Aveva da poco vinto il suo quarto Us Open, Rafa Nadal, quando lo statistico dell’Atp Craig O’Shannessy analizzava gli straordinari numeri al servizio del maiorchino in questa stagione. Due mesi dopo, Nadal chiude la stagione da numero 1 Atp e, da leader assoluto, regala alla Spagna la sesta Coppa Davis della sua storia. In cinque di queste, il mancino più famoso del mondo tennistico ha contribuito almeno in parte, e solo nel 2008 è mancato nella finalissima. Alla prima edizione della nuova formula mette una firma indelebile, con otto partite vinte tra singolari e doppi e senza mai perdere il servizio. Chiude da imbattuto e allunga la sua personale striscia di 31 partite vinte in Coppa Davis, 25 in singolare e 6 in doppio.
MARCA: “DIOS” – Quindici anni fa, Nadal venne schierato sorpresa in finale contro gli Stati Uniti, sul punteggio di 1-0 per i padroni di casa a Siviglia. L’allora diciottenne sorprese il mondo intero superando per 3-1 Andy Roddick e il quotidiano spagnolo gli dedicò la prima pagina (che trovate qui sopra), con il celebre titolo “Brutal, Colosal, Genial, Nadal”. Due giorni dopo, dalla panchina, celebrò con i compagni la seconda Insalatiera roja della storia. Quattro Insalatiere e tre lustri dopo, Rafael Nadal Parera è il tennista, o forse lo sportivo, spagnolo più grande di sempre. Uno dei più vincenti del suo sport, inferiore solo a Roger Federer negli Slam. Primatista però nei Masters 1000 e con due ori olimpici al collo, uno per specialità. Dell’età dell’oro spagnola, cominciata con Carlos Moya numero 1 del mondo nel 1999, è il punto più alto. E a 33 anni, la Coppa Davis la vince da punto di riferimento tecnico, mentale e umano. Guida i compagni, vince tutti e otto i match in cui è chiamato in causa, cinque in singolo e tre in doppio, due con Marcel Granollers, uno con Feliciano Lopez. In campo porta ciò che lo ha reso icona, abilità fisiche fuori dalla norma, capacità di non rimanere pietrificato davanti alla pressione. Freddezza apollinea di chi compie le scelte più giuste, ma anche adrenalina, passione infinita ed ebbrezza per la competizione di un Dioniso che assume sembianze umane. “Vivere ardendo e non bruciarsi mai”, diceva D’Annunzio. Lui ci riesce più di chiunque altro e nel corso del torneo batte Karen Khachanov, Borna Gojo, Diego Schwartzman, Daniel Evans e infine Denis Shapovalov, che dopo averlo battuto in Canada nel 2017 disse di aver tolto il poster dello spagnolo dalla sua camera. Ma il canadese questa volta si arrende per 6-3 7-6(7), pur avendo una palla per andare al terzo. Nadal trionfa davanti a Sergio Ramos, capitano di quel Real di cui sogna di diventare presidente. Mostra tutte le armi che lo hanno riportato in vetta al tennis mondiale: serve in maniera incredibile per tutto il torneo e così nei momenti più importanti è padrone del proprio del destino, che parla spagnolo. Lingua dell’unico paese nel Mediterraneo che conserva nella bandiera nazionale i colori dell’antica Roma, popolo guerriero e conquistatore. E così quella brutalità e quella genialità del colossale Nadal quindici anni dopo lo trasformano in un “Dios” su Marca (e non solo).
“GRACIAS, EQUIPO!” Un Dio con “cinco héroes”. A cui non piace stare da solo, a cui piace sentirsi uomo tra gli uomini. Tra i compagni, che pure lo chiamano “supereroe”, come Lopez. Divinità per cui vincere in gruppo in uno sport tipicamente individuale dà più soddisfazione di qualsiasi cosa. Ancor di più se tutti gli elementi fanno la loro parte, con Sergi Bruguera in panchina. Perché insieme le difficoltà si superano più facilmente. E così la squadra attende Roberto Bautista Agut. Tiene il posto vacante, simbolicamente e non solo, per il numero 9 del mondo che perde il padre malato da tempo e lascia la squadra nel match dei quarti. E mentre l’Armada non si ferma davanti ai problemi fisici di Pablo Carreno Busta e Marcel Granollers, lui torna proprio per la finale. Porta la squadra sull’1-0 battendo Felix Auger-Aliassime e cerca proprio i compagni. Nadal non c’è, si sta preparando per il match decisivo. Ma l’abbraccio commovente arriva comunque a missione compiuta, due ore e mezza più tardi. Perché Nadal vince otto partite, ma: “Bautista sarà un esempio per il resto della mia vita”, dice.
DAVANTI A TUTTI – E come un Dio, dopo aver compiuto l’impresa, otto partite in sei giorni, al settimo si riposa. E si riposa festeggiando ancora, anche di lunedì, con cui inizia una nuova settimana, la 200esima in testa alla classifica mondiale dal 2008 ad oggi. Un trono che ha un sapore diverso in questo 2019. Dopo la finale persa malamente agli Australian Open, l’infortunio ad Indian Wells è stato pesante da accettare, tanto da costringerlo a meditare su un’eventuale pausa fino a fine anno. Ma da quelle ore trascorse a riflettere, a Barcellona, è uscito più forte che mai. Da Roma in poi è arrivato un parziale di 38-2 (41-3 se contiamo i doppi) che ha legittimato in pieno il suo trono. Così, nel giorno della tempesta nella semifinale contro Roger Federer al Roland Garros, Nadal sembrava conoscere le parole del connazionale vissuto secoli prima, Lucio Anneo Seneca: “Non tutte le tempeste arrivano per distruggerti la vita, alcune arrivano per ripulirti il cammino”. O almeno per ricordarti chi sei, nel tuo posto, contro il rivale più importante della tua carriera, che non batti dal 2015. Per riaffermare con forza che sei un isolano e tu, tra le tempeste di vento, ci sei cresciuto e sei diventato quello che sei. Un giocatore che inizia la stagione presentandosi con un nuovo movimento al servizio e che la chiude, da numero 1 al mondo, tenendo gli ultimi 89 turni di battuta tra Londra e Madrid, facendo 68/68 turni in Coppa Davis. Da trascinatore, davanti al suo pubblico. In stagione termina primo per punti vinti sulla seconda di servizio. Ha la percentuale più alta in carriera con la propria prima, la miglior media ace di sempre e minor numero di palle break per partita concesse. Il tutto, conservando la natura di straordinario ribattitore nelle percentuali. È primo per punti vinti in risposta alla prima dell’avversario, secondo per punti in risposta alla seconda, ma anche per palle break convertite. Fa pari a quota due per Grand Slam e Masters 1000 vinti con Novak Djokovic. Non batte ancora i due rivali fuori dalla terra, ma su tutti gli altri afferma una superiorità imbarazzante rispetto ai due summenzionati. In singolare, vince 58 partite su 65 e a parte Nick Kyrgios e Fabio Fognini, gli altri cinque eletti chiudono il 2019 in Top-10. Delle 58 vittorie, poi, ne completa 48 senza perdere alcun set e chi glielo ruba, tranne Leonardo Mayer e Marin Cilic, chiude in Top-30 l’anno tennistico. Non sarà imbattibile, ma Rafa Nadal, nel 2019, vince su tutti per programmazione, efficacia tennistica e costanza. La qualità che abbinata alla sua sovrumana ambizione lo tiene ancora ai vertici del tennis mondiale contro ogni pronostico.