Sampras e Agassi rivali per lo… spot

Sampras e Agassi rivali per uno spot nelle strade di New York. Pistol-Pete ne celebra il ricordo 20 anni dopo e noi ne approfittiamo per ragionare sul concetto di rivalità e fare qualche paragone con le vicende italiane.

Due caratteri profondamente diversi. Due modi di interpretare il tennis e probabilmente la vita.
Uno più votato allo spettacolo, l’altro più sornione e timido. Uno che custodisce un dolore profondo, di natura famigliare, l’altro più felice, ma non per questo mondano.
Di sicuro, due fenomeni del nostro sport, all time: Pete Sampras e Andre Agassi.

La loro rivalità rappresenta l’ultimo grande acuto (non ce ne abbia l’ottimo Andy Roddick) del tennis statunitense: da primi al mondo, n. 1 e n. 2, hanno rappresentanto una rivalità sana e non viscerale, costruita più che altro dal loro comune main-sponsor, che ebbe l’idea di metterli uno contro l’altro in uno spot televisivo girato per le strade della Grande Mela in occasione dell’US Open 1995.
Una sorta di flash-mob, per farsi pubblicità certo, ma anche per coinvolgere l’uomo della strada nelle vicende di uno sport che ha sempre avuto il fasciono dell’elite, e non del pop.

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Se un merito c’è stato in questo rapporto, di sicuro è proprio quello di aver umanizzato l’aspetto tecnico, inarrivabile del nostro sport. Aver portato i giocatori, i migliori al mondo, a contatto con il pubblico ma fuori dal contesto sportivo, mostrando anche la rivalità, la sana rivalità dicevamo che caratterizza i campioni.

Pete Sampras è tornato a parlare di questo aspetto, sottolineando come quei tempi sono un auspicio reale per il tennis americano, oggi in crisi di risultati se rapportato ai loro anni, di dominio assoluto dopo l’ondata svedese degli anni ’80. Cosa ci viene restituito come osservatori? Intanto la saggezza del campione, che sfrutta la propria storia per parlare del movimento tennistico e non di sè, continuando a raccontare la sua storia di uomo mite che non ama i riflettori. Ma non solo, anche la lucidità dell’osservatore che non si autocelebra, che ma sposta l’attenzione sull’urgenza dei tempi, facendosi carico delle proprie responsabilità di trascinatore.

Per noi italiani il ricordo dell’ultima rivalità è quello tra Corrado Barazzutti e Adriano Panatta, due stili di gioco e di comportamento opposti. Purtroppo, temiamo, siamo in pochi a poterne serbare il ricordo, segno che il tennis è ancora sport di nicchia non solo per i risultati, ma per l’attenzione mediatica. E oggi, farebbe tristemente più notizia uno scambio di palleggi tra due star (?) del pallone che tra due campioni della racchetta italiani.

Meditiamo?

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