VOTO 10 all’ottava meraviglia di Re Nole – Come lo scorso anno arriva alla fase finale lasciando le briciole agli avversari. Prima della finale perde solamente un set. Il livello si abbassa solamente nel terzo set con Milos Raonic nei quarti e nel primo con Roger Federer in semifinale. Per il resto, si capisce da subito che di tutti, è il più solido. Perché in Australia si sente a casa. E poco importa se la forma fisica non è brillante come lo scorso anno, ad aiutarlo c’è il servizio. Dopo il lavoro su lancio di palla e ritmo d’esecuzione insieme a Goran Ivanisevic nella off-season, i frutti si vedono anche a Melbourne. La prima viaggia 5 km/h in più rispetto al 2019, la seconda addirittura 10. Chiude il torneo con quasi il doppio degli ace (80 contro i 45 dell’anno scorso). I problemi arrivano in finale, quando davanti c’è Dominic Thiem. La resistenza dell’austriaco negli scambi è clamorosa, e per larghi tratti è lui a comandare. Va avanti 2-1 nei set, ma poi entra in un territorio mistico, non di sua competenza. Badate bene, il pagellone tiene conto del torneo non della singola finale. È probabile che un perfezionista come Djokovic, recuperate le energie, si metta ad analizzare come possa essere stato dominato da fondo campo per così tanto tempo in un singolo match. Riuscirà certamente ad accettarlo, ma non senza tentare di evitarlo a partire dal prossimo scontro diretto. Fatto sta che dal quarto set, come successe a Rafa Nadal avanti di un break al quinto nel 2012, Djokovic ha cominciato a non sbagliare più nulla. Pochi rischi, tanto cuore e tanta solidità per portare la battaglia sul lato mentale. Da qui passa la restaurazione lampo di un regno che pareva finito. Salva una palla break nel quarto e poi il break lo fa lui, e porta la partita al set decisivo. Thiem perde lucidità, accelera ingenuamente ed esageratamente e perde sempre più fiducia. “Nole” resta a galla col servizio, e firma la vittoria tra terzo e quarto gioco del quinto parziale. Nel primo strappa la battuta al numero 5 del seeding, nel secondo salva sue palle break che lo lanceranno definitivamente al successo. L’ottava Norman Brookes Challenge Cup, il 17º Major, è il frutto, anche per lui, di un’evoluzione costante, mantenendo il proprio equilibrio, tennistico e mentale. In tali condizioni, Djokovic può sempre dire la sua anche nei momenti di difficoltà. Ha sempre un’occasione in più rispetto agli umani per risalire la china: la freddezza con cui esegue il serve and volley per salvare la seconda palla break ne è la testimonianza. La cattiveria con cui si è ripreso il trono del tennis mondiale dopo averlo perso il 4 novembre, e la prontezza con cui ha rimandato al senso dell’unione nella comunità umana in momenti complicati, nel discorso post match, lo rendono un esempio per tutti i bambini aspiranti tennisti del mondo. Otto gli Australian Open, il voto una conseguenza.
VOTO 9- ad un Thiem imperfetto sul più bello – Il meno è una punizione, non c’è da nascondersi. Perché Dominic Thiem aveva giocato un perfetto Australian Open. Ha dominato contro i francesi Adrian Mannarino e Gael Monfils. E non si è fatto condizionare dai momenti negativi, contro Alex Bolt e Taylor Fritz. Ha saputo accettare i propri errori e riprendere a correre poco dopo, come fanno i campioni. E tra quarti e semifinali, contro Rafael Nadal e Alexander Zverev, lo è stato ancor di più, un campione. Ha avuto in mano le redini costantemente contro il numero 1 del mondo e di lui ha giocato molto meglio i punti importanti. La stessa cosa è accaduta contro il tedesco, in una partita ancor più complessa dal punto di vista mentale. Difficile da approcciare, tesa, perché senza un chiaro favorito. Ma con l’esperienza è riuscito a venirne fuori. Sul sito Atp il 56% dei votanti dava lui vincitore in finale ieri. Forse memore del precedente alle Atp Finals o degli ultimi due negli Slam, anche se sulla terra. O più semplicemente perché, consapevole, o meglio dire speranzoso, quel 56%,che da sfavorito potesse tornare a giocare come nei quarti di finale. Con un’intensità da fondo probabilmente superiore a quella che oramai gli Over-30 Nadal e Djokovic faticano a mostrare. E tutto ciò si è verificato per più di un’ora, con Djokovic apparso come mai prima di oggi così scarico e spossato in una finale Slam. Ma quel segno meno, Thiem se lo merita tutto. Perché avanti nel punteggio è sembrato che gli mancasse qualcosa. Quel qualcosa che fa tremare il