Lo sport suscita in noi emozioni profonde: ci esaltiamo per i trionfi dei campioni e ci deprimiamo per le loro sconfitte. Alla fine di ogni anno di solito si fa un bilancio della stagione appena trascorsa cercando di ricordare quegli attimi che hanno caratterizzato gli eventi più importanti e intensi. Senza nessuna pretesa di professionalità né di imparzialità ho pensato di stilare la mia personale “classifica” che non è di merito, ma nata così, un po’ a caso, man mano che mi venivano in mente le competizioni da trattare. Menzionerò sport noti e sport meno noti, ci saranno delle mancanze forse imperdonabili e delle presenze che spero vi stupiranno. Avvertimento: non ci sarà il tennis perché costantemente indeciso tra il ventesimo major di Roger conquistato in Australia a 36 anni suonati, l’Undecima di Nadal al Roland Garros e il dirompente ritorno di Djokovic suggellato dalla sua grandiosa accoppiata Wimbledon – US Open, non sapevo proprio a chi dare la preferenza e inevitabilmente avrei scontentato qualcuno. E poi qui su Tennis Circus c’è gente più valida di me che ne scriverà in abbondanza. Spazio quindi a tutti gli altri sport, specialmente a quelli che in Italia chiamiamo, con scarsa cultura di base, “minori”. Buona lettura.
[tps_title]10.CALCIO[/tps_title]
CAMPIONATO DEL MONDO MASCHILE: 15 LUGLIO. Mosca, stadio Luzniki (Russia). Finale: Francia-Croazia 4-2: il bis iridato dei bleus.
Al 58’ minuto di gioco Pogba lancia di contro balzo tagliando il campo in diagonale. Con la sua strapotenza fisica e irruenza giovanile Mbappé sgroppa sulla fascia raggiungendo la sfera, poi si accentra, sbilancia con un doppio passo i difensori avversari, serve Griezmann che controlla in palleggio e spalle alla porta, lucidamente scarica al limite dell’area di rigore verso lo stesso Pogba che tira al volo, il pallone gli viene respinto, ma ritorna sui suoi piedi e stavolta scaglia un fendente a mezza aria di sinistro che va ad insaccarsi alla destra del portiere croato. E’ il gol del 3-1, la partita finisce praticamente qui con un’azione corale dei tre protagonisti principali dell’equipe de France. I transalpini sono di nuovo campioni del mondo a vent’anni esatti dal loro primo trionfo. Un mondiale vinto da una delle squadre favorite, caratterizzato dalla supremazia delle formazioni europee sulle deludenti sudamericane. C’è l’enorme sorpresa di trovare la Croazia in finale mentre la vecchia e logora Germania, detentrice del titolo, è incapace di superare il girone di qualificazione agli ottavi di finale. Una competizione senza l’Italia, desolatamente assente dopo i play off persi contro la Svezia. Non succedeva dal 1958.
[tps_title]9.GOLF[/tps_title]
OPEN CHAMPIONSHIPS: 22 LUGLIO. Angus, Carnoustie Golf Links (Scozia). Il trionfo di Francesco Molinari.
Siamo alla 18 del quarto ed ultimo giro. Molinari si accovaccia con la mazza usata come puntello nella tipica posa dei golfisti quando meditano il colpo. Si rialza con un ghigno sul viso, si accosta alla pallina, la colpisce delicatamente e lei, ubbidiente, rotola con dolcezza in buca. Ed è impressionante come la folla che assiepa gli spalti e il green passi dal religioso silenzio al boato assordante in una frazione di secondo. Alza il pugno e poi lo scuote verso il cielo digrignando i denti. Scioglie la tensione abbracciando il caddie. Ha concluso un’opera magistrale chiudendo il suo magnifico torneo con 276 colpi (2 sotto il par). Tuttavia deve attendere che i suoi avversari completino il percorso: l’americano Xander Schauffele è ancora in corsa per il titolo e Molinari trascorre minuti che gli sembrano eterni nella Club House. Alla fine il suo avversario deve alzare bandiera bianca, non recupera lo svantaggio ed è il primo a congratularsi con l’italiano come è d’uso in uno sport frequentato da gentiluomini. Anche il golf ha le sue quattro prove del Grand Slam: l’Open Championships, detto anche British Open, è la più antica (la prima edizione risale al 1860) ed è l’unica che si disputi al di fuori degli Stati Uniti, in sede itinerante nei più prestigiosi club della Gran Bretagna. Per la prima volta nella storia un nostro connazionale si aggiudica un Major. Ha battuto gente come il nordirlandese Rory McIllroy e l’inglese Justine Rose. E’ il successo sportivo più importante dell’anno per l’Italia.
[tps_title]8.LOTTA LIBERA[/tps_title]
CAMPIONATI MONDIALI: 23 OTTOBRE. Budapest, Sports Arena (Ungheria). Sadulaev contro Snyder.
