Nel mondo del tennis, pochi nomi evocano la stessa reverenza di Bjorn Borg, icona svedese che ha scritto pagine indimenticabili nella storia dello sport con 11 titoli del Grande Slam e un dominio quasi mistico, in particolare sulla terra battuta. Le sue epiche sfide con John McEnroe hanno segnato un’epoca, alimentando una rivalità intensa che con il tempo si è trasformata in una profonda amicizia.
“Siamo buoni amici, ci telefoniamo, ci vediamo, trascorriamo del tempo con le nostre famiglie”, ha raccontato Borg in una recente intervista a Mundo Deportivo. L’ex campione ha sottolineato quanto sia importante mantenere quel legame, non solo per il passato condiviso ma anche per ciò che rappresentano oggi. “Abbiamo portato il tennis a un altro livello, abbiamo aiutato questo sport e ne siamo orgogliosi”. Curiosamente, quando si incontrano, non parlano mai di tennis: “Parliamo di altre cose della vita che ci sembrano più importanti”.
Accanto alla leggenda, si fa strada una nuova generazione. Leo Borg, 21 anni, sta cercando di costruirsi un nome nel tennis professionistico. Attualmente classificato al numero 496 del mondo, il giovane tennista affronta un percorso in salita, inevitabilmente condizionato dal peso di un cognome che ha fatto la storia. Ma ciò che ha davvero colpito gli appassionati è il suo atteggiamento indipendente nei confronti del padre.
Durante la stessa intervista, Bjorn ha raccontato un aneddoto rivelatore sul loro rapporto: “Gli ho chiesto: ‘Hai qualche domanda? Puoi sempre venire da me e chiedermi qualsiasi cosa.’ E mio figlio dice: ‘Non capisci niente di tennis.’ Bene, grazie mille.” Una risposta tanto spiazzante quanto emblematica di un desiderio di affermazione personale.
Bjorn, premiato di recente con il riconoscimento ‘Fuera Pista’ all’Open di Barcellona, ha aggiunto con tono sereno: “Può venire da me quando vuole. Ha un buon team che viaggia con lui. E io ci sono ogni volta che vuole o ha bisogno di me.”
Il caso di Leo Borg apre una riflessione interessante: quanto è difficile per i figli delle leggende costruire una propria identità? Nel caso di Leo, la scelta è chiara: preferisce seguire il proprio istinto, circondarsi del suo team e affrontare il circuito ATP secondo la propria visione. La presenza del padre non è assente, ma discreta, quasi simbolica. E forse proprio questo equilibrio tra sostegno e distanza può rivelarsi decisivo nel suo percorso.
La sua decisione di non affidarsi ai consigli di uno dei più grandi di sempre ha sicuramente suscitato stupore nella comunità tennistica, ma mostra anche un lato umano e autentico della relazione padre-figlio. In un mondo spesso dominato da pressioni familiari e aspettative, Leo sceglie la via più rischiosa ma anche più personale: quella dell’autonomia.
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