorta di selezione. Che vince, stravince va avanti, chi perde resta fermo, oppure smette.

La richiesta di un aumento di montepremi, o, come afferma Gianluca Naso, di ospitalità gratuita, è fattibile, ma non risolve il problema. Nella classe più bassa del tennis mondiale, i montepremi non superano i 15mila in campo maschile e i 10mila in quello femminile. E se nel corso dell’anno solare i guadagni superano i 7500 euro, in Italia la tassazione del premio è al 24.12% più “eventuali aliquote regionali e provinciali”, come si legge all’articolo 15 del modello di regolamento dei tornei internazionali del circuito Men’s Futures 2014.

Il prize money è fermo al 1998, e questa non è una cosa normale, soprattutto se si pensa che nello stesso arco temporale, il vincitore degli Australian Open ha invece visto lievitare l’incasso da 407.376 dollari a 2,26 milioni dell’ultima edizione. Certo, in questo secondo caso, il discorso è completamente diverso: sponsorizzazioni, diritti televisivi, biglietti ecc. permettono, oltre ad un budget di base, di poter spendere molto per rendere migliore il servizio e di poter remunerare altrettanto i tennisti. Si pensi che in questa edizione degli Open d’Australian, i tennisti hanno goduto di voli aerei rimborsati, soggiorni e pasti pagati ed anche una struttura di ben 800.000 dollari, dotata di piscine, palestre e 21 campi di allenamento. Niente male, direi. 

L’ITF ha risposto, attraverso una nota, che “l’aumento dei montepremi, potrebbe portare ad una riduzione dei tornei, e ciò non sarebbe giusto per lo sviluppo del tennis”. Ma a Marzo 2015, sono pronti a portare avanti un progetto che ridurrà questa abissale differenza di trattamenti. Staremo a vedere. Il problema di fondo resta quello dei campi però ed è di certo l’argomento che ha creato maggiore indignazione non solo all’interno del mondo tennistico minore, anzi, ha avuto il supporto, tra i tanti, dello svizzero Stanislas Wawrinka.

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Tutto è iniziato da una lettera, riportata dal mensile TennisBest, di Lorenzo Cazzaniga, di Tomas Buchhass. Un atto di denuncia informale, che ha prodotto sdegno e compassione. La lettera fu resa pubblica dopo il torneo giocato a Temuco, in Cile: “Campi in condizioni pietose che costituiscono un azzardo per il nostro fisico. Nessun ristorante per mangiare. Si è persa una pallina e non ce n’erano altre”. 

“Abbiamo pagato 40 dollari per partecipare alle qualificazioni. Le linee dei campi erano disegnate con il gesso. Questo accade nella maggior parte dei Futures. Non si gioca in condizioni adeguate: mancano le palle per allenarsi, non ci sono dottori e fisioterapisti.”. Polemica dura anche per quanto riguarda i cambi di superficie all’interno di uno stesso match: “ed è anche capitato, in Italia, che fossimo costretti a spostarci di cinquanta chilometri perché mezz’ora di pioggia aveva completamente allagato due campi”.

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Polemiche anche in campo femminile, in un torneo a Sharm El-Sheikh, sollevate da una giocatrice che ha sostenuto addirittura che “vi fossero cambi di superficie anche all’interno di uno stesso campo. Alcune zone erano più lente altre più veloci”. Insomma, un disastro che, se non fosse documentato, sarebbe difficile da credere. Ai limiti della decenza, e ciò prescinde dai montepremi o da qualsiasi discorso economico possibile. In tutto ciò si aggiunge anche una nota di discriminazione sessuale: “Per i maschi era tutto incluso, gli alloggi confortevoli. Noi abbiamo dovuto pagare 45 dollari, senza pranzo. Anche gli arbitri, erano pessimi”.

La situazione è allarmante, non ci resta che attendere notizie dall’ITF e vedere come si muoverà per risolvere problemi quantomai evidenti.

Giorgio Lupi (Twitter: @lupi_giorgio)

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