A 32 anni, Damir Dzumhur, oggi numero 63 del ranking ATP, si gode quello che lui stesso definisce un ritorno alla vita, non solo sportiva. Il tennista bosniaco ha attraversato uno dei momenti più drammatici della sua esistenza tre anni fa, quando una pancreatite acuta ha messo seriamente a rischio la sua salute e la sua carriera.
Tutto è iniziato in modo improvviso, durante il Roland Garros del 2022. Aveva appena giocato un match di qualificazione contro Fernando Verdasco quando ha avvertito un dolore acuto e inusuale allo stomaco. “Aumentava sempre di più e ho capito che non era un dolore normale”, ha raccontato in una lunga intervista. Portato d’urgenza in un ospedale di Parigi, è emersa la diagnosi: infiammazione acuta del pancreas, una condizione che, secondo i medici, avrebbe potuto essergli fatale se non fosse stato in così buona forma fisica.
In pochissimo tempo, Dzumhur ha perso 11 chili, passando da 66 a soli 55. “Per la mia altezza era tantissimo. Ero davvero vicino a morire”, ha confessato, sottolineando quanto il suo corpo sia stato messo alla prova. I medici in Serbia, dove ha proseguito la riabilitazione, erano inizialmente scettici sul suo ritorno in campo. Eppure, contro ogni previsione, dopo appena quattro mesi il bosniaco era di nuovo in campo con la racchetta in mano.
Questo ritorno, però, ha avuto un sapore nuovo. “Dopo tutto questo, ho cominciato ad apprezzare il tennis molto di più. Mi sento fortunato per aver avuto una seconda possibilità”, ha spiegato con emozione.
La resilienza di Dzumhur non nasce solo da questa esperienza medica. La sua forza ha radici profonde, piantate nel dolore di un’infanzia segnata dal conflitto. Nato a Sarajevo nel maggio 1992, poco dopo l’inizio della guerra in Bosnia, ha vissuto i suoi primi anni di vita sotto l’occupazione. Anche se troppo piccolo per ricordare direttamente quei momenti, è certo che quell’atmosfera abbia forgiato il suo spirito combattivo. “Sono un bambino della guerra e non augurerei mai a nessuno di passare attraverso qualcosa del genere”, ha detto, lanciando un messaggio di pace in un mondo che continua a conoscere conflitti in paesi come l’Ucraina o la Palestina.
Per lui, lo sport è una forma di unione. “Gli atleti cercano sempre di portare pace e amore. Con il nostro lavoro, riuniamo le persone”.
Nel suo percorso tennistico, due leggende hanno avuto un ruolo chiave: Roger Federer e Novak Djokovic. Il primo, come idolo e modello. “Federer è stato la più grande influenza nella mia carriera. Il suo stile di gioco, il suo modo di essere dentro e fuori dal campo, sono stati enormi per me”. Il secondo, come fonte di ispirazione per tutti i tennisti dei Balcani.
“Djokovic ha dimostrato che anche venendo da un paese piccolo e con poche strutture, si può arrivare al vertice mondiale. Ha spinto tutti noi tennisti balcanici a credere di più nelle nostre possibilità”. Con i suoi 24 Slam e oltre sette anni da numero uno, Djokovic rappresenta per Dzumhur il punto di riferimento per chi cerca risultati, mentre Federer rimane il simbolo dell’eleganza e della passione per il gioco.
Oggi, Damir Dzumhur affronta ogni partita con una gratitudine nuova. Il suo corpo, messo a durissima prova, ha risposto con forza, ma è soprattutto la sua mente a essere cambiata. “Sono felice di poter vivere una vita normale e giocare a tennis”, ha ribadito. La paura di perdere tutto ha trasformato il suo rapporto con lo sport e con la vita stessa.
Quella che sembrava la fine si è rivelata l’inizio di una nuova fase. Un percorso che, per Dzumhur, è molto più di una carriera sportiva: è una vittoria personale.
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