Lo sport è stato in tempi di Guerra Fredda un campo di battaglia vero e proprio tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Nella lotta libera e greco-romana si sono vissuti episodi tra i più infuocati. Il sovietico Alexander Karelin, detto “l’orso” o “King Kong”, rimase imbattuto per nove lunghi anni tra Mondiali e Olimpiadi. Gli americani fecero di tutto per sconfiggerlo andando incontro a disfatte imbarazzanti; quando Rulon Gardner alla fine ci riuscì ai Giochi Olimpici di Sidney 2000 tornò in patria come un eroe nazionale. Tra i talenti più cristallini di quest’epoca abbiamo il russo Abdulrashid Sadulaev e lo statunitense Kyle Snyder. Snyder ha battuto Sadulaev nei mondiali dell’anno scorso. Il capo allenatore della selezione russa alla vigilia della competizione rilascia queste concilianti dichiarazioni: “Sadulaev non era preparato nel 2017, ora è a posto. Tra lui è Snyder la differenza è abissale. Stavolta non gli farà fare un punto. La loro finale sarà uno scontro tra un vero campione e un semplice dilettante”. Arrogante strafottenza di un coach con il dente avvelenato ? Come da copione i due sfidanti arrivano all’atto conclusivo nella categoria dei 97 kg. Dopo pochi attimi di studio al centro della materassina Sadulaev con la rapidità di un felino aggancia la gamba destra di Snyder, l’americano abbozza una resistenza, ma dopo qualche istante viene ribaltato su un fianco. La presa salda come l’acciaio del russo lo annichilisce, Snyder si dimena convulsamente come un pesce appena infilzato dall’amo. Sadulaev mantiene la morsa letale e quando capisce che l’avversario è allo stremo delle forze si rigira di scatto premendo inesorabilmente il suo torace contro quello dell’americano che è “schienato”, abbattuto e atterrato al suolo. L’arbitro decreta l’incontestabile vittoria. Snyder riconosce sportivamente la sconfitta abbracciando il rivale. Il tutto in circa 70 secondi di un match che dovrebbe durare sei minuti. Il pubblico, con una nutrita presenza russa, è in visibilio. La Russia conquista ben 10 titoli sui 30 a disposizione, record assoluto dalla dissoluzione dell’URSS. E pensare che qualche intelligentone del CIO aveva avanzato la proposta di escludere questo nobile sport, rimasto quasi immutato dai tempi degli antichi giochi greci, dal programma olimpico. Le Olimpiadi senza la lotta sarebbero come Wimbledon senza l’erba.
[tps_title]7.PALLAVOLO[/tps_title]
CAMPIONATO DEL MONDO FEMMINILE: 20 OTTOBRE. Yokohama, Yokohama Arena (Giappone). Serbia – Italia 3-2: un torneo da incorniciare.
Finale del mondiale di Volley. L’Italia ha vinto il primo e il terzo set, la Serbia il secondo e il quarto. Siamo 14-12 nel tie break, ci sono due match points per la Serbia. Busa alla battuta, ricezione, palleggio e attacco di Sylla, difeso da Popovic, batti e ribatti sotto rete, contro attacco di Mihajlovic contenuto da Bosetti e altro attacco di Sylla murato dalle valchirie slave, l’Italia ci riprova per la terza volta ma stavolta Sylla abbozza un mezzo pallonetto giudicato falloso dal primo arbitro. Finisce così, ad un passo dalla gloria, il sogno dell’Italia di laurearsi campione del mondo per la seconda volta dopo la storica vittoria del 2002. Sono mancati tre piccoli punti dopo un testa e testa entusiasmante ed incerto fino all’ultimo contro la squadra dell’implacabile stella Tijana Boskovic. La delusione è palpabile, ma non toglie nulla all’impresa della nazionale che ha regalato spettacolo, emozioni e grande qualità di gioco per tutto il torneo. Partita come outsider con tante incognite e poche certezze, l’Italia ha conquistato e convinto anche i più scettici sulle reali potenzialità della squadra. Nella sua meravigliosa cavalcata ha vinto ben 11 delle 13 partite disputate, piegata soltanto in due occasioni dalla corazzata Serbia, campione d’Europa e vicecampione olimpica, che si presentava in campo da favorita e ha meritato il titolo finale. Un’ Italia solare, gioiosa, unita, multietnica e giovanissima (l’età media è di soli 23 anni) ha regalato a noi tutti prestazioni stellari: durante il cammino ha piegato la Cina, oro a Rio de Janeiro nel 2016, per ben due volte; ha superato i fortissimi Stati Uniti detentori del titolo; ha annichilito la sempre temibile Russia; ha infranto le speranze delle padroni di casa del Giappone. Giocatrice simbolo della squadra è Paola Egonu, 193 centimetri di talento; da lassù ha macinato schiacciate su schiacciate con la sicurezza disarmante di chi ha nel proprio destino un futuro da campionessa impreziosito da una serena incoscienza disegnata sul volto. Ha giocato come una “veterana”…. di 19 anni che ha totalizzato lo score stratosferico di 324 consacrandosi miglior realizzatrice del torneo nonché detentrice del record di punti portati a casa in un singolo match: 45 ! Questa medaglia d’argento può e deve essere il primo passo di una serie di successi che attendono solo di essere colti: prossimi appuntamenti gli Europei 2019 e naturalmente Tokyo 2020. Congratulazioni, ragazze terribili!
