Aslan Karatsev, chi era costui? Scomodiamo il don Abbondio di manzoniana memoria per puntare l’obiettivo sul fenomeno del momento, attraverso un interrogativo classico ma nella fattispecie piuttosto accademico per coloro i quali seguono il tennis con un minimo di profondità. Già, dato che il 28enne russo si era proposto abbastanza, come dire, rumorosamente all’attenzione degli appassionati con un avvio di 2021 non banale: due sole sconfitte, ma una con Djokovic nella semifinale dell’ Australian open (che aveva conquistato bravamente da completo outsider, toccando un record niente male quale quello del debuttante in uno Slam che mai così tanto si era fatto strada), e a Doha da Thiem -un altro col quale notoriamente c’è poco da scherzare-. Non staremo a tediarvi entrando nei particolari della carriera precedente del nostro, che già altri prima di noi vi avranno esposto dettagliatamente: basti ricordare che aveva iniziato l’anno oltre la 100esima posizione -tanto che per arrivare a Melbourne gli son state necessarie le qualificazioni-, e che appena nel 2020 si era affacciato in qualche modo sulla scena, mediante il successo in un paio di Challenger. Dopo il clamoroso exploit di Dubai, da dominatore vero (aldilà delle singole partite, ove ha avuto quasi sempre bisogno del terzo set: ma ci arriveremo…), è già al numero 27: ipoteticamente testa di serie, per dire, al prossimo Slam ! Oh, intanto incidentalmente buttiamo là il fatto che, in altra parte del mondo ma nella medesima settimana, uno assai più giovane si è fatto onore un bel po’: e lo conosciamo bene -la puntualizzazione ci serve per cominciare ad imbastire una sorta di collegamento, a prima vista improbabile: ma fidatevi, dopo vi spieghiamo-…
Torniamo al ragazzone di origine ebraica (tali erano i genitori, tanto che lo sport della racchetta cominciò a praticarlo da bambino in Israele), il quale nel suo percorso netto dalle parti degli Emirati ha avuto in sorte di imbattersi in due puledri nostrani, che il ranking dava favoriti nel confronto diretto: macchè, dapprima si è sbarazzato di Sonego, e poi -entrambi in tre partite, quindi apparentemente a fatica: ma in ambo i casi dominando secondo e terzo, quasi gli ci volesse un po’ prima di inquadrare chi aveva di fronte- nientemeno che del predestinato. Esatto, proprio Sinner, corrucciato la sua parte nel lasciar strada all’avversario, che però ben presto avrebbe fornito probante conferma rispetto a quei due notevoli scalpi già attaccati alla cintura. La semifinale per l’esattezza, ove si è trovato dinanzi al connazionale Rublev che così bene lo conosce (giocano spesso il doppio assieme), e che pertanto un qualche sentore di dover trascorrere un pomeriggio complicato immaginiamo l’avesse. Nulla però, ne siamo certi, di quello che è poi effettivamente accaduto. Eh sì, perché si è trattato di un match irreale, coi due amici (alla faccia dell’amico…) a scambiarsi cazzotti come fossero pesi massimi al centro del ring: e col maggiormente accreditato più volte sull’orlo del kappaò tecnico, dal quale si è salvato grazie ad una forza di volontà non comune -salvo soccombere peraltro, lo sappiamo, praticamente ai punti-. Poteva chiuderla in due sets il buon Aslan, dopo aver martellato sulla linea di fondo varie volte nel medesimo scambio un sempre più sorpreso e scorato Andreino, che saettava come l’altro ma 8 volte su 10 finiva per soccombere in quei clamorosi braccio di ferro. Con molta fatica è riuscito ad issarsi al terzo, ma quel diavolaccio di là della rete gli ha preso due break, sempre sparando col cannone. Non si è Rublev (un top ten in ascesa, cioè) a caso tuttavia: un break gliel’ha riguadagnato, e poco c’è mancato che recuperasse pure il secondo, prima che Satanasso -per noi d’ora in poi tale sarà, almeno fino a che non decida di tornarsene a quell’inferno dal quale è emerso d’improvviso- gli desse la spinta finale, sempre a suon di sganassoni spazzolarighe.
