73 domande a Roger Federer

Il famoso format di Vogue fa visita a Wimbledon: tra aneddoti, risate e sogni, un Roger Federer assolutamente inedito.

Joe Sabia, famoso giornalista di Vogue e ideatore del format “73 Questions”, è andato a trovare il re di Wimbledon, Roger Federer, e lo ha sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio, passeggiando tra i luoghi iconici dell’All England Lawn Tennis Club. Mettetevi comodi e godetevi le risposte, a volte simpatiche, a volte più serie, del 20 volte campione Slam.

Come ti senti?
Alla grande, felicissimo che sia il momento di giocare Wimbledon, amo questo posto.

Cosa consideri il tuo miglior colpo?
Lo slice, forse il dritto.

Perché non hai il rovescio a due mani?
Tutti i miei idoli avevano il rovescio a una mano, non avevo scelta.

Hai una connessione con la tua racchetta?
Sì, la amo, è un’estensione del mio braccio, è lei che fa le magie al posto mio.

Cosa preferisci del giocare a Wimbledon?
La storia e la tradizione.

Come ti senti a giocare sul Centre Court?
È un sogno che diventa realtà per ogni tennista.

In famiglia hai qualche soprannome?
Sì, mi chiamano “Rog” e anche “Roch-ee”, in svizzero-tedesco.

Qual è la cosa più svizzera che ti contraddistingue?
Sono cioccolato-dipendente. Vale come risposta?

Quante lingue parli?
Parlo svizzero-tedesco, tedesco, inglese e francese.

Hai qualche espressione preferita in queste lingue?
Mi piace “allez” in francese, “come on” in inglese, “chum jetze” in svizzero-tedesco, parlando di campo da tennis.

Perché si mangiano fragole e crema qui a Wimbledon?
Non so, è una cosa tipica, tradizione.

È vero che hai cominciato come raccattapalle?
Sì, ero uno di loro. Avevo circa 12 anni e lo facevo al torneo di Basilea, la mia città natale. L’ho fatto per due anni, è stato bellissimo.

A 12 anni quante ore al giorno giocavi?
Due ore al giorno, un giorno sì e un giorno no, più o meno.

E quante ore oggi?
Tra le zero e le quattro ore. Devo risparmiare energia qualche volta.

Chi era il tuo idolo nel tennis?
Boris Becker, Stefan Edberg e Pete Sampras.

Quando hai realizzato per la prima volta di essere davvero forte?
Nel circuito juniores pensavo di esserlo e poi quando ho battuto Sampras nel 2001. Mi sentivo di essere forte, anche se è sbagliato dirlo. 

È vero che tua mamma è un’allenatrice di tennis?
Sì, un po’ lo è, ma non mi ha mai allenato.

E qual è il miglior consiglio che ti abbia mai dato?
Sicuramente: “Non far mai rimbalzare la palla due volte”. Ha senso, è semplice. Corri sempre verso la palla, come un cane.

Quale consiglio daresti ai raccattapalle di oggi?
Lavorate duro, sognate in grande. A volte non lo facciamo abbastanza, pensiamo sempre che ci siano delle barriere. Prendetevi ciò che volete.

Erba o terra rossa?
Erba, ovviamente.

Dritto o rovescio?
Dritto.

Colpi piatti o top-spin?
Top-spin.

Con quali serie TV sei in fissa ora?
Nessuna, in realtà, ma adoravo Prison Break. Molto figo.

Il tuo modello di stile?
Tom Ford.

Cosa indossi quando ti senti al meglio?
Il completo è molto bello, ma direi costume da bagno e t-shirt sulla spiaggia.

Qual è la cosa più preziosa che tu abbia mai indossato?
Al Met Gala (gala di beneficenza organizzato da Vogue, ndr) ho indossato uno smoking di Gucci con una specie di cobra sulla schiena, tutto fatto di diamanti.

Cosa fai nei tuoi giorni liberi?
Niente. Me la prendo con calma, sto con i bambini.

Qual è il miglior consiglio di moda che tu abbia mai ricevuto?
“Tu indossi i vestiti, non i vestiti che indossano te.” E poi una volta Anna Wintour (storica direttrice di Vogue, in carica dal 1988, ndr), quando le ho chiesto se avrei dovuto indossare il completo scuro o quello chiaro, mi ha detto: “Quello scuro Roger, è ovvio.” Anna ne sa sicuramente più di me.

C’è qualcosa di te che pensi che la gente non sappia?
Non lo so, penso di aver fatto un sacco di interviste. Penso che la gente sappia tutto per adesso.

Hai due coppie di gemelli. Onestamente, ti sei mai confuso?
Qualche volta in passato, magari quando non li vedevo di faccia, ma in generale no. Sono un professionista ora.

Cosa hai imparato dai tuoi bambini?
La pazienza e le coccole, la parte migliore.

E cosa speri che i tuoi figli imparino da te?
Qualunque cosa. Voglio insegnar loro tutto quello che so e anche di più. Li amo tantissimo.

Di tutti i posti in cui hai giocato nel mondo, qual è il più bello?
Ho giocato al passo Jungfraujoch, sulle montagne svizzere, assieme a Lindsay Vonn (campionessa di sci, ndr). Poi il Centre Court di Wimbledon di sicuro.