[tps_title]6.GINNASTICA ARTISTICA[/tps_title]
CAMPIONATI MONDIALI: 3 NOVEMBRE. Doha, Aspire Dome (Qatar). Il dominio di Simone Biles.
Finale di specialità, esercizio al corpo libero. Simone Biles nel suo luccicante body rosso parte per la conquista dell’ennesimo oro mondiale. Esegue quattro diagonali acrobatiche di devastante potenza, i salti mortali che compie raggiungono altezze inarrivabili per tutte le altre. La sua irruenza fisica la fa uscire dal rettangolo entro il quale dovrebbe mantenersi durante tutta la performance; poco importa, sono solo pochi decimi di punto che non inficiano una prestazione nettamente superiore a quella delle rivali. La pedana vibra quando questa ventunenne di Columbus nell’Ohio la calca con un furore agonistico ineguagliabile. Ottiene 14.933 di punteggio e distacca la connazionale Morgan Hurd di un punto netto: un’ enormità, nella ginnastica artistica. Essendo una ginnasta che ha come caratteristica principale la forza quasi bruta, la Biles si esalta negli attrezzi dove può sprigionare tutti i suoi cavalli-motore. Conquista la vittoria, quindi, anche al volteggio mentre negli esercizi più tecnici si deve “accontentare” di un bronzo (alla trave) e di un argento (alle parallele asimmetriche). Inutile dire che nonostante qualche imperfezione ha dominato anche il concorso completo individuale aggiudicandosi il suo quarto titolo personale, prima ginnasta della storia a raggiungere questo considerevole traguardo. Ha trascinato il team USA alla conquista dell’oro a squadre, l’egemonia statunitense sulla ginnastica femminile prosegue da quindici anni e Simone ne è ora la regina indiscussa. Dopo l’anno sabbatico post-olimpico è ritornata in scena e le sue concorrenti si sono subito dovute rassegnare a lottare per il secondo posto. Quattro ori su sei specialità a disposizione in questi mondiali. Quattordici titoli iridati e un poker di titoli olimpici: questo il suo sontuoso palmares…fin qui.
[tps_title]5.SLITTINO[/tps_title]
GIOCHI OLIMPICI: 11 FEBBRAIO. Daegwallyeong, Alpensia Sliding Centre (Corea del Sud). La disfatta di Felix Loch.
Quarta e ultima manche dello slittino maschile. Felix Loch, tedesco, sta per fare la storia: dopo Vancouver 2010 e Sochi 2014 è in gara per il terzo sigillo olimpico consecutivo. Entrerebbe a far parte di uno ristretto ed esclusivo club di Immortali dello sport. Gli slittinisti sono persone un po’ particolari, guidano il loro mezzo con braccia, gambe, piedi caviglie, fianchi e natiche, hanno un rapporto ossessivo e quasi morboso con la slitta, qualcuno di loro dice che “ci parla e la ascolta”. Curano i pattini insieme ai tecnici in modo maniacale, si buttano a capofitto in quei budelli infernali a velocità ben superiori ai 100 km all’ora senza quasi vedere dove vanno, la pista la “sentono” e la interpretano, rischiano la vita e qualche millesimo in più o in meno fa tutta la differenza del mondo tra la vittoria e la sconfitta. Loch ha condotto le prime tre discese con la sicurezza di chi confida nel suo ragguardevole talento, ha imposto la legge del più forte essendo il chiaro favorito della competizione. Secondo tempo nella prima manche ad un soffio dall’austriaco David Gleirscher, leader con il record della pista nella seconda tanto per far capire chi comanda, relativo prudente contenimento nella terza in cui arriva a soli 26 centesimi dall’americano Chris Mazdzer. Come da prassi il capoclassifica parte per ultimo nella discesa decisiva, Loch ha un vantaggio di due decimi sul secondo, un distacco considerevole che si può definire di sicurezza, deve solo arrivare in fondo senza sbavature. Al cancelletto parte con impeto dopo i classici quattro “pinguini” (le vigorose spinte con le dita sul ghiaccio ), si distende rapidamente sulla slitta e la conduce dritta come un fuso per il tracciato procedendo senza problemi. A 28 secondi dall’avvio accade l’imponderabile: su un tratto rettilineo Felix perde inspiegabilmente il controllo, sbanda verso la sua destra, tocca leggermente il bordo e la slitta smarrisce la traiettoria, si sposta in diagonale verso l’altro lato e si schianta a sinistra in modo decisamente brusco. L’attrito è notevole, la velocità si riduce nettamente e all’intermedio successivo Loch ha già perso tutto il suo vantaggio. Il traguardo è vicino, ma ad ogni metro brucia decimi su decimi, il suo slittino a causa dell’incidente ondeggia pericolosamente allungando ancora di più il percorso. Il “dramma” si compie: il tedesco realizza il diciannovesimo e penultimo tempo di manche, regala