Vabbè, fin qui la storia, che conoscete pure voi -giusto en passant, vi ricordo che poi in finale ha sbranato il sudafricano Harris, com’era logico che fosse-: ora l’analisi. Con una premessa: un sacco di commentatori da Facebook hanno avanzato fieri dubbi sulle… colazioni che praticherebbe il russo, supposte a base di intrugli miracolosi e mica tanto leciti -al grido di “non è possibile che di punto in bianco questo sbatta come fossero tappeti questo e quello!”-. Detto che lo sguardo spiritato mostrato in più d’una circostanza dal dominatore di settimana (i primi piani televisivi un po’ d’impressione la provocavano), a pelle un minimo di dubbio può destarlo… Viceversa ci porta ad una riflessione più… scanzonata, e cioè che un altro eventuale derby, stavolta col Medvedev che tutti ben conoscete, abbisognerebbe di un giudice di sedia proveniente direttamente dal manicomio criminale -di cui i due si direbbero clienti assidui, a giudicare dall’espressione inquietante: senza offesa, eh-… Bene, premesso ciò, sarei portato a ritenere che il modo violento di colpire la palla, tanto di dritto quanto di rovescio, da parte del fresco top 30 sia piuttosto conseguenza di una compressione fisica particolare. Avete notato che polpaccioni che sfoggia? Una solidità di gambe insomma che gli consente di spingere in maniera esagerata sin dagli arti inferiori, ben piantati sul terreno, quandanche colpisca quasi di controbalzo (spesso, dato che non arretra di un passo). A me ricorda molto Fernando Gonzales (se chi legge non è proprio di primo pelo, sa di chi stiamo parlando) sotto questo punto di vista, uno che pure lui picchiava sodo grazie a due gambone da centravanti.
Un altro paragone, forse un tantino più azzardato? Fatte le debite proporzioni (e non a caso pure lei spinge assai su arti inferiori potenti, e per fortuna ben più gradevoli esteticamente), mi sembra una Giorgi che la tiene dentro, piuttosto che provocare buchi grossi così sui teloni di fondo come sovente accade alla nostra divina… Ergo, se gli giochi di ritmo cercando di sfondarlo, questo finisce con lo sfondare te! E allora? Allora mi piacerebbe un sacco vedere, e prima o poi accadrà, un match fra Aslan Karatsev e Lorenzo Musetti (eccolo, lo ritiriamo fuori come promesso), il quale ad Acapulco ha dato spettacolo con quel suo tennis anomalo, fatto di tocco, precisione, ed un rovescio meraviglioso con cui può fare quel che vuole. Dato che ormai siamo entrati nel gioco delle parti, voglio dirvi -tutto opinabile, ci mancherebbe- chi mi sovviene il brillante toscano: pur con mezzi differenti (l’altro giocava singolarmente a due mani entrambi i fondamentali), nientemeno che il mago Fabrice Santoro, capace con le sue variazioni di mandare fra i matti più d’uno. E’ entrato nei 100 il già vincitore Junior fra i canguri, ha solo 19 anni, deve crescere e lavorare specie sotto l’aspetto fisico, ma ha mostrato ampiamente le proprie potenzialità: si distingue da quasi tutti, a meno che non lo travolgi da subito -e può ancora succedere- ti offrirà problematiche complicate da risolvere. Sì, l’ultima settimana di tennis mi ha lasciato, prepotente, questa precisa impressione: la forza bruta contro l’estro e l’inventiva; Golia contro Davide insomma, secondo una storica (mitologica addirittura) dicotomia.
Sarà una bella partita, tutta da gustare: non vedo l’ora… E voi ?