A. D. 2016, 7 Novembre. Andy Murray diventa il nuovo numero uno del mondo in quel di Bercy, a Parigi, dopo un’annata tennistica che definire fantastica non rende giustizia. Tre finali slam di cui una vinta a Wimbledon, tre Masters 1000 conquistati a Roma, Shanghai e Bercy (nell’Urbe aveva addirittura fatto doppietta tra festa di compleanno e primo sigillo al Foro Italico), secondo oro Olimpico a Rio de Janeiro, tre titoli ATP 500 tra Vienna, Pechino e il Queen’s di Londra, vittoria alle ATP Finals e ultimo, ma non meno importante, la nascita della primogenita Sophia, frutto dell’unione storica accanto alla bellissima moglie Kim Sears. Nel 2017, col tracollo dell’egemonia di Novak Djokovic e il punto di domanda sulla condizione fisica di Federer e Nadal, tutto sembrava avallare l’ipotesi che lo scozzese avrebbe detto la sua anche stavolta e fino a Febbraio del 2017 sembrava così, nonostante la prematura dipartita dagli Australian Open che poi ha favorito la vittoria in volata di Roger Federer. In quel periodo aveva comunque raggiunto la finale a Doha, persa di un soffio dal rivale di sempre Djokovic, e il titolo a Dubai, per poi incappare in un lento declino che lo ha portato a resistere fino alla stoica semifinale del Roland Garros, persa al quinto con Wawrinka, per poi arrendersi inesorabilmente a Querrey nei quarti di finale a Wimbledon e doversi rassegnare alla consapevolezza che il problema all’anca destra non poteva più essere sottovalutato. Di conseguenza stop lunghissimo di sei mesi e riposo assoluto, interrotto da un maldestro tentativo di apparizione presso il torneo di Abu Dhabi, che ha messo in mostra tutte le difficoltà motorie accumulate fino ad allora. Gamba destra completamente fasciata, mobilità ridotta all’osso, condizione fisica precaria e la certezza che per tentare di ritornare ad assomigliare al giocatore del biennio 2015-2017 l’unica via praticabile era quella dell’intervento chirurgico, e così è stato. A Gennaio di quest’anno ha affrontato la delicata operazione in Australia, con l’impegno di fermarsi almeno altri sei mesi. Lo stop si è poi accorciato a cinque, dato che il campione di Dunblane ha partecipato prima al Queen’s poi all’ATP di Eastbourne. Aveva dato per certa anche la presenza a Wimbledon, ma il giorno prima dell’inaugurazione del torneo ha dovuto optare per il forfait, in quanto consapevole di non poter competere al meglio dei 5 set, decisione che ha destato parecchie critiche dato che il tabellone era stato già sorteggiato. La rinuncia allo slam londinese è costata non poco ad Andy che, scivolato già allora oltre la centesima posizione e non potendo difendere i punti dell’anno precedente, è letteralmente precipitato all’838esimo scalino, situazione impensabile fino a qualche mese fa. Murray proprio a Wimbledon ha impiegato il suo tempo come telecronista per la BBC ed è stato uno dei primi a pronosticare, con ragione, la vittoria di Novak Djokovic sui campi di Church Road. Appena appresa la notizia, a torneo concluso, di essere sceso oltre la ottocentesima posizione ha commentato il surreale piazzamento, sia sul suo profilo Istangram che su Twitter, con un inaspettato “sono orgoglioso“. Tale affermazione che ad una prima lettura potrebbe sembrare assurda, verte sul fatto che il tennista britannico, fino a qualche mese fa, non era minimamente certo di poter rientrare e giocare una partita ufficiale perciò, sebbene la situazione non si presenti come oggettivamente entusiasmante, lo scozzese si ritiene comunque fortunato di aver ripreso a calcare i campi e di non essere stato costretto al ritiro come, in alcune occasioni, era stato paventato da giornalisti ed esperti del settore. Murray, che ha ripreso ad allenarsi stabilmente dalla primavera scorsa, disputerà (salvo complicazioni fisiche) tre tornei di fila, ovvero Washington, Toronto e Cincinnati. Per quest’ultimo, assieme a Victoria Azarenka, ha chiesto e ottenuto una wild card, essendo stato campione per due volte nel 2008 e 2011, nonché finalista nel 2016. Le intenzioni, da parte sua, sembrano quelle di voler tornare ad essere continuo e competitivo il più a lungo possibile. Al Queen’s ha giocato una buona partita contro Kyrgios, sebbene le gambe sembrassero ancora un pochino lente e rigide; ad Eastbourne è apparso in crescita, avendo battuto prima Stan Wawrinka per poi perdere da Kyle Edmund, uno dei tennisti più in forma, a tutt’oggi, del circuito. Resta da valutare quanto il cambio di superficie possa influenzare la mobilità del campione britannico, dato che è accertato come il cemento sia la superficie più dispendiosa ed usurante per gambe e articolazioni.
A Washington si capirà, dunque, se Murray potrà aspirare ad ottenere dei risultati positivi ed incoraggianti per il prosieguo di carriera e se, nei tornei a venire, potrà nuovamente salire sui podi che contano. Inutile dire che avrà bisogno di tabelloni favorevoli e di partite non troppo tirate, per riuscire a spuntarla senza andare in apnea dopo un set e mezzo. Molti sono i dubbi e i quesiti che permangono, ma di questo giocatore si conoscono benissimo la passione, l’impegno e la risolutezza. Perciò non è esagerato aspettarsi che il futuro gli riservi ancora delle belle soddisfazioni.