all’austriaco Gleirscher la bellezza di mezzo secondo e gli concede la gioia inaspettata del titolo olimpico. Lo staff tecnico teutonico è impietrito, Loch frena e si rialza seduto sulla slitta che lo ha tradito (o forse lui ha tradito lei ?), si mette una mano in testa e poi l’altra, guarda il tabellone dei tempi con gli occhi fuori dalle orbite: sembra incredulo e affranto allo stesso tempo, chiuderà con un insignificante quinto posto complessivo. Si china su stesso quasi ad isolarsi dal resto dell’umanità, le spalle si ingobbiscono e fremono, questo ragazzone alemanno di un metro e novanta per quasi cento chili di muscoli cerca di trattenere i singhiozzi, inutilmente. In Germania è lutto nazionale. Semplici, ma intensi attimi che mostrano quanto lo sport possa essere crudele.
[tps_title]4.SCI ALPINO[/tps_title]
GIOCHI OLIMPICI: 17 FEBBRAIO. Gangwon Province, Jeongseon Alpine Centre (Corea del Sud). Il graffio di Ester Ledecka.
Supergigante femminile. I giochi sono fatti: l’avvenente austriaca Anna Fenninger in Veith guida la classifica con soli 10 centesimi di vantaggio sulla rappresentante del Liechtenstein Tina Weirather; terza, appena un centesimo dietro, la svizzera Lara Gut. Un podio di tutto rispetto completamente occupato dai paesi alpini. Subito dopo ci sono le italiane Schnarf e Brignone, solo sesta il mito vivente della velocità, l’americana Lindsey Vonn (già Kildow) all’ultima olimpiade della carriera. I telecronisti TV di tutto il mondo stanno già tirando le somme e commentano il risultato finale. Nessuna tra le ultime che ancora devono disputare la gara è in grado di inserirsi nelle posizioni di vertice. Al cancelletto di partenza con il pettorale 26 si presenta la ceca Ester Ledecka, snowboardista specializzata nello slalom gigante parallelo. Si diletta anche nello sci alpino, ma con scarsi risultati: il suo miglior piazzamento è infatti un settimo posto in Coppa del mondo nel 2017 in una discesa libera in Canada. Ester si dà la carica battendosi i guanti sul petto e poi si lancia per la sua prova; affronta le prime semicurve con troppa foga e stringe le traiettorie in modo eccessivo, in seguito le sue linee si fanno più morbide e nella parte centrale del percorso è scorrevole e decisa. Ora aggredisce la pista al meglio e al secondo intermedio è davanti a tutte di 2 decimi. In un paio di occasioni arriva lunga in curva e si fa sorprendere leggermente da un dosso maligno che affronta un po’ goffamente, questi microscopici errori le fanno perdere qualcosa, ma rimane sempre in vantaggio anche se di soli 4 centesimi. Continua a sciare alla grande, sul finale prende velocità e arriva a toccare i 90 km all’ora, sul salto conclusivo si sbilancia, spigola ed è costretta ad alzare le punte degli sci, si ricompone in un attimo e si raggomitola nella classica posizione ad uovo per fiondarsi verso il traguardo. E’ arrivata, derapa per frenare e si ferma al centro del parterre innevato. Nel box destinato alla prima classificata la Veith contiene il suo stupore mettendosi la mano davanti alla faccia e poi si esibisce nel suo splendido sorriso, stavolta solo di circostanza. La reazione della Ledecka rimarrà memorabile: le braccia gli scivolano lungo i fianchi, sembrano paralizzate, il capo fissa un punto indefinito che naturalmente è il display illuminato con il suo tempo in bella mostra. Passano attimi infiniti in cui rimane immobile e non realizza l’accaduto. Cerca di scuotersi rivolgendo lo sguardo, ancora perso, dalla parte opposta degli spalti. A bocca aperta comincia a muoversi lentamente spingendo debolmente sui bastoncini, vaga senza sapere dove dirigersi. Incredula continua a essere ipnotizzata dal tabellone, sembra avere il sospetto che ci sia qualcosa di sbagliato, starà pensando che il cronometraggio non abbia funzionato a dovere. E’ tutto vero, non è un sogno: è prima per un solo centesimo ! La telecamera le si avvicina, lei apre delicatamente le labbra in una smorfia più che in un sorriso, si passa la lingua tra i denti, scuote la testa e si lascia sfuggire in un sussurro la parola “No” , più che sentirla si intuisce. E invece si ! Ester, sei campionessa olimpica ! Contro ogni pronostico una virtuosa dello snowboard ha battuto tutte le migliori dello sci alpino. Dopo pochi giorni bisserà il successo nel suo amato slalom gigante parallelo con la tavoletta sotto i piedi e la ventiduenne di Praga diventerà la prima donna nella storia ad aggiudicarsi due titoli olimpici nella stessa edizione dei giochi invernali in due sport differenti. Enorme.
