Fabio Fognini, il Rinascimento del tennis italiano

Allarme spoiler: qui si parlerà di Fabio Fognini, ma soprattutto delle emozioni che questo splendido sport regala a chi lo ama. Il primo consiglio è quello di mettersi comodi perché si andrà un po’ per le lunghette. Se non siete disposti a viaggiare con me nello spazio-tennis, il secondo consiglio è quello di provarci. E a chi desiderasse invece rimane in mia compagnia per qualche minuto, auguro buona lettura e buon divertimento.

Correva l’Estate del 2013, luglio. Ero felice, avevo 10 anni di meno e soprattutto mia moglie era partita per le vacanze al mare ed io, rimasto a casa da solo, mi sentivo libero come l’aria. Tennisticamente parlando, dieci anni rappresentano un’era geologica. Jannik, per intenderci, all’epoca aveva 12 anni e a Bordighera ci sarà stato forse in gita scolastica fino ad allora, perché solo l’anno successivo il Fato benigno avrebbe legato il destino suo e quello del coach Riccardo Piatti. Certo, poi ci sono casi limite come Nole e Nadal, prossimo al rientro, ma per loro ci vorrebbe una parentesi a parte.

Dunque il 2013 dicevo. All’epoca avevo perso la mia vera fede. Vagavo cieco tra uno sport ed un altro, urtando o inciampando per caso nel calcio, nella Formula Uno, nel ciclismo, spesso insoddisfatto, spesso inappagato. Il mio primo amore fu infatti il tennis, che mi rapì nel lontano 1976, anno magico del nostro magico sport. Quando Panatta vinse il torneo di Roma e poi lo Slam parigino e la squadra di Davis la mitica Insalatiera in Cile vidi mio papà saltare dal divano alla poltrona, dalla poltrona al lampadario per poi svenire dalla gioia sul pavimento di casa: fui molto colpito. Non so se il mio papà fosse affetto da qualche raro virus, forse il tifo variante azzurra, fatto sta che mi ammalai pure io e per il tennis presi un’imbarcata tremenda.

Purtroppo i trionfi di un tempo non si ripeterono più e sbiadendo i dolci ricordi ormai sfuocati dall’oblio della memoria, il tennis italiano negli anni a venire perse per me quell’aurea gloriosa che per lungo tempo mi aveva avvinto. Forse Rino Tommasi o forse Giani Clerici soleva dire in quel periodo che gli Assoluti di Tennis erano l’unico torneo in cui saremmo stati certi che avrebbe vinto un italiano.

Probabilmente gli ultimi bagliori di grandezza me li regalò la Coppa Davis nel 1998, quando perdemmo in finale con la Svezia a Milano e Gaudenzi ci rimise il tendine della spalla e mezza carriera. Ci furono in quegli anni altri bei giocatori italiani, non lo nego, cito in ordine sparso, Cane’, Furlan, Camporese soprattutto, e mi scuso tanto se ne dimentico qualcuno.

Tuttavia nell’estate del 2013 il tennis lo avevo quasi completamente rimosso, forse per intima disperazione o per totale rassegnazione, stanco delle continue delusioni o delle vittorie di tutti gli altri tranne che le nostre. Ordunque, quel luglio accadde un fatto apparentemente banale ma che rivoluzionò completamente la mia vita sportiva. Comprai la mia prima televisione con digitale terrestre: la piazzai sul mobile, la sintonizzai e, come fan tutti, cominciai a “zappare” per controllare che ogni canale fosse al suo posto. Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, e via così, fino a quando non giunsi al canale 64, SuperTennis, canale di cui non conoscevo neppure l’esistenza.

 

Vidi in campo un certo Fabio Fognini, un tennista il cui nome vagamente avevo già sentito nominare qua e là. Ne fui rapito. Rimasi imbambolato col telecomando in mano a guardarlo con occhi spalancati e sorriso ebete. Mano fatata, piedi veloci come il vento, timing pazzesco sulla palla, braccio rapido a disegnare tennis in campo, fendenti di dritto e rovescio che lasciavano l’avversario impietrito, palle corte millimetriche, discese a rete perfette e volée di pregevolissima fattura.

Fu un attimo, un secondo, e magicamente mi innamorai nuovamente del tennis, del tennis azzurro e soprattutto di Fabio Fognini in particolare. In quell’incredibile luglio, Fabione vinse due tornei consecutivi, Stoccarda e Amburgo, e a me sembrò di tornare magicamente indietro nel tempo, a quel bambino di nove anni che guardava tennis con il suo papà.

