Nel mondo del tennis, dominato dalla visibilità dei grandi singolaristi, c’è chi lavora nell’ombra con determinazione, passione e una visione chiara. Andrea Vavassori, torinese classe 1995, oggi è uno dei protagonisti più rappresentativi del doppio a livello internazionale. Dietro al suo successo non c’è solo talento, ma una lunga gavetta, sacrifici familiari e una filosofia di sport costruita sulla condivisione.
Il percorso di Vavassori non è stato quello classico del predestinato. “Quand’ero piccolo non ero un talento, non ero sicuro di sfondare,” racconta. “Ho fatto la mia gavetta con i tornei regionali. Non ho fatto un’attività junior sostenuta perché andavo al liceo.” Con il supporto costante della famiglia – il padre maestro di tennis, la madre presente, pochi soldi ma tanta determinazione – Andrea è riuscito a costruirsi passo dopo passo una carriera professionistica. Solo dopo il liceo è arrivata la svolta con i Futures, i Challenger e infine il circuito ATP.
Il doppio, in questo cammino, si è rivelato la chiave di volta. “Mi ha aiutato a bruciare le tappe rispetto al singolare,” ammette. Nonostante alcune incursioni promettenti nei tabelloni principali dei tornei Slam in singolo, il successo vero è arrivato con la specialità a coppie, fino a diventare un punto fermo del circuito e membro del ‘Player Council’ a rappresentanza dei migliori 25 doppisti del mondo.
Andrea parla del doppio con una passione autentica. “La cosa più bella del doppio è che in uno sport fortemente solitario c’è la possibilità di condividere un percorso con una persona che può diventare un grande amico.” Questa filosofia trova la sua incarnazione perfetta nella collaborazione con Simone Bolelli. “Ho avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo meglio. Siamo diventati molto amici. Giocare insieme, vincere e perdere insieme è una bella cosa. Il singolo non ti dà questo.”
Il doppio, oggi, è una disciplina estremamente tecnica, in cui la preparazione tattica è fondamentale: “Ormai è molto focalizzato su servizio, risposta e gioco di volo. Devi studiare gli avversari quasi più che nel singolo.” L’alchimia con Bolelli è solida anche nei momenti difficili. “Ci sono partite in cui uno gioca meglio dell’altro, ma l’importante è sostenersi sempre. Non abbiamo mai avuto screzi.”
Il senso di responsabilità di Vavassori si estende anche alla sfera familiare. Condivide il campo con il fratello minore, promettente tennista di 20 anni, con cui ha già giocato in doppio. “Mi sento responsabilizzato. Lui è già avanti in doppio, ma nel singolo sta iniziando ora. A Minorca ha giocato molto bene, ero davvero contento.”
Questa capacità di supporto, di “esserci” per l’altro, è diventata la cifra distintiva del suo modo di vivere il tennis, dentro e fuori dal campo.
Il rispetto per gli altri emerge anche nei confronti di due tra i principali protagonisti del tennis contemporaneo: Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. Con il primo, compagno di squadra in Coppa Davis, c’è stima profonda, pur senza un legame personale stretto. “La stampa vorrebbe che fossimo tutti super amici. Con Jannik non sono cresciuto insieme, ma lo rispetto molto. Mi ha impressionato come atleta e come persona.”
A Sinner, Vavassori ha espresso solidarietà anche nel delicato caso Clostebol. “Non voglio fare polemica, ma ho voluto garantire il mio sostegno. È una persona super positiva.”
Su Alcaraz, affrontato due volte in singolare, parole altrettanto lusinghiere: “È uno dei miei preferiti. Sempre solare, con un grande team. Saluta tutti, sono quei piccoli gesti che fanno la differenza.”
Essere un tennista professionista, però, significa anche confrontarsi con numerose difficoltà quotidiane, non sempre visibili agli occhi del pubblico. Dalla gestione economica (“A livello Challenger spesso le spese superano i guadagni”) al fardello della reperibilità per i controlli antidoping, Vavassori non nasconde le fatiche. E con ironia racconta un episodio curioso: “Mi sono trasferito in una casa nuova a novembre e non ho ancora il campanello. Il controllore bussava, io pensavo fossero i lavori in casa. Quando ho capito era troppo tardi, avevo già fatto pipì. Ho dovuto bere due tè e acqua. Ci ho messo un’ora e mezza!”
Il momento più emozionante? Senza dubbio la Coppa Davis vinta nel 2024. “Durante l’ultimo game di Sinner contro Griekspoor ho iniziato a piangere. Ho ripensato a tutto il mio percorso. Poi ho guardato mio padre, anche lui era in lacrime. Ce l’abbiamo fatta. Con Simone ci siamo messi un braccio attorno e abbiamo pianto. È stato un momento bellissimo.”
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