[tps_title]3.CICLISMO[/tps_title]
GIRO D’ITALIA: 25 MAGGIO. Venaria Reale – Bardonecchia /Jafferau 185 Km. L’impresa di Chris Froome.
Diciannovesima tappa del Giro d’Italia, siamo a due giorni dalla fine della corsa rosa. Il team Sky sente l’odore del sangue e all’inizio del temutissimo Colle delle Finestre comincia ad impostare in testa al gruppo un ritmo insostenibile per molti. I soldatini britannici si mettono in fila e pestano forsennatamente sui pedali. Simon Yates, inglese in Maglia Rosa, è stato fin qui il protagonista assoluto della corsa: ha attaccato ad ogni salita, spavaldo, dando spettacolo e guadagnando sui diretti rivali in tutte le occasioni che gli si presentavano. Giovane e irruento, piccolo e scaltro, Simon sembra un folletto dispettoso deciso a rovinare i piani di conquista del grande Chris Froome. Il keniano bianco si è finalmente deciso a partecipare al Giro perché è l’unica corsa a tappe che manca al suo impressionante palmares, ma finora ha deluso. Incerto e non al massimo della forma, ha stentato molto nelle tappe più difficili, si è staccato più volte ed ora accusa un ritardo di 3 minuti e 22 secondi sul vertice della classifica, distacco difficilmente recuperabile nel ciclismo moderno. Ma ecco che accade qualcosa di imprevisto: a 86 km dal traguardo Yates cede, si sfila dal gruppo dei migliori e viene lasciato, la pedalata brillante delle prime due settimane è solo un pallido ricordo. Ha preteso troppo, l’entusiasmo ha preso il sopravvento e ha peccato d’inesperienza. Ora, sul più bello, le energie sono al lumicino e va alla deriva. A 80 km finisce il forcing selvaggio di Salvatore Puccio, gregario Sky, e nel momento in cui anche Domenico Pozzovivo perde terreno, Froome fa una scelta che sembrerebbe priva di logica e di buon senso: il ciclista robot, senz’anima, che imposta la sua andatura controllando i valori del cardiofrequenzimetro, decide che è giunto il momento di rischiare il tutto per tutto, scatta con il suo tipico gesto chiamato “la frullata”, mulina sulle gambette lunghe e fine un rapporto leggero a frequenze insostenibili e saluta tutti. I suoi avversari non hanno la forza di seguirlo, forse scelgono di non seguirlo. L’olandese Tom Dumolin, il francese Thibau Pinot i colombiani Lopez e Carapaz giudicano il gesto a dir poco avventato. Comincia il tratto sterrato della salita, si va su, sempre più su, verso i 2.178 metri della vetta. Rimasugli di neve sempre più ampi e corposi accompagnano ai lati della strada la pazza cavalcata di Froome che è incitato dalla folla in fibrillazione. Il dopato, l’antipatico, il calcolatore: tutte le cattiverie che si dicono su di lui (più in Francia che in Italia, ad essere onesti) vengono cancellate di fronte alla magnificenza dello spettacolo che sta offrendo. La gente ha il sentore di essere testimone di un’impresa di altri tempi. In cima scollina con 40 secondi, il gruppetto degli immediati inseguitori pensa che ora si rialzerà per aspettarli dato che mancano 75 km al traguardo, ma invece il britannico si scaraventa in discesa come una scheggia, taglia le curve, si prende tutti i rischi possibili per dilatare il vantaggio. La Maglia Rosa Yates annaspa nelle retrovie ed è sprofondato ad oltre 11 minuti. Finita la picchiata a valle e dopo pochi chilometri di falsopiano, Froome riprende a salire verso il colle del Sestriere, ascesa lunga, ma dalle pendenze non impossibili. La affronta con un rapporto da passista e se la divora letteralmente: in cima avrà dilatato il vantaggio a 2 minuti e 20 secondi sugli attoniti rivali. Per calcolare il distacco di Yates non serve più il cronometro, ma le campane delle chiese: oltre 20 minuti. Ora, tra discesa e pianura, deve affrontare 38 chilometri insidiosi dove un uomo reduce da due salite all’attacco può perdere tutto se un gruppo agguerrito gli dà la caccia come una muta di cani rabbiosi. Gli inseguitori ci provano, si danno il cambio per tentare di recuperare, ma Froome abbassa il testone nella posizione da crono man e vola ad oltre 45 km all’ora. Il risultato di questa lotta a distanza è senza appello: a Bardonecchia, ai piedi dell’ultima scalata di giornata, Froome aumenta il suo bottino a 3 minuti e 20 secondi sugli impotenti avversari Dumolin e Pinot, a questo punto della corsa è Maglia Rosa Virtuale. Comincia il