Le dimensioni non contano e la lunghezza non è determinante, queste sono le puerili rassicurazioni alle quali gli uomini tendono più facilmente ad abboccare (presenti esclusi). Ecco, se c’è un ambito della vita in cui lunghezza e durata non sono necessariamente sinonimo di piacere e appagamento questo è il tennis.
Prendiamo l’archetipo del tennis tantrico, Isner-Mahut Wimbledon 2010: 183 games, 11 ore di tennis spalmate su 3 interminabili giornate. I cultori del “Siffredismo” tennistico lo ricorderanno come uno di quegli eventi storici a cui si ha avuto l’onore di assistere. Il resto del mondo invece serberà solo l’incommensurabile usura genitale causata da una partita la cui durata è stata inversamente proporzionale ai contenuti tecnici offerti, con la beffa della forzata simulazione dell’orgasmo finale, per non apparire insensibili alla portata “epocale” dell’evento.
Fatte queste scomode precisazioni possiamo affrontare, con animo più leggero, il carpiato temporale che ci farà rivivere una di quelle sfide in cui lunghezza, durata, bellezza, piacere, sofferenza ed esaltazione si fondono magicamente fino a centuplicarne l’intensità, il kamasutrico confronto tra Francesca Schiavone e Svetlana Kutnetsova, ottavo di finale degli Australian Open edizione 2011.
Le due protagoniste sono tanto diverse quanto complementari, esponenti di due filosofie tennistiche agli antipodi. Francesca è il frutto di una laboriosa decantazione, un talento tanto indolente quanto cristallino, esploso quando anche i più devoti sostenitori cominciavano a disperare. Ottiene il suo primo e unico slam a 30 anni, l’età in cui solitamente le giocatrici fanno il loro ingresso nella temuta menopausa tennistica.
Svetlana invece incarna la predestinazione genetica, figlia di una campionessa olimpica di ciclismo, a 16 anni già occupa la prima posizione mondiale della classifica junior e a 19 conquista il suo primo torneo dello slam. La partita inizialmente viene marchiata dai colpi di frusta della leonessa milanese. Subito in vantaggio di un break, l’italiana gestisce il vantaggio nonostante i ripetuti tentativi di rimonta della Kuznetsova. La russa pasticcia, tradendo un certo nervosismo, mentre la Schiavone, la cui autostima dopo il trionfo al Roland Garros è esponenzialmente cresciuta, sembra in grado di condurre il match secondo il piano tattico a lei più congeniale. Il primo parziale si risolve in suo favore con un 6-4 privo di patemi.
Il secondo set si decide nei primi 3 giochi, Francesca spreca malamente la palla break che avrebbe potuto tramortire definitivamente la russa. Sveta fiuta l’occasione di ribaltare l’inerzia della sfida e, dopo un turno di servizio in cui la Schiavone inanella una serie di grossolani errori, si ritrova nell’inedita condizione di vantaggio. La restante parte del set è un assolo della Kuznetsova, riappropriatasi della propria identità tennistica. Francesca pare aver repentinamente smarrito la lucida audacia che aveva sciorinato per un’ora abbondante di partita. I destini incrociati delle due protagoniste generano un perentorio 6-1 in favore della russa.
Il set decisivo è teatro delle incalcolabili sfaccettature dell’animo umano, in cui coraggio e pavidità si avvicendano in modo schizofrenico e spiazzante.
Schiavone smaltisce a tempo di record le scorie del precedente parziale strappando il servizio alla russa e portandosi rapidamente sul 40-15 nel proprio turno di battuta. L’italiana però commette due doppi falli consecutivi che equivalgono ad un colpo di defibrillatore per l’avversaria, il controbreak è servito. Ora la partita deraglia dai binari tecnico-tattici e imbocca la carreggiata dell’imponderabilità.
Le contendenti palesano tanta vigoria in risposta quanta fragilità al servizio, uno stillicidio di break e contro break traghettano il match fino al 8-7 per la Kuznetsova, quando sul servizio della Schiavone si procura tre match point consecutivi per aggiudicarsi i quarti di finale. L’italiana però sfodera due folgoranti prime di servizio che, unite ad un tremebondo rovescio di Sveta, rimandano i titoli di coda di questo kolossal.
Nel breve volgere di pochi sospiri i ruoli si invertono nuovamente, Francesca la miracolata ora può avvalersi di altrettanti match point per guadagnarsi l’opportunità di servire per la vittoria. Anche in questo caso la giocatrice in risposta volava sullo 0-40, anche in questo caso le prime due palle break sfumavano a causa del servizio dell’avversaria. Sul 30-40 la Kuznetsova, sempre più spesso a rete nonostante in quelle zone del campo non sia propriamente una maga, si inventa una clamorosa volè smorzata. Francesca arriva in corsa ma sbilanciandosi al punto da incagliarsi nella rete prima che la palla tocchi terra per la seconda volta. Niente da fare.
Al servizio sul 8-9 l’italiana concede un’altra terna di match point. Recupera dal 15-40 al 40-40 prima con un grande servizio poi con un fulminante dritto, e salva il sesto match point al termine di un punto la cui visione è sconsigliata ai cardiopatici, scavalcando con un lob l’avversaria ancora proiettata a rete.
Sul 9-9 pari ecco la Schiavone piazzare il break , nel gioco successivo Svetlana ristabilisce la parità restituendo quanto l’italiana le aveva tolto poco prima. Francesca in comando dello scambio ma situazione ribaltata con un pallonetto. Ancora break e controbreak per arrivare 11-11, quando le protagoniste depongono momentaneamente le armi per prepararsi all’assalto finale.
Sul 14-14 la Kuznetsova, giunta a 40-30 grazie a un’ardita demivolè , dopo non aver trasformato il game point concede l’ennesima coppia di palle break. La Schiavone trasforma la seconda con un punto da cineteca. Altro salvataggio di mezzovolo della russa prima che la Schiavone portasse a casa il quindici con la difficile volè in allungo. Nel trentesimo game la Kuznetsova tenta l’ultima reazione portandosi sullo 0-30. Francesca infila tre punti consecutivi e giunge a match point. L’azzurra prova a chiudere in fretta cercando di sorprendere col serve and volley. Il terzo tentativo è quello che pone fine a questo indelebile safari nella psiche umana.
Quattro ore e 44 minuti di autentica e ininterrotta passione. A dimostrazione del fatto che nel tennis le dimensioni contano, ma solo se si sanno usare nel modo giusto.