Conosci la redazione di Tennis Circus: intervista a Gabriele Congedo

Inauguriamo una piccola rubrica di intervista ai redattori di Tennis Circus. Inizia Gabriele Congedo, 38 anni, salentino ma residente a Dresda, in Germania.

Gabriele Congedo è entrato pochi mesi fa in redazione, ma è una presenza fissa. Collaboratore prolifico e instancabile, ha sempre ottime idee per articoli che vengono puntualmente sviluppati. La sua è una storia non comune, che merita di essere raccontata.

Ciao Gabriele! Da dove vieni, quanti anni hai e dove vivi ora?
Ciao! Sono Salentino di origine, ho 38 anni, e attualmente vivo a Dresda, in Germania, dopo aver vissuto 5 anni in Belgio e quasi 5 anni nel Nord Italia.

Spiega ai nostri lettori come sei entrato a far parte della squadra di Tennis Circus.
Avrei sempre voluto scrivere o commentare di tennis, sia vista l’esperienza tecnica come giocatore/coach, sia per la conoscenza della storia del tennis giocato. Spinto da mia moglie, e grazie all’aiuto di un amico che gestisce una fanzine sportiva online, ho scritto un paio di pezzi sugli Australian Open di quest’anno, ho condiviso i pezzi su un po’ di pagine, e poi voi (tu, Michele) mi avete notato, ed eccomi qua!

Come e quando ti sei innamorato del tennis? Quali erano i tuoi miti da piccolo?
Verso i 7-8 anni. Mio padre era un giocatore amatoriale presso il circolo tennis del mio paese. Già allora lo guardavamo insieme in TV e mi piaceva molto, poi a 8 anni ho fatto la mia prima scuola S.A.T., e dopo 2 ero già nella squadra agonistica. È stato amore alla prima pallina colpita! I miei miti sono Omar Camporese e Evgeny Kafelnikov, di cui ancora conservo gelosamente i completini da tennis, che indossavo ai tornei.

Sappiamo bene che sei anche un valido giocatore, confermi? Quando ti sei trasferito all’estero hai continuato a giocare tornei ufficiali e hai scritto un bell’articolo sull’argomento. Che differenze (ma anche somiglianze) hai trovato fra il ‘sistema tennistico’ italiano e quello nei Paesi dove hai vissuto?
In realtà in Italia non ho mai espresso al meglio le mie potenzialità, sarà perché ero ancora immaturo o non avevo stimoli adatti. In Italia sono stato vicinissimo a diventare C4 da ragazzino, poi ho smesso per 10 anni causa Università-Dottorato di Ricerca, e quando ho ripreso stavo per salire fino a 4.2, e poi mi sono trasferito in Belgio. In Belgio ho raggiunto il picco della “carriera”, salendo fino alla classifica di B+4/6 (un 3.3/3.2 circa in Italia). Le differenze: anche nelle realtà di circolo, si punta sui giovani e si mandano avanti i giovani a giocare, e non i soliti senatori. Si insegnano ai giovani i valori sportivi innanzitutto, correttezza massima in campo. Sport vissuto come momento di aggregazione e di festa. Sistema online della federazione molto piu’ organizzato. Possibilita’ di fare attività agonistica ed essere membro di un club spendendo molto meno. Una cosa che amo in particolare e’ quel terzo tempo di cui parlo nel mio articolo, in cui a fine match si beve un drink assieme e si chiacchiera. Quanti amicizie sono nate in questo modo…Una cosa però, devo dirla. Prima di andare a vivere all’estero, non avevo mai visto dei giocatori di tennis (non professionisti ma comunque di categoria) farsi la “birretta” al cambio di campo durante un match di torneo 😀 Questo in Italia non credo succeda!

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Paginone di “Het Nieuwsblad”, giornale belga, che parla di me nel 2016. Ho appena vinto, nello stesso giorno, il tabellone sia di seconda che di terza categoria di un torneo, toccando il picco della mia “carriera” da professionista. Tutto questo avviene in un periodo molto delicato, a cavallo fra il mio matrimonio e l’imminente scomparsa di mio padre. Infatti nell’intervista dedico le mie due finali vinte a mia moglie e al mio papa’, tanto appassionato di questo sport.

Sei uno dei nostri collaboratori più validi e hai scritto tanti articoli degni di essere letti. A quale sei più legato e perché?
Beh, grazie davvero per il complimento! Ah senza dubbio il pezzo a cui sono più legato, e anche uno dei primissimi scritti per Tennis Circus, è il ritratto di Omar Camporese. Ricordo bene di averlo scritto tutto d’un fiato, su un volo da Basilea a Berlino prima e sul bus da Berlino a Dresda poi. Vi sono legato perché c’è un che di autobiografico. Omar era uno dei miei miti, e scrivere di quella finale di Rotterdam del ’91 vista in diretta da bambino mi riporta alla mente quegli anni, in cui la mia vita era fatta di tennis, giochi all’aperto, commodore 64, bim bum bam in TV, e in cui tutto era più semplice. 