relativamente corto, ma arcigno Jafferau; l’eroico Chris si rimette a picchiettare sui pedali, la stanchezza si sente, è sgraziato sulla bicicletta come sarebbe una giraffa sui pattini, ma estremamente efficace e sale, testardamente, tornante dopo tornante. Dietro si rendono conto che ogni sforzo è inutile e cominciano a battagliare tra di loro per il secondo posto. Sulla linea del traguardo Froome scaglia il pugno al cielo in un gesto di liberazione e felicità. Ha scritto una pagina di ciclismo epico, memorabile; Dumolin, Pinot, Carapaz e Lopez arrivano sparpagliati ad una manciata di secondi l’uno dall’altro, ma tutti ad oltre 3 minuti. Yates è disperso, lontano anni luce dai migliori. Il britannico conquista così il suo primo Giro d’Italia completando la sua collezione di corse a tappe e inanellando un tris consecutivo da sogno (Tour 2017, Vuelta 2017, Giro 2018). “E’ stata la corsa più dura ed emozionante della mia vita, un’impresa che non immaginavo di poter compiere”: queste le parole di Chris all’arrivo. Pagherà dazio al Tour che comunque andrà al compagno di squadra Geraint Thomas. Simon Yates, memore della lezione ricevuta, correrà con più giudizio la Vuelta e la farà sua: per la prima volta nella storia del ciclismo le tre corse a tappe più prestigiose vengono vinte da tre differenti corridori appartenenti alla stessa nazione, la Gran Bretagna.
[tps_title]2.PATTINAGGIO DI FIGURA[/tps_title]
GIOCHI OLIMPICI: 21 E 23 FEBBRAIO. Gangneung, Gangneung Ice Arena (Corea del Sud). Zagitova e Medvedeva.
Alina Ilnazovna Zagitova, 15 anni da Izhevsk, non lontano dagli Urali meridionali. Evgenija Armanovna Medvedeva, , 18 anni da Mosca, l’immensa metropoli della Santa Madre Russia. Queste due giovanissime pattinatrici sono le stelle indiscusse della specialità. Entrambe minute, entrambe tecnicamente inarrivabili, entrambe angeliche quando danzano sul ghiaccio. Zagitova è un macchina da salti infallibile, Medvedeva ha un’espressività artistica ineguagliabile. La luce dei riflettori è giustamente tutta per loro e non deludono le attese. La perfezione nello sport, come negli altri ambiti della vita, non esiste: questa rassicurante sentenza traballa e viene messa in seria discussione quando si ha il privilegio di assistere alle interpretazioni di Alina ed Evgenija. Scivolano sulla pista con armonia ed eleganza senza pari e provocano un’emozione ferocemente intensa. Una battuta abbastanza datata recitava: “quando vedi un russo pattinare sul ghiaccio si scioglie anche il permafrost”, aulico quanto si vuole, ma certamente adatto a descrivere le sensazioni che suscitano Zagitova e Medvedeva. Nel programma corto si esibisce per prima Evgenjia: si pulisce i pattini, si presenta al centro del ghiaccio e va…scivola armoniosamente, piroetta, si slancia e si raccoglie con soavità , la sua sequenza di passi è in perfetto connubio con il notturno di Chopin che l’accompagna in sottofondo. La combinazione di salti è impeccabile, la trottola finale è eseguita con grazia infinita; le sue lame sfiorano e accarezzano il ghiaccio, non lo sfregiano rozzamente, è un’artista da contemplare. L’arida aritmetica non può che inchinarsi di fronte all’eccellenza: 81.61, record del mondo. Tocca alla Zagitova: lei ha l’abitudine di darsi vigorose manate sulle cosce prima di esibirsi e poi si butta sul ghiaccio con classe sopraffina. Non possiede forse la drammaticità interpretativa della connazionale, ma pattina meravigliosamente fluida e dinamica e si esibisce in una combinazione difficilissima di salti che esegue in maniera impareggiabile. Le note del Lago dei Cigni di Cjaikovskij la esaltano e la sublimano, si scioglie e aggredisce il ghiaccio con lo spirito da bambina qual è: lei è il Cigno Bianco, in tutta la sua bellezza. Non sbaglia nulla e gli spettatori le tributano la meritata ovazione. Si passa al punteggio: 82.92, il record del mondo di Medvedeva ha resistito solo pochi momenti. Due giorni dopo è già tempo di programma libero: un “dolce inferno” di oltre quattro minuti in cui le capacità di resistenza e concentrazione vengono messe a dura prova e fugano ogni dubbio sul fatto che il pattinaggio di figura sia uno sport vero e proprio nella piena accezione del termine. Stavolta il duello russo è aperto dalla Zagitova: si presenta in un costumino rosso