braccio, che fa perdere nuovamente fiducia nel rovescio lungolinea, e che alla lunga ti condanna. Perché quando sembri poter tornare a galla, dopo più vincenti di fila, nel momento di riportarsi in partita, la risposta è un po’ più corta, più lenta, attaccabile. O addirittura sei tu il primo a sbagliare, come gli era già accaduto nel match dei quarti, al servizio per chiudere. Ma a differenza di Nadal, in Australia Djokovic non concede due volte. E una volta agguantato l’avversario, lo lavora ai fianchi, aspettando che sia pienamente vulnerabile. È così accaduto soprattutto dalla metà del quarto set. Ed è un segno negativo che preoccupa, perché è la pressione che torna a confondergli le idee. È il nome pesantissimo dell’avversario la cui luce su tabellone, se ci si distrae fissandola per un solo momento, acceca. Thiem ha dimostrato di non essere ancora pronto ad una lotta di nervi così dura, e dopo Nadal, anche Djokovic lo ha piegato nel suo regno. Esce dal torneo conscio di essere al livello dei migliori, oramai, anche sul cemento, ma con un piccolo tarlo. La conservazione del proprio equilibrio interiore nei momenti topici, molto spesso, è una cosa innata, su cui è complicatissimo lavorare. Con i Big Three ancora al top e i giocatori nati dopo il 1995 in straordinaria crescita, nell’anno dei 27 la pressione su di lui aumenta. A giugno si va a Parigi, e lui può vincere. Difficilmente potrà però accadere senza evitare di ripetere quello che oggi si è verificato.
VOTO 8 al coraggio dell’immortale Federer – Ogni Slam è un’avventura. Ed è a questa che va il voto, non semplicemente alle performance sul campo. Queste ultime, per Federer, non sono state molto incoraggianti. Non che abbia giocato male, ma alla sua età è difficile trovare oramai la forma durante il torneo, e non essendo arrivato al meglio, era difficile aspettarsi qualcosa in più. Il cammino è iniziato bene contro Steve Johnson e Filip Krajinovic. Ma la sfida di terzo turno contro John Millman ha forse segnato irrimediabilmente il suo torneo. Con 82 errori non forzati la prestazione è stata lontanissima dalle sue migliori. E sotto 8-4 nel super tie-break, è servito l’incredibile aiuto dell’australiano per portarla a casa, dopo quattro ore e sette minuti di match. Una partita che quasi sicuramente ha influito, costringendolo prima alla mini-rimonta su Marton Fucsovics e poi ad annullare sette palle match al grandioso Tennys Sandgren. Va da sé che il tennis espresso non sia stato quello dei giorni migliori, e poi è arrivato anche il problema all’adduttore. Ma l’arrampicata faticosa fino alle semifinali non è solo grazie a due avversari senza sangue freddo. Viene dalla solita e spietata conoscenza del gioco e del proprio bagaglio tennistico, che ha preoccupato anche Djokovic in avvio al giovedì. Viene anche dallo straordinario valore come persona della leggenda di Basilea. Un valore che sconfina qualità umane nel rifiuto della sconfitta,come contro Sandgren, e che invece diventa umanissimo con l’umiltà e il senso dell’onore con cui è sceso in campo, senza chance di successo, di fronte al Re d’Australia.
VOTO 8, finalmente, a Sascha – Per non tediare coloro che già hanno avuto l’opportunità di leggerlo, nella valutazione, estremamente positiva, dell’Australian Open di Alexander Zverev, rimandiamo ad un articolo precedente. La miglior prestazione Major in carriera, la prima semifinale al diciannovesimo tentativo. Il numero 7 del mondo a Melbourne ha ritrovato soprattutto la calma. E senza troppe aspettative è tornato a servire come aveva fatto sino al 2018, come forse solo lui sa fare. Con una percentuale media di prime in campo superiore al 78%, e con essa un’eguale realizzazione. Se aggiungiamo il differenziale ace-doppi falli, fermo a +59, il gioco è straordinariamente fatto. Seguendo un colpo del genere, il classe 1997 ha perso un solo set per arrivare alla semifinale. Solamente davanti ad un risponditore del livello di Thiem le lacune di Zverev sono venute fuori. E quando sente di non poter fare la differenza col servizio, costretto ad entrare nello scambio, i difetti del suo diritto sono ancora molti. La ricerca di palla con i piedi è ancora un po’ pigra, la velocità del braccio nell’esecuzione piuttosto lenta. Le imprecisioni un po’ troppe per fare partita pari contro un avversario in straripante fiducia. Ma la differenza potrà farla proprio la convinzione nei propri colpi, e questa, in Zverev, sembra tornata.
