“A volte sono perfetto, a volte peggio del pessimo”, Flavio Cobolli tra talento e sogni da top 20

Un talento che ha scelto la solitudine del tennis

Flavio Cobolli, numero 36 del ranking ATP, è uno dei nomi più promettenti del tennis italiano. Ma la sua storia non parte subito con la racchetta in mano, come ha raccontato nel corso del podcast TennisMania di OA Sport. Fino ai 14 anni, Flavio sognava i campi da calcio, dove ha giocato da terzino accanto a futuri talenti come Riccardo Calafiori e Edoardo Bove. “Credevo davvero di poter diventare un calciatore,” racconta, ma qualcosa lo ha spinto verso un destino diverso: “Mi piaceva giocare da solo. Anche nella vita sono un solitario.” Il tennis, insomma, sembrava cucito su misura per il suo carattere.

Fondamentale, in questo percorso, il supporto della famiglia. “Hanno tralasciato la loro vita privata per il mio sogno,” dice con gratitudine. La madre lo accompagnava ovunque, mentre il padre, ex tennista e allenatore, ha rappresentato una guida costante. Un ambiente sereno, senza pressioni, che ha permesso a Flavio di crescere secondo i propri ritmi: “Oggi vedo tante famiglie che pressano i figli, io invece ho avuto la fortuna di potermi esprimere liberamente.”

La lotta con sé stesso: tra esplosioni e crolli

Cobolli è un ragazzo che non si nasconde. Non lo fa nemmeno quando parla del suo lato più complesso: l’atteggiamento in campo. “Ci sono giorni dove sono pessimo, altri dove sono peggio del pessimo, altri perfetto ed altri ancora dove nessuno sa cosa aspettarsi da me” ammette con sorprendente lucidità. Il suo percorso è segnato da alti e bassi emotivi, dai quali cerca di imparare: “Sto lavorando su questo. A Bucarest ho vinto, poi a Montecarlo ero in forma perfetta. Ma subito dopo sono crollato mentalmente.”

Il match contro Rune al Roland Garros è diventato emblematico del suo dualismo. Dopo due set da dimenticare, una pausa per pioggia e un richiamo deciso dello staff nello spogliatoio lo hanno riportato in partita. Ha lottato, ha quasi ribaltato la sfida, ma alla fine ha pagato “un po’ di sfortuna e tanta inesperienza.”

Il dolore alla spalla a inizio stagione non ha aiutato: “Forse non mi sono fermato in tempo. Mi sono portato dietro l’infortunio per mesi, senza preparazione adeguata.” Eppure, anche dai momenti più difficili, come la pesante sconfitta contro Shevchenko a Monaco, riesce a trarre qualcosa: “Una partita da cancellare. Ma mi sono reso conto di molte cose.”

Sogni e ispirazioni: tra Musetti, Berrettini e la top 20

Cobolli guarda al futuro con ambizione ma senza fretta. “Non mi sono posto obiettivi a breve termine. Vorrei entrare tra i primi venti e giocare i grandi tornei da testa di serie,” afferma, consapevole dei propri limiti tecnici ma deciso a colmarli.

Nel suo cammino non mancano riferimenti preziosi. Il rapporto con Lorenzo Musetti è solido e profondo: “Forse con lui ho il miglior rapporto tra tutti. Lo ammiro tantissimo e lo prendo sempre come riferimento.” Anche Matteo Berrettini è una figura chiave: “Mi ha aiutato tanto, trova sempre il modo giusto per consigliarmi.” Dopo una sconfitta a Miami, fu proprio Berrettini a convincerlo a prendersi una pausa anziché forzare con un Challenger: una scelta che ha portato Cobolli al suo primo trionfo ATP a Bucarest.

La sua carriera è già stata impreziosita da incontri memorabili con due leggende come Djokovic e Nadal. “Con Djokovic mi sono bloccato, era il mio idolo. Con Nadal sembrava di vivere in un altro mondo,” racconta, dimostrando rispetto e una sincera emozione che raramente si colgono tra i professionisti.

Pressione e aspettative: il peso di essere italiani

Uno dei temi più ricorrenti nei suoi racconti è quello delle aspettative. Cobolli non nasconde il disagio per la pressione mediatica che spesso travolge i giovani tennisti italiani: “Ci si dimentica che molti di noi hanno solo 20, 21, 22 anni. Sinner ha 23 anni ed è numero uno al mondo, Musetti è undicesimo, ma sembra che non valga niente. Serve più equilibrio.”

Il confronto con Sinner, pur inevitabile, non lo turba. Anzi, ne parla con stima: “Jannik è un professionista al 100%. Non ci metterà molto a tornare, arriverà in condizioni migliori delle mie.” Una battuta, ma anche un segnale di quanto Cobolli riconosca e accetti il talento altrui senza mai perdere di vista il proprio percorso.

Le Olimpiadi mancate e lo sguardo avanti

La mancata partecipazione ai Giochi di Parigi è stata una delusione cocente. “Ero convinto di andarci,” racconta. Una questione di tempistiche e burocrazia l’ha tenuto fuori dalla lista, ma quella settimana è stata comunque cruciale per la sua carriera: “Ho fatto finale a Washington, è stato quasi un segno del destino.”

Guardando avanti, Cobolli ha le idee chiare: vuole migliorare, crescere, limare le imperfezioni tecniche e mentali. E magari scoprire, come gli hanno detto, che il suo gioco potrà brillare anche sul cemento, una superficie che fino a poco tempo fa non amava. “Magari tra due anni sarà la mia preferita,” dice, lasciando aperto uno spiraglio al cambiamento.

Flavio Cobolli è un tennista in divenire, che vive ogni partita come un capitolo della sua evoluzione personale. Un ragazzo che non ha paura di mostrarsi fragile, e proprio per questo, capace di diventare ancora più forte.

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