“Fa male, ma molto meno di prima. Temevo di non poter nemmeno riuscire più a scendere dal letto”. Aveva così parlato Guga Kuerten, dopo l’operazione all’anca a cui dovette sottoporsi nel 2002: il brasiliano, che aveva decretato il successivo come “l’anno del ritorno”, non era più riuscito a spaventare con quel rovescio lungolinea che lo aveva portato al top della classifica mondiale. In realtà, nel 2004, Gustavo scese fino al numero 576 del ranking, per poi ritirarsi nel 2005 (anche se non lo fece mai definitivamente fino al 2008).
Il 3 maggio 2008, anche David Nalbandian subì un intervento all’anca destra: il risultato fu che nella conferenza in cui parlò il primo ottobre dello stesso anno, il talento argentino annunciò il suo addio al tennis, dovuto proprio ai problemi fisici considerati ormai irreversibili.
Avrà pensato sicuramente anche a questi due casi Andy Murray prima di decidere di non andare sotto i ferri e di curare la propria anca con il riposo. Sono passati più di cinque mesi da quando vedemmo per l’ultima volta lo scozzese scendere sul rettangolo di gioco per “qualcosa” di diverso da uno sterile prize money. In quell’occasione, come è ben noto, perse in cinque set contro Sam Querrey, ma in pratica giocò gli ultimi due parziali stando in piedi e facendo forza su una gamba sola. Erano circa le 17 del dodici luglio e probabilmente Murray, tornando negli spogliatoi dell’All England Club, pensò che a quell’orario nei giorni successivi a quello sarebbe stato più spesso seduto ad un tavolo a prendere il più classico degli english tea piuttosto che su un campo da tennis. E così fu.
Muzza si è da poco fatto rivedere sul rettangolo di gioco in occasione dell’esibizione di un set che ha “giocato” al Mubadala World Tennis Championship contro Bautista Agut, ad Abu Dhabi. La parola giocato è tra virgolette perché mi rifiuto di pensare che il suo attuale livello di gioco sia quello mostrato in quel set (perso). Il problema all’anca è ben più grave di quanto anche lui stesso prevedesse, e la naturale conseguenza a quella sconcertante esibizione è stata il ritiro dal tabellone principale di Brisbane e, presumo, anche da quello degli Australian Open, a cui aveva programmato di presenziare. Non avrei mai voluto scriverlo, credetemi, ma ad oggi l’ipotesi del ritiro sembra dover essere presa in considerazione. Alcuni specialisti a cui Andy si è rivolto hanno spiegato che il giocatore potrebbe non tornare mai più a giocare ad alti livelli, altri hanno pronosticato che un suo addio al tennis giocato sarebbe la soluzione in questo momento più plausibile, mentre altri ancora ritengono che con un intervento il dolore dovrebbe sparire.
Nell’amarissimo e commovente post su Instagram di ieri, Andy ha lasciato intendere che il suo amore sconfinato per il tennis gli consentirà e in un certo senso lo obbligherà a fare tutto il possibile perché ritorni a giocare davvero, e quindi, a questo punto, l’unica opzione (deduco io) da prendere in considerazione e conseguentemente da attuare sarebbe quella dell’operazione, che scartò lo scorso luglio. Ovviamente, sui social si sono susseguiti messaggi di auguri dai colleghi: su tutti quello di Rafa Nadal, che ha così commentato il post sul popolare social network: “Andy, ci manchi tanto e speriamo di rivederti presto. Riprenditi amico mio!”. Mi unisco spassionatamente al messaggio del numero uno del mondo, che in questo momento rappresenta il sentimento che lega tutti gli appassionati di tennis del mondo.