La recente anteprima del documentario Netflix “A mi manera”, dedicato a Carlos Alcaraz, ha sollevato non poche discussioni nell’ambiente del tennis spagnolo. A colpire in particolare sono stati i passaggi in cui il giovane campione si confessa, parlando delle difficoltà di vivere sotto i riflettori e del desiderio di ritagliarsi spazi di normalità tipici della sua età. “Ho 21 anni e voglio decidere da solo. Se sbaglio, voglio sbagliare da solo”, afferma Alcaraz, mostrando una volontà di indipendenza che, pur comprensibile, non ha mancato di suscitare reazioni.
Il suo coach Juan Carlos Ferrero, pur mantenendo un atteggiamento di supporto, ha lasciato intendere che la libertà di scelta comporta anche il rischio di perdere la guida di chi lo ha portato così in alto. Un ammonimento velato, che rivela quanto fragile possa diventare il rapporto tra talento e disciplina ai vertici del tennis mondiale.
A intervenire con toni insolitamente duri è stato anche Roberto Bautista Agut. Dopo la sconfitta subita contro Alexander Zverev al Masters 1000 di Madrid, il veterano spagnolo ha colto l’occasione per lanciare un chiaro messaggio ad Alcaraz: “Non credo che Carlos vincerà i tornei del Grande Slam andando a letto alle sette del mattino”, ha affermato senza mezzi termini in conferenza stampa. “Il tennis di alto livello richiede molto. Ora è tutto molto bello e lui è molto giovane, ma deve capire che se vuole eguagliare i numeri dei tre grandi (Djokovic, Nadal e Federer) deve giocare ad altissimo livello per quindici anni.”
Bautista ha poi sottolineato come, nonostante la giovane età, Alcaraz abbia già dimostrato intelligenza e capacità di apprendimento: “Sono sicuro che capirà gradualmente cosa serve per raggiungere quel livello e saprà metterlo in pratica.”
Oltre alle considerazioni su Alcaraz, Bautista Agut ha voluto allargare il discorso al movimento tennistico spagnolo. Ricordando di essere stato il quinto miglior spagnolo al mondo nonostante una posizione da numero 9 nel ranking, ha evidenziato come il livello generale si sia abbassato rispetto all’epoca d’oro di Nadal, Ferrer, Robredo e Verdasco. “Dobbiamo fare autocritica e guardare a modelli di successo come quello italiano se vogliamo tornare a vedere tanti spagnoli negli ottavi di finale dei grandi tornei.”
Il suo intervento sembra quindi un richiamo non solo ad Alcaraz, ma a un’intera generazione che dovrà raccogliere un’eredità pesante, con la consapevolezza che talento e fama non bastano senza una dedizione costante e rigorosa.
Nonostante le difficoltà fisiche e qualche periodo di calo, Carlos Alcaraz rimane uno dei giocatori più forti e promettenti del circuito, con quattro titoli del Grande Slam e sei Masters 1000 già in bacheca. Quest’anno ha conquistato due titoli, ma la rincorsa alla vetta del ranking, oggi occupato da Jannik Sinner, richiede continuità e un equilibrio mentale ancora da perfezionare.
La sfida, dunque, è chiara: trasformare la propria straordinaria energia giovanile in una carriera longeva e vincente, senza smarrire la disciplina necessaria per restare tra i più grandi. Bautista Agut ha lanciato un avvertimento che suona anche come un consiglio: il talento da solo non basta per scrivere la storia.
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