È il 2020, bellezza. Che ci crediate o meno, avevo intenzione di scrivere questo pezzo già da prima dell’affaire-Djokovic di ieri sera. Tanto poi lo so che nessuno si fida, ma avevo il compito di premetterlo per dovere di coscienza.
Novak Djokovic è stato squalificato dallo US Open. Vorrei davvero avere un’opinione sul caso che terrà banco per quello corrente e per molti altri anni a venire, e magari ce l’ho anche, ma in queste situazioni è meglio limitarsi all’andamento dei fatti, prima di essere tacciati come tifosi e imparziali. E quindi, come direbbero il giurista Ulpiano e quelli bravi, dura lex sed lex. Il numero uno del mondo ha sbagliato, ha pagato e pagherà. All’USTA e alla propria coscienza.
Con la squalifica di Novak Djokovic lo Slam newyorchese perde il favorito numero uno per la vittoria finale. È dallo US Open 2016 che un torneo dei quattro più importanti non viene vinto da un giocatore che non si chiami Federer, Nadal o Djokovic: quell’anno vinse Wawrinka. Da allora sono passati 13 major. Accadrà anche domenica prossima, il 13 settembre. Quando avremo il primo campione Slam nato nei nineties.
Nuove prospettive si aprono all’orizzonte: iscritto agli ottavi di finale c’è anche il nostro Matteo Berrettini. Se prima la presenza di Nole mi portava a tendere ad esser cauto e a dosar le parole con rispettosa e timorata attenzione, ora mi sento autorizzato (da me stesso) a scrivere che Matteo il romano è il mio favorito per la vittoria finale. È dall’inizio del torneo che l’azzurro gioca benissimo, non ha ancora perso un set e nemmeno un turno di servizio. È attento nei momenti importanti, in cui sale di livello come fanno i campioni navigati, la prima di servizio gli è stata fedele compagna e con lei ha sempre realizzato più dell’80 percento dei punti in tutte e tre le partite sin qui giocate.
Lo scorso anno Berrettini uscì dallo US Open in semifinale contro Nadal dopo aver vinto una partita di quarti di finale, battendo Monfils, che lo consacrò definitivamente al mondo dei grandi. Curioso: prima di arrivare alla sfida contro il francese dovette liberarsi di Andrey Rublev, incrociato a livello di ottavi di finale proprio come stavolta. Un anno fa quella fu l’unica partita in cui non concesse nemmeno un parziale. Stasera ci arriva con un bilancio di nove set vinti consecutivi. Perché nessuno, leggendo queste mere parole, pensi che Matteo abbia già la vittoria in tasca, è cosa buona e giusta ricordare un piccolo dato: il rossastro Rublev è uscito trionfante dall’ultimo scontro diretto con il nostro. Era la semifinale del Thiem’s Seven, e Andrey vinse due set a zero; in quell’occasione, però, si giocava sulla secca e profumata terra austriaca di luglio. Gli head-to-head tra Matteo e Rublev, nel complesso, dicono 3-2 per noi.
E poi è opportuno, quasi doveroso gettare il cuore oltre l’ostacolo e quindi gli occhi oltre la Russia. Lo si fa per la speranza, nutrimento dell’anima. Berrettini, nel caso dovesse superare Andrey, avrà contro, nell’ordine: Medvedev, Thiem, Zverev. Ma potrebbe anche doversela vedere con Tiafoe, Auger-Aliassime, Carreno-Busta. Oppure un mix, oppure ancora altri nomi che non cito per brevità (è il 2020, bellezza). Sono tutti avversari con cui Matteo può intavolare un discorso, permettersi di fare partita.
Perché non sognare, quindi. Uno Slam sgombro da quei tre pesi massimi è un’occasione unica, non ricapiterà quest’anno e verosimilmente nemmeno nelle prossime due o tre stagioni. Matteo è cresciuto, ha la fidanzata seria, è un uomo. S’è fatto crescere la barba, i capelli e s’è tatuato una rosa dei venti sul braccio destro. Che gli indichi la stella polare e che lo faccia navigare sull’Hudson fino a domenica sera.