Il dibattito sulle scommesse nel tennis è più vivo che mai. L’episodio che ha coinvolto lo sfortunato Raul Brancaccio, sconfitto in 3 set dopo aver sprecato l’inverosimile al 1° turno del Challenger di Napoli, ha ormai fatto il “giro d’Italia”. Essere originario di Torre del Greco e avere il tifo contro nel torneo pressoché di casa, una cosa del tutto priva di senso. Partendo da questo presupposto, tanti appassionati della racchetta si sono sentiti giustamente in dovere di dire la propria, condannando gli atteggiamenti dei “tifosi” accorsi al TC Napoli.
L’atteggiamento messo in atto dal gruppo di giovani è inqualificabile. Durante tutta la settimana (in corso) del torneo napoletano, hanno sfruttato l’occasione di mettersi in gioco, scommettendo ‘on site’ sul ricchissimo campo di partecipazione. Ciò che ha destato però l’indignazione di molti, è il fatto che il tifo profuso dai giovani non fosse, in primo luogo indirizzato per forza ai beniamini di casa, ma bensì per chiunque promettesse una chance di profitto. Va detto che, nella giornata di lunedì, si è assistito a una partita surreale tra Herbert e Brancaccio. Il francese era il favorito dalle quote iniziali ma, a seguito di un primo parziale a dir poco orribile, la sua vittoria è passata da 1.75 a 4.00, salvo aumentare ancora quando il tennista di casa è andato avanti di 2 break nel 2° set.
I poco educati scommettitori partenopei hanno ravvisato l’occasione di ottenere un profitto e sono “entrati” su Pierre Hugues Herbert. Fin qui nulla di condannabile, cosa c’è di sbagliato nel puntare i propri soldi su un evento sportivo, ciò che è seguito però è del tutto ingiustificabile. Urla in faccia al 28enne azzurro, schiamazzi tra prima e seconda di servizio come fossimo in Coppa Davis (l’originale) hanno fatto la parte del leone fino al 6-0 finale con cui il francese ha chiuso la pratica. La frustrazione per Brancaccio è chiaramente inevitabile, non tanto per i 7 match point non sfruttati, quanto per l’orribile sensazione di essere ospite in casa propria.
Questo lungo preambolo è doveroso, ed è necessario condannare atteggiamenti di questo tipo, anche mediante l’intervento delle Forze dell’ordine. C’è però un lato della storia che non tutti conoscono. Le piattaforme betting sono una vera e propria “fonte di tennis”. Semplicemente avendo almeno un euro sul proprio conto, è possibile avere l’accesso a tutti i campi di tutti i tornei non solo del circuito maggiore, ma anche di quello Challenger e della maggior parte dei tornei Futures. Un prodotto di altissimo livello, per nulla paragonabile a ciò che le pay TV offrono, seppur trattandosi di un servizio puramente di streaming e senza commento.
Possibile che il tennis desti così tanto interesse per gli scommettitori? Si, senza ombra di dubbio. Come sappiamo le partite all’interno del rettangolo di gioco non possono mai definirsi finite, soprattutto a livelli inferiori. Tralasciando l’atteggiamento orribile già precedentemente denunciato da chi scrive, la vittoria di Pierre H. Herbert sul 4-1 sotto nel 2° set pagava circa 14 a 1. Vale a dire che, con 10 euro d’investimento, se ne sarebbero potuti incassare ben 140. Possibile che si giochi più sul tennis che sul calcio? Si, se consideriamo l’ammontare di avvenimenti giornalieri che lo “sport del diavolo” offre quotidianamente.
Non ultimo, il 24 volte campione Slam Novak Djokovic propose di liberalizzare i rapporti di sponsorizzazione tra società di betting e giocatori di “secondo livello”. Se chiunque può scommettere quanto vuole su una partita di 1° turno di qualunque Futures, viene da chiedersi perché il montepremi non sia in alcun modo proporzionale al prodotto offerto. Come sappiamo, i giocatori che occupano le posizioni oltre la 300/400ª del Ranking ATP spesso e volentieri, tranne eccezioni NON dovute ai montepremi, si ritrovano a spendere molto più di quello che guadagnano. Vuoi per mancanza di sponsor, vuoi per montepremi non all’altezza del livello espresso, questo è ciò di cui da anni i giocatori di “secondo livello” lamentano.
Viene da chiedersi se, laddove non esiste un divieto di scommettere liberamente e visto il seguito che il betting genera nei tornei minori, non sia il caso di includere le piattaforme nell’associazione capitanata da Andrea Gaudenzi. Ciò verrebbe visto in maniera oltremodo negativa da puristi della materia, ma si verrebbe in qualche modo a capo di una parte di problemi economici. Senza bisogno d’esser rimarcato, tutto ciò deve giungere proporzionalmente a un aumento delle pene per chi si comporta come hanno fatto i 20 tifosi a Napoli. Tutto ciò deve chiaramente coincidere con una sempre maggiore tutela sul match fixing, altra battaglia gigante nel mondo delle racchette, che difficilmente verrà vinta a priori.
Lorenzo Menichetti