fiammante, focoso e passionale in perfetta sintonia con la musica che ha scelto cioè il Don Chisciotte di Leon Minkus. Festosa e briosa, danza per tutta la prima parte del programma a ritmi travolgenti che trascinano il pubblico, è una ballerina del Bolshoi con una lamina spessa pochi millimetri sotto i piedi. Poi l’apoteosi: undici salti, con tre combinazioni eseguite, rotazioni completate, atterraggi senza tentennamenti. Lutz e Salchow, Toe-loop e Flip, Rittberger e Axel, la collezione delle prodezze è completa in un tourbillon che stordisce per la meraviglia dei gesti. Un’esibizione sontuosa che le consente di mettere una serie ipoteca sul titolo olimpico. Medvedeva non ci sta, era lei alla vigilia la favorita, è lei la bi-campionessa del mondo in carica, ma questa ragazzina che la sta sfidando ha bruciato le tappe e ha minato le sue certezze. Da vera combattente offre una prestazione magistrale: la tragicità teatrale con cui sottolinea i momenti musicali più palpitanti è commovente, le trottole sono di un’eleganza assoluta, esegue i vari salti rigorosamente con le braccia verso l’alto e concentra le combinazioni più difficili nella seconda parte del programma per aumentarne il valore riconosciuto dalla giuria e ricavare più punti possibili. Si osserva senza fiato, non si può fare altro. Alla fine la sentenza sarà la seguente: 156.65, stesso identico punteggio ottenuto da Alina e quindi, per la sommatoria tra libero e corto, l’oro va a Zagitova con un totale complessivo di 239.57. Medvedeva si deve accontentare dell’argento distanziata di appena un punto e 32 centesimi; la musica su cui ha pattinato è Anna Karenina di Dario Marinelli, ma non è proprio il caso di meditare la stessa tragica scelta dell’eroina di Tolstoj dopo questo risultato. Alina Zagitova e Evgenija Medvedeva, due astri del firmamento, hanno semplicemente incantato tutti.
[tps_title]1.CURLING MASCHILE[/tps_title]
GIOCHI OLIMPICI: 24 FEBBRAIO. Pyeongchang, Gangneung Curling Centre (Corea del Sud). Stati Uniti – Svezia 10-7: miracolo sul ghiaccio.
John Shuster, Tyler George, Matt Hamilton e John Landsteiner: rispettivamente skip, third, second e lead della squadra più improbabile di tutti i tempi. Shuster sembra il tipico padre di famiglia che si concede una colazione a base di pancakes abbondantemente innaffiati da sciroppo d’acero ed esce dalla sua casetta per andare al lavoro dopo aver portato fuori la spazzatura. Tyler George incarna lo stereotipo del fratello maggiore che ogni ragazzino vorrebbe avere, sempre pronto a cimentarsi in ogni sport con esiti disastrosi. Matt Hamilton, dal baffo volitivo ed esuberante, assomiglia al classico meccanico sporco di grasso che ti accoglie nell’officina più scalcagnata della cittadina di provincia più anonima d’America. John Landsteiner pacioccone e sorridente me lo immagino sbarcare il lunario vestito da Santa Claus durante le feste ululando bonariamente “oh oh oh !” e scuotendo il campanaccio in allegria. Questi sono i componenti della squadra di curling degli Stati Uniti e la loro storia merita di essere raccontata. Shuster, insieme a Landsteiner e altri due differenti compagni di sventura, disputa delle pessime olimpiadi a Sochi 2014: arriva penultimo con un mediocre bilancio di due vittorie e sette sconfitte. Perfidamente i media americani coniano dei neologismi come “Shustering” e “Shustered” che diventano sinonimi di vergognoso fallimento. A quel punto la federazione USA gli dà il benservito: “Sorry guy, good luck…ma non abbiamo più bisogno di te per il prossimo quadriennio”, il povero Shuster subisce l’umiliazione di essere “licenziato” via email. Non si arrende, incontra Matt Hamilton e decidono insieme di fondare una squadra, si allenano a tempo perso perché ora devono lavorare…a tempo pieno, ma ci mettono impegno e serietà. Decidono di battezzare la loro formazione Reject Team che potrebbe essere interpretato liberamente con la definizione “gli scarti”. Torneo dopo torneo scalano la graduatoria nazionale, si aggiudicano il campionato a stelle e strisce nel 2017 e nel 2018, si impongono, tra lo stupore generale, ai trials americani: il posto per Pyeongchang è loro di diritto ! La competizione olimpica comincia tutt’altro che bene: due vittorie e quattro sconfitte, sono con le spalle al muro. Per qualificarsi alle semifinali devono vincere gli ultimi tre match che li vedrà opposti al Canada che sta al curling come il Brasile sta al calcio, alla Svizzera che vanta una grande tradizione e alla Gran Bretagna che non è altro che la fortissima Scozia sotto mentite spoglie. Come va a finire ? 