Tennis. Signore e signori, Marcos Baghdatis. In questo prevalentemente grigio mercoledì italiano probabilmente non si vedranno caroselli o manifestazioni pubbliche al riguardo, ma per chi conosce ed ama il tennis le 30 primavere del tennista cipriota sono l’ennesima pietra miliare, simbolo indiscutibile che la generazione sta cambiando e con lei fisiologicamente anche gli interpreti che in questi anni le hanno dato vita.
Nonostante il best ranking da N.8 ATP, datato 21 Agosto di quello che per lui è stato il 2006 anno di grazia, Baghdatis ha sempre vaporizzato il suo talento ed il suo estro a piccole dosi, quasi casualmente e di certo inaspettatamente, complice qualche infortunio nel corso della sua carriera e quella tenuta mentale che di certo non può essere considerata come cavallo di battaglia.
Nato in una famiglia benestante che gli ha permesso di crescere immerso nel tennis fin dall’età di 13 anni, quando si trasferì in Francia per allenarsi a tempo pieno, Marcos si è fatto strada nel circuito Junior sfiorando per due volte il successo agli US Open, nel 2002 sconfitto in finale da Richard Gasquet e nel 2003 quando perse da Jo-Wilfried Tsonga, e conquistando la vittoria agli Australian Open 2003 dopo aver sconfitto in finale Florin Mergea; già, gli Australian Open che appena 3 anni dopo gli avrebbero aperto le porte del paradiso di quelli che solitamente sono 15 giorni che valgono tutta una carriera o quasi, e di certo per Baghdatis non è da fare eccezione.
Riuscì a raggiungere l’atto finale degli Open australiani battendo tra gli altri gente come Roddick, Ljubicic, Stepanek e Nalbandian prima di arrendersi a Roger Federer dopo essersi addirittura trovato sopra di un set.
Da quel punto in poi sono arrivati 4 successi, tutti in eventi ATP 250: sempre nel 2006 al China Open di Pechino sul croato Mario Ancic, l’anno successivo agli Zagareb Indoors su Ivan Ljubicic in tre set, un salto di due anni per conquistare lo Stockholm Open in Svezia su Olivier Rochus e l’ultimo, nella sua Australia, su Richard Gasquet in occasione del Medibank International di Sydney, con anche 7 finali perse tutte ben scandite dal passare del tempo con quella subita agli Australian Open di gran lunga la più importante.
Baghdatis ha fatto il suo tempo, e anche se continuerà a lungo a giocare con la speranza di poter segnare nuovi picchi della sua carriera, avrà sicuramente lasciato quelle che solitamente vengono etichettate come fiammate, sprazzi di luce in mezzo alla inevitabile disillusione mentre le settimane passavano senza la conferma di quello che si era potuto vedere poco tempo prima. Il tennis ha bisogno senza dubbio di campioni, e per essere campioni oltre ai colpi di classe serve anche la costanza, ma raramente per gli appassionati i soliti campioni potranno risultare emozionanti come quelle schegge impazzite che lasciano senza respiro per pochi attimi e dopo cadono nuovamente in quei baratri evocati dai propri fantasmi ed i propri limiti. Marcos è venuto, se l’è giocata e come tanti altri se ne andrà, magari non finendo in copertina ma sicuramente occupando una di quelle nascoste ed appassionanti paginette verso la fine; pagine lontane dai riflettori ma piene di cuore e di umanità, tanto da dare tutto quello che manca ad un così pieno universo del tennis.
Auguri Marcos!