VOTO 8 anche agli eroi a metà, John Millman e Tenny Sandgren – Tre anni esatti dopo il primo quarto di finale Slam, si ripete. La più grande sorpresa è ancora lui. E la sua corsa, fermatasi ad un punto dalla semifinale, ha ridimensionato fortemente anche quella di Matteo Berrettini. Atleticamente è uno di quelli arrivato meglio a Melbourne, e con la sua forma fisica ha dovuto fare i conti anche Fabio Fognini, estromesso negli ottavi dopo un incredibile match point. Pesantezza come pochi da fondo campo con entrambi i fondamentali, abbinati ad una tenuta che solo nel 2017 s’era vista. E che è venuta meno solo al momento di riscrivere la propria storia battendo Federer. Esattamente come è accaduto a Millman, che però già aveva avuto tale privilegio allo Us Open di un anno e mezzo fa. Di potenza ne ha di meno dell’americano, ma per qualità fisiche e resistenza è uno dei migliori al mondo. Quando gioca di rovescio in quel modo, poi, davanti al suo pubblico, e caricandosi ad ogni punto insieme a coach Lleyton Hewitt è una goduria per gli occhi.
VOTO 7, provaci ancora Fabio – Si ferma ancora negli ottavi e fallisce al momento di eguagliare il suo miglior risultato Slam di oramai quasi nove anni e mezzo fa. A 32 anni continua ad essere croce e delizia, incubo per i suoi detrattori e i suoi sostenitori, che soprattutto nei Major mette a rischio infarto. Parte con una rimonta da 0-2 su Reilly Opelka, e poi da 2-0 è costretto a chiuderla, contro Jordan Thompson al quinto set, dove è sempre uno spettacolo, come è stato e continua ad essere Andreas Seppi. Poi illude tutti surclassando Guido Pella e regalandosi l’ottavo contro un giocatore alla portata come Sandgren. E quindi torna a mancare un po’ di stoffa ed emergono i rimpianti. Tante le chance di break sprecate nel primo, così come le energie utilizzate per rientrare dallo 0-4 nel secondo parziale, poi comunque perso 7-5.
VOTO 7 a Rublev, Khachanov e Kyrgios – L’australiano caratterialmente è un po’ come l’azzurro di Arma di Taggia. Davanti al suo pubblico, quest’anno mostra però una versione inedita, mai vista prima. Resetta tutto dopo un set perso e riprende a giocare, limitando ai minimi storici proteste e sceneggiate che gli possano far sprecare risorse mentali preziose. Suo è l’omaggio più bello a Kobe Braynt, oltre che uno dei match più belli del torneo, contro Karen Khachanov. Anche il russo merita finalmente la promozione, tornato almeno contro l’australiano ai livelli di intensità del 2018, e fermatosi sull’8-7 del tie-break finale a due punti da una storica rimonta. Di entrambi fa meglio Rublev, che però arriva agli ottavi contro Sascha Zverev senza più energie dopo un dispendiosissimo inizio di stagione. Eppure, dopo i tornei vinti a Doha ed Adelaide, prima di arrendersi è riuscito ad imporsi, contro classifica, anche su David Goffin. Una crescita esponenziale, che non sembra destinata fermarsi.
VOTO 7 ai ritrovati Cilic e Raonic – I due ex finalisti di Wimbledon sono le note liete alla voce “ritorni”, nel primo Slam del nuovo decennio. Negli ottavi si scontrano, e Milos Raonic vince 3-0, sorretto da 35 ace con il servizio mai perso nelle prime quattro partite. Un servizio che firma anche il più grande exploit del terzo turno, con lo scalpo di un impotente Stefanos Tsitsipas. Il canadese ripete il quarto dello scorso anno in Australia, con la speranza di ritrovare finalmente continuità a differenza degli anni passati. Quanto a Marin Cilic, l’ottavo di finale è ben più inaspettato, per i suoi recenti standard. Il croato ha prima passeggiato su Corentin Moutet. Poi, sorprendendo proprio dal punto di vista fisico, e con una tenuta mentale ed un’ambizione perse per strada nell’ultimo anno e mezzo, è uscito fuori da due battaglie al quinto set contro Benoit Paire e Roberto Bautista Agut. Due giocatori molto più in forma di lui negli ultimi tempi. Con la risposta, soprattutto di diritto, però, ha faticato in tutto il torneo, e la ragione del 3-0 contro Raonic sta soprattutto lì, oltre che nella fatica accumulata
VOTO 6 a Rafa Nadal e Daniil Medvedev – Meriterebbe forse qualcosa in più il numero 1 del mondo (da oggi nuovamente scalzato da Djokovic, di nuovo in vetta). Ma la verità è che questo sembra essere il voto che si sceglierebbe anche lui, se non altro per le occasioni insolitamente mancate nel match dei quarti. Per non aver mai trovato costanza, per essersi mostrato poco sciolto, nonostante il solito emozionante spirito combattivo. Ma la superficie non lo aiutava, coi rimbalzi più bassi. E col campo più lento e senza troppa profondità non è riuscito a esprimere il tennis brillante degli ultimi Major, limitando anche le discese a rete. Ha dovuto subire l’iniziativa di Thiem per quasi tutta la partita, per una sensazione di precarietà che probabilmente non l’ha lasciato tranquillo al momento di cogliere le proprie occasioni con il solito killer instinct. Insieme al mancino di Manacor salviamo anche il numero 4 del tabellone, Daniil Medvedev. Pazienza se ha deluso le aspettative di chi lo dava finalista insieme a Djokovic. La sconfitta con Stanislas Wawrinka, incostante nella sfida di New York, ci può stare. Quando mette la testa avanti col pieno di fiducia, lo svizzero rimane difficilmente attaccabile.