9-7, 8-4 e 10-4, completo trionfo. In semifinale gli Usa se la devono vedere ancora una volta con un Canada desideroso di rivalsa e che non ha mai perso due volte con la stessa squadra in un torneo, ma non c’è niente da fare: l’aurea benedetta che protegge Shuster continua a imperversare e nel derby nordamericano gli yankees si impongono per 5-3. E’ giunto il momento della finalissima: Davide contro Golia. Il Reject Team contro la superfavorita Svezia di Sua Maestà Niklas Edin, due volte campione del mondo e sei volte campione d’Europa. Tutto sembra apparecchiato a puntino per regalare agli scandinavi il titolo olimpico. Il match si mantiene in equilibrio, Edin cerca di scrollarsi di dosso Shuster, ma Shuster non molla, allora il capitano svedese si innervosisce e commette qualche errore, lo score si mantiene in parità: 5-5. All’ottavo dei dieci end che compongono l’incontro c’è la svolta decisiva: lo skyp vichingo compie uno svarione clamoroso allungando uno stone oltre il centro, Shuster ha un’occasione d’oro e con una bocciata magistrale estromette dalla “casa” (il bersaglio circolare rosso e blu in cui si contano le stones valide) le due “pietre” superstiti dell’avversario, rimangono ben cinque stones americane a marcare altrettanti punti, evento più unico che raro nel curling. Gli Usa prendono il largo: 10-5. Il Reject Team esulta senza freni, gli svedesi sono paonazzi e non credono a quello che sta succedendo, i volti sono tirati e la loro proverbiale impassibilità non riesce a nascondere lo sconforto. Dopo aver recuperato solo due punti nel successivo end, alla squadra gialloblù non resta altro da fare che stringere la mano agli statunitensi e arrendersi prima del limite. Punteggio finale: 10-7. Shuster, George, Hamilton e Landsteiner contengono l’entusiasmo, confusi e tramortiti dallo straordinario risultato che hanno raggiunto. Campioni olimpici, onore e gloria agli scarti!
Avrei potuto parlare di tanto altro. Un’ulteriore manciata di storie sui Giochi Olimpici Invernali, tanto per iniziare. In estrema sintesi le raccolgo qui; con scarso spirito patriottico cito solo ora i bellissimi successi delle italiane a Pyeongchang: Sofia Goggia nella discesa libera, Arianna Fontana nei 500 metri dello short track e Michela Maioli nel cross dello snowboard. Le splendide “Farfalle” della nazionale italiana di ginnastica ritmica sono riuscite a strappare un oro alla (quasi) invincibile Russia. Russia che finalmente ha vinto il titolo olimpico nell’hockey su ghiaccio (l’ultima volta che era accaduto, nel 1992, si chiamava CSI). Un’altra favola poco conosciuta alle nostre latitudini è questa: l’Irlanda dell’hockey su prato, senza nessuna tradizione alle spalle, è clamorosamente arrivata alla finale del campionato del mondo, le ragazze sorridevano tutte gioiose e orgogliose mentre ascoltavano l’inno, è solo un dettaglio di poco conto il fatto che siano state surclassate nell’ultimo atto della competizione dall’imbattibile Olanda. Insieme all’Italvolley e alla Croazia del calcio fanno un trio di nazionali “perdenti e contente” perché hanno raggiunto un traguardo al di sopra di ogni più rosea aspettativa. Nei campionati europei di sport acquatici di Glasgow si sono fatti valere i nuotatori, i tuffatori e le sincronette di Russia, Gran Bretagna e Italia, con il fiore all’occhiello della magnifica tripletta nello stile libero (400, 800 e 1.500) di Simona Quadarella. Invece, in quelli di Atletica Leggera a Berlino, l’hanno fatta da padroni britannici, polacchi e tedeschi; tra le tante belle gare è d’obbligo citare quelle in cui i giovani sono saliti alla ribalta: nel salto con l’asta maschile lo svedese Armand Du Plantis (19 anni) e il russo Timur Morgunov (22) hanno battagliato sopra i sei metri per aggiudicarsi il titolo andato alla fine allo scandinavo, mentre il diciottenne norvegese Jakob Ingebrigtsen ha entusiasmato con la sua doppietta nelle gare di mezzo fondo (1.500 e 5.000). Lo sport 2018 ha regalato momenti da non dimenticare. Auguriamoci che il 2019 non sia da meno.