Il nome di Grigor Dimitrov è stato più o meno sempre sulla bocca di tutti. Prima, da giovane, per le innumerevoli similitudini con il gioco di Federer e per la straordinaria carriera juniores che accesero su di lui dal primo all’ultimo dei riflettori. Predestinato, dicevano. Poi, da grande, per le speranze tanto riposte e accumulate, ma non mantenute. In un’altalena continua fra fasti, elogi, allori, e critiche, delusioni e sfottò.
Vuoi per questo vuoi per quest’altro, la carriera di Dimitrov sembra un po’ una storia di vita comune, fra alti e bassi; quella della persona normale, quella del “il bimbo è intelligente ma non studia”, quella di uno che è bravo a fare una cosa ma non la fa abbastanza bene quanto gli altri vorrebbero, quella di uno che ha una passione ma vuole vivere, a ragione o a torto, anche di altre cose.
La grande unione di talento e passione vera è una cosa rara, che oggi abbiamo la fortuna di vedere incarnata in addirittura quattro tennisti (o tre e mezzo, meglio) contemporaneamente. L’abisso che sta insormontabile fra loro e gli altri però è esclusivamente colpa dei primi. I secondi sono solo sfortunati spettatori di un’epoca tennistica in cui sono concesse loro le briciole.
In questo contesto si inserisce Grigor Dimitrov, talentuoso sì, ma anche impegnato a far altro, principalmente su prime pagine, con belle donne e via dicendo.
Come è già stato detto e ridetto altre volte, quest’anno, di nuovo, Dimitrov sembra pronto al grande salto. Tutte cose già dette nel 2014, l’anno in cui fece realmente il suo primo e unico (fin ora) botto con 3 tornei vinti, best ranking (8°) e una semifinale a Wimbledon persa fra vari rimorsi contro Djokovic. Cosa potrà pur cambiare stavolta? Probabilmente nulla, ma di certo una cosa è cambiata. Ora il baby Federer non è più tanto baby (quest’anno va per i 26), ed è a questo che cerco di aggrapparmi per fare una fantomatica previsione. Probabilmente se n’è accorto anche lui, e di fronte alle varie strade mentali che ci poniamo e ci vengono poste a quest’età, dice di aver scelto quella del tennis. Il difficile biennio 2015-2016 lo ha schiacciato sotto tutte le aspettative che il buon 2014 aveva portato. Di positivo però sembra che sia stato anche un gran calderone per la sua mente, culminato (pare) con la conclusione definitiva sulla strada da intraprendere per il suo futuro. “Questo periodo però è stato di grande aiuto, come una curva nel tuo percorso nella quale impari molto”, ha detto il bulgaro. “Nell’ultimo anno e mezzo tante domande hanno affollato la mia mente, su cosa fosse meglio fare e come farlo, soprattutto; e allora mi sono detto che sì, questo è quello che voglio fare, il tennis è la mia vita. Da lì sono ripartito”.
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Da questo punto di vista, nel fin ora breve 2017, sembra voler intraprendere la strada del tennis a testa bassa. Vittoria a Brisbane un po’ sofferta (in tre set contro Nishikori) e semifinale agli Australian Open persa in una battaglia epica contro Nadal. Siamo di nuovo sull’onda dell’entusiasmo dell’altalena. Perfino Nadal si è esposto dicendo che la loro partita a Melbourne è stata la più bella e dura del torneo, e che se continuerà così potrà vincere qualche Slam.
Che dire quindi? L’età della maturazione è quella giusta, il clima intorno a sé sembra rasserenato con l’ingresso nello staff di Daniel Vallverdu dopo vari cambi di allenatore, il talento c’era già e il caso Wawrinka insegna che c’è sempre tempo per arrivare ai risultati. Speriamo solo (per lui soprattutto, ma anche per noi) che non sia un altro abbaglio.
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