Nella tua vita esiste solo il tennis o hai avuto modo di seguire/praticare altri sport? Quali?
Ho praticato la pallavolo a un certo livello, come difensore, e sono sempre stato un discreto portiere a calcio-calcetto, ma di fatto ho provato tantissimi sport. Tutt’ora gioco a beach volley, a golf quando capita, e vado spessissimo a correre. Ho seguito molti sport in TV, ero appassionatissimo di sci alpino dai tempi di Tomba, ma non ho mai provato a sciare.

Quali differenze hai trovato sul modo di fare giornalismo sportivo in Italia rispetto agli altri Paesi? Qual è il tuo giornalista preferito di sempre?
Bah, devo dire che la stampa e il modo di fare giornalismo è abbastanza simile negli altri Paesi e in Italia. Si cerca sempre di “aggiustare” la notizia, magari dandole un titolo più a effetto, per attrarre maggiormente il lettore. Un esempio? Una volta, in Belgio, mi intervistarono dopo la vittoria di un torneo per un giornale nazionale. Dissi “oggi ho lottato come un leone”, e nell’articolo venne fuori: “chiamatemi leone!” Mia moglie e i miei amici ancora mi prendono in giro per questo!

In un tuo bell’articolo hai spiegato che i tifosi fiamminghi di tennis, ma anche in generale, sono molto appassionati ma anche estremamente rispettosi e corretti. In cosa pensi che l’Italia, o anche altri Paesi, abbiano da imparare in questo senso?
Credo che in Italia dobbiamo imparare a non diventare così fanatici da sfociare nello scorretto o addirittura nel violento. Non si può diventare malati di un certo sport fino al livello di rubare un punto in campo durante un torneo di tennis amatoriale (con buona pace di tuo padre in tribuna), o accoltellare un’altra persona allo stadio solo perché la sua squadra del cuore è differente dalla tua. E’ una questione di differenze culturali, e sicuramente in Italia si può fare in modo che le cose cambino e lo sport diventi più sano in generale, ma ci vuole tempo e tanta energia per “educare” di nuovo le persone.

Veniamo al tennis attuale: Nadal sta dominando su terra rossa. Credi che la sua supremazia duri incontrastata fino al Roland Garros compreso o c’è spazio per qualche sorpresa? Su chi punteresti maggiormente?
Credo che, a meno di un calo fisico, in questo momento la supremazia di Nadal sul rosso sia assoluta, non vedo rivali di rilievo lungo la strada di Rafa per fare filotto reale sulla terra quest’anno. Credo anche che ci sia una componente di sudditanza psicologica dei suoi avversari, che è come se partissero già sconfitti nell’affrontare Rafa sulla terra, e quindi forse dovrebbero crederci di più. In questo senso, forse, solo qualche giovane ancora spregiudicato potrebbe magari metterlo in difficoltà, noncurante più di tanto di chi c’è dall’altra parte della rete.

Capitolo NextGen: chi è il tuo preferito? Credi che qualcuno di loro sia pronto quest’anno per il colpaccio?
Sono un grande fan dei Next Gen. E’ bello vedere questi ragazzi muovere i primi passi nel tennis che conta e crescere fra alti e bassi, fa tenerezza vedere un probabile futuro n. 1 esultare al primo turno vinto in un ATP 250 come se avesse fatto il Grande Slam! Detto questo, Tsitsipas e Shapovalov su tutti: c’è della genialità in entrambi, oltre ad un meraviglioso rovescio a una mano. Fra non molti anni, mi immagino loro sui primi due gradini del podio mondiale.

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Io e mia moglie Nadia, la donna della mia vita, durante una recente gita nel parco nazionale della Svizzera Sassone, vicino Dresda.

In Italia il tennis femminile, e in parte quello maschile, sembra mancare di un vero ricambio generazionale. Pensi sia corretta questa analisi o ci sia troppo pessimismo?
Non credo sia un’esagerazione. Da ingegnere, faccio parlare i dati. Gli altri Paesi hanno molte più tenniste in top 100 di noi ma soprattutto un vivaio, coltivato a dovere, che a breve darà i suoi frutti o li comincia già a dare. Anche l’età media di maturazione professionale dei tennisti e tenniste in Italia sembra essere più alta rispetto agli altri Paesi. Ci sono due spiegazioni possibili: una è che l’homus italicus sia geneticamente non portato per il tennis (ma lo escludiamo, è ridicolo), e l’altra è che qualcosa non vada nel modo in cui coltiviamo i giovani e in quel passaggio da juniores a professionista, in cui tanti nostri promettenti atleti si sono persi per strada.

Se vuoi, cita una frase legata al tennis al quale ti senti particolarmente legato.
“Giocare sempre con la testa, provando a non regalare nemmeno un 15, anche nell’incontro più facile contro l’avversario più scarso, rimanendo concentrato. Per me il tennis, oltre ad essere lo sport che amo, è un grande esercizio di concentrazione, un challenge continuo fra me e il mio cervello, per vedere quali limiti posso raggiungere ed oltrepassare”. Questa frase è mia. 😉

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