Alexander Zverev e gli Slam: questo matrimonio non s’ha da fare

15 partecipazioni Major e solo un risultato degno di nota: troppo poco per uno degli indiziati a dominare il prossimo tennis mondiale.

Siamo alle solite. L’appuntamento fisso post-Slam sulla prestazione di Sascha Zverev oramai è diventato rituale. Il fatto che sia un qualcosa di stabile deve preoccupare – e non poco – il tedesco perché significa che anche in questo Slam la sua partecipazione è stata incolore. Zverev continua il suo mood mediocre nei Major, nonostante sarebbe falso dire che non ci sia stato nessun progresso. Dalla sua prima partecipazione agli Australian Open, infatti, Zverev è riuscito a migliorarsi nel tempo… ma in che modo? Dal 2015 al 2019, Sascha è passato da avere come miglior piazzamento un primo turno al misero quarto turno. Quattro anni per quattro turni sembrano un po’ troppi, soprattutto se nel frattempo Alex è diventato numero 3 al mondo. C’eravamo lasciati con tante buone speranze nel 2017 quando Zverev in preda ai crampi crollò al quinto set contro Rafa Nadal. Quella prestazione sembrava dovesse essere l’inizio di una progressione – che nella carriera del tedesco effettivamente c’è stata – ma che invece si è rivelata essere un fuoco di paglia quantomeno nell’ambito Slam.

Nel tennis, gli Slam costruiscono la maggior parte del valore, della carriera e della credibilità di un tennista e molte volte è meglio progredire nei Major piuttosto che accumulare risultati qua e là nel circuito. Sascha Zverev ha una vera e propria maledizione da Slam perché pare strano che un giocatore del suo calibro – in grado di conquistare 10 titoli, 3 Masters 1000 differenti più altre due finali e le ATP Finals a meno di 22 anni – non riesca a generare buone prestazioni nei tornei più importanti. A tutto questo, va aggiunto il fatto che suoi coetanei come Chung nel 2018 e Tsitsipas nel 2019, pur avendo vinto meno e essendo classificati in posizioni peggiori, abbiano raggiunto prima di lui una semifinale Slam. Inoltre, dando un occhio agli altri tennisti emergenti, i risultati di Zverev negli Slam si allineano ai best results di Khachanov, Medvedev e Coric. I cinque citati tennisti insieme non hanno vinto quanto Zverev eppure negli Slam fruttano prestazioni simili o migliori. Questo è un punto su cui Sascha farebbe bene a riflettere.

Il quarto di finale del Roland Garros dello scorso anno rimane l’unico bagliore di luce – seppur fioco – in mezzo a tanti terzi e quarti turni che compongono la tabella Slam di Sascha. In quella partita, inoltre, infortunio o meno, Zverev non diede minimamente l’idea di poter battere Dominic Thiem. Intorno a quella singola cavalcata di Parigi, si intersecano una serie di risultati deludenti e partite gettate al vento. Partendo dall’ultima uscita australiana – culminata con l’eliminazione secca da Milos Raonic – per arrivare all’altro incontro tra il canadese e Sascha a Wimbledon 2017 – una partita in pugno al tedesco ma buttata via per la solita instabilità e frustrazione – passando per le uscite incolori a New York, lo Slam peggiore per Zverev.

Sembra non stia servendo a nulla il cambio di coach – da Ferrero a Lendl – poiché Sascha continua a macinare miglioramenti in tutto ciò che fa da contorno agli Slam. Finals, numero 3 del ranking, miglioramento complessivo nei Masters 1000 non possono sostituire una o due grandi uscite negli Slam, anzi, tutto il progresso ottenuto nei restanti tornei ATP non ha fatto altro che alzare le aspettative su Zverev sin da subito.

Forse il ragazzo non è ancora pronto per reggere così tanta pressione: dopo la vittoria di Roma 2017 e l’ingresso in top 10, Zverev crollò subito a Parigi uscendo per mani di Verdasco all’esordio. Questa frustrazione ha preso piede ancora nell’ultima partita contro Raonic dove Alexander ha mostrato ancora una volta le sue difficoltà. Negli Slam, tornei lunghi e dispendiosi mentalmente e fisicamente, è fondamentale che i grandi campioni riescano a gestire agilmente le prime partite: questo è un qualcosa che Sascha ancora non riesce a fare, visto che dilapida energie preziose in partite che dovrebbero essere facilmente gestibili. A Melbourne, cinque sofferti set con Chardy e rimanendo solamente al 2018, si ricordano i 5 set con Fritz a Wimbledon, i 15 set in tre partite consecutive con Lajovic, Dzumhur e Khachanov a Parigi – e dopo queste fatiche, come pretendere di impensierire Thiem? – e in 4 set con Gojowczyk agli Australian Open prima di crollare al quinto contro Chung.

Per far sì, dunque, che Sascha spicchi il volo negli Slam serve una correzione di tutti questi elementi, altrimenti per molti anni si parlerà sempre di un giocatore incompleto.

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