Non si placano le polemiche intorno alla nuova edizione degli Australian Open. A far discutere, questa volta, è – e non è una novità – la bolla nella quale i giocatori dovranno rimanere per limitare il rischio di contrarre il covid-19.
A scendere in campo, seppur metaforicamente parlando, è stato Novak Djokovic rimasto perplesso dalle differenze di trattamento che Tennis Australia ha riservato ai diversi giocatori. I primi del ranking, sia ATP che WTA, infatti risiederanno ad Adelaide e non a Melbourne e potranno godere di qualche libertà in più.
Un grattacapo non da poco per il serbo che ovviamente potrebbe favorire di questo trattamento speciale ma che mal si sposa con il suo intento di azzerare le disparità tra i tennisti, principio – tra l’altro – su cui si basa la creazione della PTPA.
Tra i benefit previsti dagli organizzatori per i giocatori più “importanti” oltre a qualche ora in più di libertà si aggiunge anche la possibilità di portare con sé un entourage più ampio e, anche per loro, non ci sarebbe l’obbligo di restare “chiusi” nella camera d’albergo per tutto il giorno.
L’ora d’aria – anzi le 5 ore – da passare all’esterno potrebbero essere ben di più così come la palestra dell’albergo che sarà aperta 24 ore su 24 ad Adelaide e i giocatori potranno sfruttarla a loro piacimento.
Non è stato solo Novak Djokovic a rimanere quantomeno perplesso da questa scelta che, in ogni caso è giusto ricordarlo, agevolerebbe anche i partner di allenamento dei top players. Il primo a scagliarsi contro questa decisione è stato il 33enne transalpino Jeremy Chardy.
Il francese, infatti, rappresenta per l‘ATP Council tutti i giocatori dalla 51esima posizione a quella numero 100. Ancora non sono iniziati – con il via fissato per il prossimo 8 febbraio – ma gli Australian Open 2021 hanno tutt’altro che vita semplice.