VOTO 5 alle sconfitte troppo nette di Tsitsipas e Sinner – Così è tempo di passare alle prestazioni sottotono. Nonostante sia numero 6 al mondo, un voto più basso per il campione delle Finals sarebbe stato ingiusto. Al primo confronto diretto, anche se è sintomo di una scarsa prontezza di fronte alle situazioni inedite, si può ammettere una sconfitta contro uno dei migliori battitori al mondo. E per questo lo si può perdonare. Jannik Sinner, invece al primo main draw diretto, ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Con le premesse di fine 2019 e la vittoria alle NextGen Atp Finals controllando il gioco anche in finale su Alex de Minaur, la sconfitta di secondo turno contro Marton Fucsovics risulta un po’ troppo netta. L’inizio di stagione è complicatissimo con tre sconfitte ed una sola vittoria, ma almeno per questo 2020 ha quasi tutto il tempo che vuole.
VOTO 5 alla ciurma azzurra, ma senza Seppi il salvatore – L’altoatesino, in Austrialia, che sia Australian Open o i tornei preparatori presenti fino all’anno scorso, merita sempre grandi lodi. E non perché chi scrive sia italiano: è vero che lo sport ripudia il condizionale, ma avanti di un break al quinto contro Wawrinka al secondo turno, Andreas Seppi è andato vicinissimo a scrivere un altro Australian Open, ancora e sempre magico per lui. Magico come al primo turno, dove difficilmente tutti gli altri suoi connazionali avrebbero lasciato a zero nel computo dei set uno come Miomir Kecmanovic. Come detto, la sconfitta di Berrettini, è stata ridimensionata poi dalle imprese di Tennys Sandgren. Il romano è stato il tennista più vicino anzi a sconfiggerlo prima di Federer, avendo sciupato diverse palle break nel set decisivo. Rientrante dall’infortunio, ha diverse attenuanti, anche se la sua trasferta nell’altro emisfero rimane di poco sotto la sufficienza. Tra gli altri, solo Marco Cecchinato ha opposto una degnissima resistenza a Zverev. Caruso, Giustino e Travaglia invece, avevano obiettivamente un tabellone difficile, anche se l’ascolano avrebbe potuto fare di più in un momento come quello che sta vivendo, che si spera continui il più a lungo possibile.
VOTO 3 a Denis Shapovalov e all’incostanza di Borna Coric – Molte meno attenuanti invece per il canadese, che all’Atp Cup era sembrato uno dei tennisti più pronti all’appuntamento clou. Un Major che però l’ha visto fare un piccolo passo indietro rappresentato dai 62 gratuiti del primo match contro Fucsovics. Un plauso va all’ungherese, ma il modo in cui il numero 13 del seeding lascia dei punti interrogativi. Sotto nel punteggio non ha tenuto fede ai progressi fatti, aumentando a dismisura i rischi e l’avventatezza dei suoi 20 anni. È rimandato a Miami, dove difende la semifinale, per un esame di affidabilità molto più probante rispetto al primo vero torneo dell’anno. Continuano invece gli alti e bassi di Borna Coric. Dopo il 2019, al cui termine è giunta anche la separazione con lo storico coach Riccardo Piatti, nel primo match della Atp Cup, il croato aveva sconfitto addirittura Dominic Thiem. E invece, pur consapevoli e rispettosi del valore di un tennista quale Sam Querrey, 6-3 6-4 6-4 è un punteggio fin troppo negativo con cui approcciare al primo Slam dell’anno.