Serena Williams si è arresa, nella nottata italiana, davanti a Karolina Pliskova. Tre set lottati che hanno regalato alla ventiseienne ceca la prima semifinale in carriera agli Australian Open e il sogno di una seconda finale slam, dopo quella persa agli US Open 2016, che la ceca si concesse proprio dopo aver battuto la pluricampionessa slam. Serena, in conferenza stampa, è apparsa amareggiata, consapevole di essersi lasciata sfuggire una qualificazione importante che le avrebbe dato l’opportunità di giocarsi il tutto per tutto contro Naomi Osaka, in un remake della settembrina partita newyorkese, ancora fresca nella memoria di tutti e non solo per il risultato finale. Williams, in questo Open d’Australia, ha mostrato una progressione tattica e motivazionale importante. Ha infatti potenziato e velocizzato maggiormente i colpi in uscita dal servizio, ma è chiaro come ancora soffra la corsa negli spostamenti laterali. Nessuno, a parte Simona Halep, era riuscita a destabilizzarla in campo fino ad oggi, quando si è trovata opposta una Karolina Pliskova che ha interpretato un match stellare, come la stessa campionessa ha riconosciuto. La ceca sta recuperando agilità, testa e voglia di vincere e nel match odierno ha tirato fuori tutta la forza e l’orgoglio di cui dispone, per ottenere uno scalpo che in parte sa di bravura e in parte di miracolo. Un fallo di piede sul match point del terzo set rimanda la pratica al successivo turno di battuta di Serena, ma Pliskova non demorde e colpisce gli angoli come e meglio di un cecchino e, a furia di far correre la Williams a destra e a sinistra, le fa perdere gli appoggi e le causa (senza intenzione) un piccola storta alla caviglia sinistra. La ceca vincerà tutti i games successivi fino al 7-5 finale, spinta da una trance agonistica che poche volte è stata in grado di esprimere, mentre Serena sarà costretta a rimandare il sogno del ventiquattresimo slam a data da destinarsi. In fondo, però, il Roland Garros dista solo pochi mesi e il tempo per ritrovare una forma eccellente, che le possa regalare questa ennesima soddisfazione, non manca.
Ciò che ha sorpreso, della gara odierna, è stata la mancanza di cinismo da parte di Serena Williams nel concretizzare almeno uno dei 4 match point avuti a disposizione. Non è da lei insomma, non siamo abituati. Solitamente la statunitense non concede mai troppe chances ed è letale nei momenti che contano. Oggi, invece, ha tremato e non è riuscita a sfondare né col servizio, né col dritto, tanto meno col rovescio, tradita forse da una tensione che normalmente la sfiora solo da lontano. Sul possibile infortunio alla caviglia non ha speso molte parole anzi: ha rassicurato tutti sul fatto che non è nulla di serio. L’ex numero uno, stranamente, non ha nemmeno accennato al fallo di piede comminatole sul match point. Piuttosto si è soffermata sui meriti dell’avversaria, riconoscendo il valore della prestazione profusa sulla Rod Laver Arena, ma resta un piccolo dubbio sulla possibilità che non tutti i suoi pensieri siano stati tirati fuori. Oggettivamente, nonostante la sconfitta, alla Williams si può rimproverare poco, soprattutto perché nel giro di 10 mesi e avendo partecipato a soli otto tornei, ha rimesso in piedi una carriera che l’aveva vista lo scorso anno, e proprio all’indomani degli Australian Open, sprofondare oltre la posizione numero 400, mentre ora si assesterà appena a ridosso della top ten. Secondo Flavia Pennetta, opinionista ai microfoni di Eurosport, Serena ad un certo punto della partita si è impaurita, per non dire paralizzata. Sembra incredibile poter azzardare una simile affermazione, perché di solito è sempre stata la Williams ad incutere paura e timore reverenziale nelle avversarie ma, sempre a parere della nostra Flavia, Serena è andata in tilt per via del foot fault a cui non ha reagito platealmente, probabilmente condizionata dall’ultimo discusso episodio avuto con Carlos Ramos, ma il cui ricordo estemporaneo potrebbe averle creato un malessere interno che poi l’ha condotta alla perdita totale del controllo della gara. Nel Tennis, si sa, quando un atleta scende di livello l’altro, di converso, acquista fiducia. Perciò, una volta avvertito il tremolio, Pliskova ha preso coraggio e ha dato sfoggio a tutto il repertorio in dotazione. Baciata dalla fortuna di pizzicare ogni riga a disposizione, ha rimesso in carreggiata una partita già persa e acchiappato, nel rush finale, una semifinale d’oro. Dal canto suo Serena, stavolta, non è riuscita e reagire, sintomo che le scorie della finale di Flushing Meadows non sono ancora state smaltite, ma ciò non toglie che la corsa al ventiquattresimo major non deve essere considerata del tutto persa. E’ chiaro che l’età avanza anche per lei e che contemporaneamente le avversarie maturano e migliorano; è ovvio che i suoi scricchiolii danno modo alle altre tenniste di prendere coraggio e di non partire battute dopo il primo quindici, come accadeva in passato. Ma le risorse e la fame di gloria di Serena Williams non sono esaurite e il fatto che lei non accenni minimamente al ritiro ne è la testimonianza più grande. Ancora secondo la nostra cara Flavia Pennetta, il cammino della statunitense si arresterà solo quando il suo palmares slam verrà equiparato a quello di Margareth Smith Court e fino ad allora lei sarà sempre lì, pronta a tentare un aggancio che sta diventando una vera e propria ragione di vita, ovviamente dopo la famiglia e la sua adorata Alexis Olympia.
Da Indian Wells ripartirà un cammino che oggi è stato interrotto, ma lo sguardo della campionessa slam, all’uscita dalla Rod Laver Arena, parla chiaro: non è finita qui. A dettare le regole del commiato sarà lei.