Poche cose rispecchiano la tradizione del tennis come i quattro tornei del Grande Slam: gli Australian Open, il Roland Garros, Wimbledon e gli Open degli Stati Uniti. I quattro “major”, come siamo soliti chiamarli. Fin dal 1905: anno in cui nacque l’ultimo dei quattro. Quello più lontano. Il primo dell’anno, giocato tra i canguri, sotto il sole cocente del cielo di Melbourne: l’Australian Open. Il tennis, si sa, nasce secoli fa come sport per la nobiltà. Le sue origini si fanno addirittura risalire ai greci, passando per la palla corda fino ad arrivare al maggiore Wingfiled. Ed è sempre stato uno sport restio alle innovazioni, seppure, più avanti di altri per alcuni aspetti. Vedi l’introduzione di hawk-eye.
Ma in un’era come la nostra in cui tutto ruota intorno agli sponsor e si pensa ai posti più disparati per fare giocare delle esibizioni, anche le tradizioni più consolidate devono piegarsi al “business”. Sono recenti i tentativi di accorciare le partite: cambiando il punteggio, eliminando i vantaggi, il net e, non ultimo il tie-break al quinto set in Coppa Davis. Il che equivale a dire a dei bambini di giocare in cortile ma senza fare rumore!
In quest’ottica sembra, tuttavia, meno invasiva l’idea di cui si vocifera già da un pò: l’introduzione di un quinto Slam. I quattro major nacquero quasi a simboleggiare i quattro punti cardinali di questo sport, le sue quattro diverse scuole. Quella americano di Tilden, la francese di Lacoste, quella dei machi australiani ed ovviamente quella di Fred Perry&co.
Realizzare il grande Slam, un termine mutuato dal brigde per intendere la vittoria dei quattro più importanti tornei del circuito significava ergersi a “king of Tennis”. Obiettivo che per le enormi distanze geografiche e le differenti condizioni di gioco solo pochi conseguirono. Ai tempi ci voleva un mese di viaggio in nave per arrivare ad esempio in Australia o negli USA. Oggi l’idea di un quinto Slam soddisferebbe evidenti ragioni economiche.
Si era parlato addirittura di Roma ma checché ne dica la Federazione italiana tennis i giocatori non sono contenti di venire nella capitale. Nonostante l’enorme fascino e bellezza, Roma non è agevole per gli spostamenti e non offre tutti i comfort richiesti dai grandi campioni, che, infatti, preferiscono di gran lunga Madrid. Nonostante il minore prestigio e sebbene gli spagnoli non abbiano alcuna ambizione di divenire un quinto Slam. Per lungo tempo si è invece parlato di Miami. Il vecchio torneo di Key Biscayne, una isola in miniatura di fronte alla città di Miami, ha effettivamente le strutture adeguate. All’altezza dei cugini newyorkesi degli US Open, piuttosto che di un Masters 1000 o quanto altro. Ma Miami e la Florida hanno da tempo perso terreno in favore della California. Edificata sopra dei canali d’acqua conosciuti fin dai tempi degli indiani, da qui il nome, la splendida Indian Wells ha certamente tutte le carte in regola per diventare il posto migliore del mondo, come ha recentemente scritto Nacho Mühlenberg.
Situato in un’oasi del lusso nel centro di Coachella Valley, a due ore di auto da Los Angeles, Indian Wells è il luogo ideale per i giocatori ma, anche per i tifosi, che arrivano in massa grazie ai molti tour operator che organizzano viaggi a Palm Springs e Indian Wells. Con i suoi circa 5.000 abitanti distribuiti su una superficie di 35 km quadri, la cittadina di Indian Wells registra il più alto tasso di miliardari in tutta gli Usa. Il reddito medio per abitante è di circa 100.000$. L’Indian Wells Tennis Garden è un impianto spettacolare e faraonico che conta 29 campi in cemento. Un “centrale” da 16.000 posti a sedere ed il più grande “secondo campo” del mondo con una capienza di 8.000 posti a sedere.
Al loro interno: ristoranti, sale conferenze, box office… Una superficie di circa 2000 metri quadri e quasi 20.000 posti auto. L’Indian Wells Tennis Garden ospita concerti (Eagles, Tom Petty…), partite dell’NBA outdoor, il deseret lexus jazz, festival artistici. Il Master 1000 BNP Paribas Open che si disputa, solitamente, in questo periodo, ha negli anni guadagnato sempre più prestigio, fino alla possibilità di essere candidato a divenire il “quinto slam”. Quattro successi (2015, 14, 11, 08) dell’attuale numero uno del mondo Novak Djokovic; quattro (2012, 06, 05, 04) della leggenda Roger Federer; tre (2013,09,07) di Rafael Nadal.
E poi Lleyton Hewitt, Ivan Ljubicic, Andre Agassi… Il direttore del torneo, Raymond Moore, ha recentemente dichiarato che il torneo potrebbe trasformarsi molto presto in un quinto slam. Ne ha i numeri; le strutture e lo spazio. La superficie è il doppio rispetto a quella di Wimbledon, Roland Garros o dell’Open Australia. Il sogno di un quinto slam nel deserto (Las Vegas non è lontana) si potrebbe realizzare, comunque, non prima del 2019, poiché al momento il calendario è bloccato fino alla fine del 2018.
Ma tutto ciò ha un senso? Istituire un ennesimo Slam sul cemento. Soppiantando, così, forse definitivamente le altre superfici, terra rossa ed erba (ormai già quasi sparita)? Ha un senso realizzare un altro Slam negli States? Non sarebbe il caso di prediligere altri Paesi, favorendo così lo sviluppo stesso del tennis? L’Africa sarebbe, davvero, poco realistico quanto bellissimo. Ma non impossibile sarebbe il Sud America quanto, invece, scontato sarebbe l’Asia. Ma, non Pechino, per favore! Avete visto lo smog? Ed i diritti umani in quel Paese? Lo sport dovrebbe servire anche a questo: favorire il miglioramento della condizione dell’uomo. Ma purtroppo sappiamo bene che sarà Indian wells ad uscirne vincitore, se non addirittura Dubai!