17 dicembre 1976, Estadio Nacional de Cile, l’Italia di Pietrangeli si gioca il tutto per tutto con il Cile nella 65ª finale del massimo torneo riservato alle nazionali maschili di tennis, la Coppa Davis. Quello del ’76, però, fu più di un semplice evento sportivo… La manifestazione si svolse, infatti, sotto circostanze a dir poco singolari e, di conseguenza, si innescarono una serie di meccanismi per i quali, quella che sarebbe dovuta essere una semplice e pura dimostrazione di forza fisica fra esponenti di diverse nazioni, si tramutò in un autentico affare di Stato. Ma andiamo con ordine.
IL PERCORSO DEGLI AZZURRI — Alla Davis del ’76 presero parte 56 nazioni: 32 della zona europea, 12 della zona asiatica e 12 della zona americana. L’Italia ebbe vita facile all’esordio, con due successi per 5-0 maturati contro Polonia e Jugoslavia. A luglio, Roma ospitò la Svezia di Bjorn Borg, il quale, reduce dalla sua prima vittoria a Wimbledon, diede clamorosamente forfait permettendo agli azzurri di continuare la loro cavalcata europea ed avanzare al turno successivo dove ad attenderli c’erano gli inglesi, cui spettò la scelta della superficie. A SW19, nonostante una sconfitta in doppio, la scontatissima erba diede ragione ai nostri, grazie ai risultati ottenuti dalla sorpresa Zugarelli e dal mitico Panatta. L’Italia portò così a casa il punto decisivo su Taylor e volò in semifinale. A settembre, per la semifinale dell’Inter-zona c’era da superare l’Australia di John Alexander, John Newcombe e Tony Roche. Barazzutti batté Newcombe, Panatta perse da Alexander. Il doppio, invece, spettò facilmente agli azzurri. Ai singolari incrociati Alexander si impose su Barazzutti mentre Panatta dovette aspettare il lunedì seguente per vincere l’ultimo singolare con Newcombe, sospeso per oscurità.
AFFARE DI STATO — E così, mancava solo l’ultimo tassello per completare il puzzle più perfetto che si sia mai visto nella storia del tennis italiano. La battaglia decisiva si sarebbe giocata contro il Cile, giunto in finale grazie alla rinuncia di altre Federazioni in segno di protesta contro il regime di Pinochet. Sulla carta l’Italia partiva nettamente favorita ma la questione sollevò non poche reazioni dal punto di vista politico-sociale. La finale divenne un affare di Stato. I giocatori ricevettero enormi pressioni (addirittura minacce di morte) pur di non salire su quell’aereo. Il team composto da Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli temeva di non poter più fare ritorno a casa in caso di vittoria. Dunque, le alte cariche del Paese, per evitare ulteriori disordini, tentarono in tutti i modi di boicottare la trasferta sudamericana, Domenico Modugno scrisse persino una canzone a tal proposito. L’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti temporeggiava, l’estrema sinistra premeva per il forfait dell’Italia, Bettino Craxi diceva che era più importante vincere la partita della democrazia. Alla fine decise il Coni, pressato dallo stesso capitano Nicola Pietrangeli e con un inserimento clamoroso di Enrico Berlinguer. La trasferta si fece e la Nazionale venne accolta con calore in Cile, il fermento fu talmente enorme attorno all’evento che in occasione della finale la capienza dello stadio venne aumentata da quattromilacinquecento a seimila spettatori. Parallelamente, in Italia, (Paese al tempo tormentato dal terremoto in Friuli, lo Scandalo Lockheed, gli omicidi del giudice Vittorio Occorsio, del vicequestore Francesco Cusano e del brigatista Walter Alasia) la reazione fu delle peggiori: cortei e manifestazioni riempirono le strade al grido di “Non si giocano volée con il boia Pinochet”.
FINAL SHOWDOWN — La situazione a casa non condizionò minimamente le prestazioni degli assistiti di Pietrangeli, anzi. Il primo singolare ebbe come protagonista Barazzutti, trionfante al termine di una maratona per 7-5 4-6 7-5 6-1, invece, il secondo vide l’asfaltata di Panatta contro Cornejo con lo score di 6-3 6-1 6-3. Il giorno del doppio fu segnato da una genialata di Adriano che si presenta in campo insieme a Paolo con una maglietta scarlatta: si tratta di una frecciatina rivolta al dittatore Augusto José Ramón Piochet Ugarte, che cancellò la democrazia l’11 settembre del 1973 con un colpo di Stato. I due, spavaldi, esordirono con non poche sofferenze (persero il set d’apertura e si fecero annullare tre match point), e soltanto dopo tre ore in campo riuscirono a mettere in atto la rimonta. Alla fine, bastò una risposta a rete di Fillol per scrivere la storia, e la prima Davis italiana divenne realtà.