Dove tieni tutti i trofei?
Ho una grande stanza a casa, ma c’è sempre spazio per un altro trofeo.

Quale tradizione di Wimbledon apprezzi di più?
Forse il fatto che il Centre Court venga inaugurato dal campione in carica all’una del lunedì.

Ti ricordi il primo torneo professionistico che hai giocato?
Certo, Gstaad 1998, dopo aver vinto Wimbledon juniores.

Il momento più sorprendente della tua carriera?
Diventare numero uno del mondo e vincere tutti i tornei che ho vinto è più sorprendente di qualunque sogno che io abbia mai avuto. Non avrei mai pensato di vincere così tanto.

Il cimelio più bello che conservi?
La rete della finale di Wimbledon 2009, vinta contro il mio amico Andy Roddick.

Consideri il tennis il tuo sport preferito da vedere?
Sì, assieme al calcio e al basket. Amo il basket, è molto bello.

Da piccolo hai anche giocato a calcio giusto?
Sì, l’ho fatto.

Cosa ti ha fatto scegliere il tennis e non il calcio?
Non volevo rendere triste il portiere, volevo addossarmi io la colpa, forse è questo che mi ha fatto scegliere il tennis. Fortunatamente l’ho scelto.

Qual è la sfida da atleta che non riuscivi ad accettare all’inizio?
All’inizio avevo una terribile nostalgia di casa, poi il jet-lag e tutte le interviste. Non mi fidavo dei giornalisti all’inizio. Poi, piano piano, ho iniziato a divertirmi anche durante le interviste.

Come vorresti essere ricordato?
Come un buon esempio nel tennis, un filantropo, ovviamente anche come un buon giocatore.

È vero che ti piace mangiare il gelato prima delle partite?
Cosa? No, ne mangio un sacco dopo i match, ma mai prima.

Vorresti vincere la nona volta a Wimbledon?
Otto è un bel numero, è il mio preferito, ma nove suona meglio.

Qual è stata la vittoria più memorabile qui?
2003. La prima, ho pensato di avercela fatta. Ho realizzato il mio sogno di vincere Wimbledon. È stato epico.

Ed è vero che incidono subito il tuo nome dopo la vittoria?
Sì, persino sul trofeo. Quando lo sollevi c’è già il tuo nome sopra, poi esci dal campo, ti guardi a destra e anche sulla parete c’è il tuo nome.

Qualcosa di veloce su Rafael Nadal?
Un ragazzo intenso sul campo, molto onesto ed aperto fuori. Ha un cuore d’oro. Mi aiuterà anche con la mia fondazione il prossimo anno, proveremo a battere il record di spettatori a Città del Capo. Non vedo l’ora, grazie Rafa.

Hai qualche rituale scaramantico pre-match?
Non sono per niente superstizioso.

Che musica ascolti prima di una partita?
Di solito non ne ascolto, ma qualcosa di rilassante è l’ideale.

Cosa dici a te stesso prima di camminare sull’erba del Centre Court?
Forza Rog, ce la puoi fare. Vai e divertiti. Forza!

Il tuo miglior ricordo a Wimbledon?
La prima vittoria nel 2003 o la partita contro Sampras del 2001.

Cosa senti durante il match point?
Riesci a sentir cadere uno spillo quando stai per servire. Nessuno parla, è incredibile, qualche colpo di tosse forse, poi il pubblico esplode quando vinci.

Chi è la prima persona che cerchi fra il pubblico?
Voglio sentire le vibrazioni, quanto il pubblico sente la partita, poi controllo il mio team e se sono già tutti seduti, poi l’arbitro e l’avversario.

Hai una forte concorrenza: qual è stato il giocatore che hai avuto più paura di affrontare?
Rafa Nadal.

Il tuo avversario preferito?
Rafa Nadal.

E con chi vorresti una rivincita?
Forse con Del Potro, agli US Open del 2009.

Hai una tattica che si chiama “fuoco e ghiaccio”. Cosa significa?
Penso che sia necessario essere infuocati dentro, avere la volontà di vincere ogni punto e dare il massimo. E poi avere ghiaccio nelle vene: essere totalmente concentrati nei punti chiave, devi essere calmo e composto. 

Prepararsi per un match di primo turno e prepararsi per una finale: cosa cambia?
Non dovrebbe cambiare niente, ma a volte sei più agitato di altre.

Quanto ti agiti prima di giocare?
La quantità di farfalle che senti nello stomaco fa la differenza.

Calo fisico o calo mentale? Cosa è più difficile da combattere?
Direi mentale. A volte è difficilissimo riprendersi, non è sempre facile rimanere positivi.

Serve and volley o solidità da fondo?
Un po’ di entrambe.

Cosa è più difficile da dominare tra il lavoro con i piedi e la tecnica?
Il footwork è più facile da perfezionare. Sui colpi il talento gioca un ruolo più importante.

Ultima domanda: com’è sopravvivere con Bear Grylls (Federer ha girato un episodio assieme al famoso documentarista ed esperto di sopravvivenza Bear Grylls, ndr) rispetto a sopravvivere a Wimbledon?
Un po’ diverso. Bear ha fatto vedere che ero congelato, che ho fatto la pipì sul fuoco, cose che non faccio a Wimbledon. Bear è venuto a vedermi in finale, era seduto nel Royal Box, a fianco al mio team e a mia moglie. Un momento bellissimo.

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