Cesare Lombroso, psichiatra ed antropologo torinese, sostenne l’esistenza di una relazione tra le anomalie fisiche di una persona e la sua predisposizione criminale. Dando per valido questo assunto, potremmo affermare che la professione tennistica ha impedito a Sam Querrey di intraprendere una carriera di sicuro successo nel ramo della serialità omicidiaria: lo sguardo trigliato alla Gasparri, denti talmente sporgenti da spingere schiere di dentisti all’abbandono della professione, oltre ad un mento da purosangue del galoppo.
Sarà per questo suo aspetto respingente, o più probabilmente per il suo gioco votato allo scarno utilitarismo, ma a distanza di un decennio dal suo ingresso tra i professionisti, Querrey rimane uno dei giocatori più inosservati del circuito. Eppure, nel suo piccolo, risultati e primati non gli fanno difetto. Il ragazzone di San Francisco, infatti, detiene il record di ace consecutivi all’interno della stessa partita (11 contro James Blake nel 2007), oltre ad essere stato il primo giocatore della storia ad aggiudicarsi il proprio torneo d’esordio (Challenger di Yuba City nel 2006). Un esordio, quello dello statunitense, condizionato pesantemente dall’ingombrante figura paterna. Mike Querrey, promettente prospetto del baseball americano, scelse di rifiutare la chiamata della Major League, nella fattispecie venuta dai Detroit Tigers, anteponendo il proprio percorso universitario al precoce passaggio tra i professionisti.
Quella scelta ne condizionò l’intera esistenza, dato che una tale occasione non gli si ripresentò più, costringendolo ad ammainare amaramente ogni ambizioni agonistica. Qualche lustro più tardi il figlio Sam si trovo innanzi allo stesso bivio. La University of Southern California offrì a Querrey figlio una sostanziosa borsa di studio, offerta che Sam era desideroso di accettare. Fu proprio il padre Mike, però, a boicottarne l’approdo in una delle più prestigiose università della nazione, sottoponendo il primogenito ad un deplorevole diktat. Probabilmente nelle intenzioni del padre risiedeva un barlume di benevolenza filiale, data la volontà di Mike di risparmiare al figlio lo stesso errore commesso lui stesso in gioventù, in considerazione delle promettenti doti tennistiche dell’erede.
Accondiscesa la volontà del padre, Sam si gettò a capofitto nella carriera tennistica, esordendo tra i professionisti ad appena 18 anni. Da allora il mastodonte americano si è tolto diverse soddisfazioni, al netto di una qualità tennistica da onesto gregario. Oltre agli otto titoli conquistati (di cui sei ottenuti sull’adorato cemento statunitense), Querrey nel Gennaio 2011 ha persino lambito la top 15, raggiungendo il suo best ranking con la 17esima posizione in classifica. Titoli, gratificazioni e riconoscimenti insufficienti per togliere a Sam quella cronica velatura di malinconia dallo sguardo.
Andrè Agassi, nella sua formidabile autobiografia romanzata, esordiva così : “Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta“. Forse Sam non nutre lo stesso rancore nei confronti della propria professione, però conosce meglio di chiunque altro quella rabbia di chi non ha potuto scegliere liberamente il proprio destino.