“All’inizio il tennis non mi piaceva nemmeno”: la storia fuori dagli schemi di Tonino Zugarelli

Dal sogno giallorosso alla racchetta

La carriera di Tonino Zugarelli, uno dei protagonisti dell’epopea della Coppa Davis italiana, non è iniziata con una racchetta in mano, ma con un pallone. A sedici anni il suo sogno si chiamava AS Roma, tanto da essere convocato per un provino con la squadra capitolina. L’esito, inizialmente incerto, si ribaltò in maniera inaspettata: “Resto seduto ad aspettare per ore e ore. Quando me ne sto andando, dall’altoparlante chiedono se c’è ancora qualcuno che deve fare il test. Mi concedono pochi minuti, tra l’altro all’ala, perciò immagino sia andata male”. Invece no. All’uscita lo fermò Oronzo Pugliese, allora allenatore della prima squadra, che lo rassicurò: “Mi dice che gli sono piaciuto e che si farà sentire”.

Qualche mese dopo arrivò la conferma: la Roma lo voleva nel settore giovanile, ma con una condizione. Zugarelli sarebbe stato girato in prestito all’Almas, una società satellite in Serie D. La delusione fu bruciante: “Sono così deluso che smetto con il calcio”. Fu la fine di un sogno, ma anche l’inizio inatteso di un altro.

Una passione nata per caso

Il tennis, paradossalmente, entrò nella sua vita quasi per necessità. Cresciuto in una famiglia modesta, frequentava i circoli del Tevere non per giocare, ma per fare il raccattapalle: “Così i soci ci davano la mancia”. Durante le pause, lui e altri ragazzi prendevano in mano le racchette per scambi amatoriali. Ma fu proprio in quei momenti rubati che qualcuno notò il suo talento. Lo iscrissero a un torneo di doppio “per non classificati”, e lì Zugarelli si ritrovò a giocare anche il singolare, con ottimi risultati.

Tra il pubblico di quel torneo c’era chi contava: la sua prestazione venne segnalata a Mario Belardinelli, allora direttore tecnico azzurro, che lo volle al centro tecnico di Formia. “Insomma, cominciò così”, ricorda oggi Zugarelli, con la naturalezza di chi non ha mai dimenticato la concretezza delle sue origini.

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Una carriera costruita con tenacia

Iniziata quasi per caso e con un ritardo rispetto ai coetanei – cominciò a 17 anni – la carriera di Zugarelli è stata tutt’altro che modesta. Nonostante un infortunio alla mano destra durante l’adolescenza, che gli costò una falange del pollice, seppe costruirsi una carriera di primo piano: “All’inizio, il problema fu solo psicologico: mi imbarazzavo quando gli avversari mi davano la mano e fissavano la mia”.

Il suo momento più alto arrivò nel 1977, con la finale agli Internazionali d’Italia al Foro Italico contro Vitas Gerulaitis. Zugarelli la ricorda con orgoglio: “Resta sicuramente il torneo più importante della mia vita. Persi con un giocatore che qualche mese dopo sarebbe arrivato al numero 3 del mondo”. Quella partita fu storica anche perché, insieme ad Adriano Panatta, è stato l’unico italiano a raggiungere quella finale nell’Era Open.

Non è un caso che molti associno il suo nome al numero 24 del ranking ATP, ma lui puntualizza: “È sbagliato. Allora l’Atp non pubblicava le classifiche tutte le settimane, e io per 15 giorni sono stato numero 19, c’è scritto pure sul loro libro”.

Oltre la “riserva di lusso”

Nel racconto del suo passato, Zugarelli tiene a chiarire anche un altro punto: non vuole essere ricordato come una “riserva di lusso” nella nazionale di Coppa Davis. “Venivano convocati quattro giocatori e poi si sceglieva la formazione più funzionale per quella sfida. Altrimenti bisognerebbe dire che quando giocai io contro l’Inghilterra, Barazzutti era la mia riserva”.

Quanto all’aura da “squadra irresistibile” che circondava l’Italia della Davis, lui la prende con ironia: “A 19 anni ero sposato, a 21 avevo già due figli, perciò la domanda forse va rivolta a Panatta… Certamente eravamo molto popolari, anche perché le vittorie aiutano”.

Un simbolo autentico

Tonino Zugarelli incarna l’essenza del campione atipico, cresciuto tra i campi di periferia e approdato ai grandi palcoscenici per determinazione, talento e un pizzico di destino. Il suo è un percorso che oggi sembra distante anni luce dalla formazione delle giovani promesse iper-programmate. Eppure, proprio per questo, ancora più affascinante. Un ragazzo che non cercava il tennis, ma che il tennis ha trovato e, alla fine, consacrato.

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