Uomo faro in Davis per lustri, da allora Fabio ha arricchito e molto il suo curriculum personale: nove titoli ATP in singolo, compresa l’ultima preziosa  perla del 1000 monegasco, Top Ten con best ranking al numero 9, record italiano di partite vinte nel circuito ATP, 8 titoli di doppio in coppia con il “fratello” Bole, con cui ha vinto anche lo Slam australiano e giocato il Master di specialità, diventando così l’unico italiano nella storia ad essere entrato nei “10” in entrambe le discipline.

Forse, anzi quasi sicuramente, se fosse riuscito a crearsi un servizio all’altezza degli altri colpi del suo repertorio, se si fosse dedicato veramente al “veloce” prima dei “trenta” e se avesse avuto un carattere più sinneriano, avrebbe potuto vincere molto di più. Non certamente uno Slam, perché la sua è stata l’epoca dei Fab Four diventati poi i Big3, dei Del Potro, dei Cilic, dei Wawrinka, dei Murray, l’ex Fab. Tuttavia avrebbe potuto vincere più partite in assoluto, molte di quelle finali di torneo che invece ha perso, addirittura 10, e soprattutto avrebbe potuto fare meglio negli Slam: ne ha giocati tanti, senza mai veramente lasciare il segno.

Però la grandezza di Fabio risiede soprattutto nella capacità di infiammare le folle e le platee televisive con il suo tennis geniale e talentuoso, caratterizzato da accelerazioni fulminee e colpi di genio, giocando e vincendo partite epiche e oserei dire leggendarie: quella contro Montañés al Roland Garros, quando, praticamente zoppo per crampi, vinse un match incredibile “da fermo”, o quando sconfisse Murray in Coppa Davis a Napoli oppure quando annichilì il grandissimo Nadal agli US Open al quinto, rimontando due set di svantaggio e mettendo a referto l’incredibile cifra di 70 vincenti: probabilmente quest’ultima vittoria è il suo vero capolavoro tennistico e chi l’ha vista sa bene di cosa sto parlando.

Perché, direte voi e se non lo dite lo dico io, perché dedicare un poemetto a questo ragazzo di 36 anni che a molti però non va troppo a genio? Effettivamente Fabio è un tennista divisivo: c’è chi come me lo ama e chi invece non lo sopporta. Non si può negare che certi suoi atteggiamenti siano un po’ sopra le righe, tanto per usare un elegante eufemismo. E se devo essere sincero, tante volte avrei spaccato il mio televisore ormai semi nuovo dal nervoso che mi faceva montare alla testa.

Esempi? Quanti se ne vuole: racchette rotte a raffica, sacramenti in quattro lingue, giornate storte senza né capo né coda, stese memorabili con giocatori improponibili, piedoni strascicati qua e là nel campo camminando a ciondoloni come se si fosse appena alzato dal letto, espressioni colorite nei confronti dell’avversario di turno, il famoso “zingaro di m….” a Filip Krajinovic, oppure quando disse di Dolgopolov col quale perdeva fisso che quello vinceva perché tirava un po’ a casaccio.

Personalmente, alla fine, gli ho perdonato ogni mattana e colpo di testa, perché il suo tennis scintillante, incantevole e stupefacente ha nascosto ai miei occhi i suoi difetti, di cui in realtà lui stesso è stato la prima vittima. E poi ad onor del vero, la saggezza che il passar degli anni regala un po’ a tutti noi, l’influenza positiva di Barazzutti in campo, quella della bella Flavia fuori dal campo e la sopraggiunta paternità, hanno trasformato Fabio pian piano da “bad boy” a quasi bravo ragazzo della porta accanto. Ed in effetti molti alla fine si sono ricreduti sul suo conto e si sono pure loro innamorati di lui.

E dunque perché questa “lettera aperta” per il Fogna? Forse perché lo amo quasi alla follia? Certamente, l’ho detto. Forse perché è stato il primo tennista Italiano veramente vincente dai tempi di Panatta e Barazzutti? Si, ho detto anche questo. Forse perché in Davis ha sempre messo il cuore in campo? Come sopra. Forse perché con lui è rinato l’interesse per il tennis italiano dopo anni di oblio, una sorta di Rinascimento tennistico?

Assolutamente sì, ma non solo. In realtà ho voluto scrivere questo articolo per due ragioni di natura diversa. Primo motivo: augurio. In questo periodo Fabio stava cercando di recuperare posizioni in classifica più consone al suo blasone, per poter giocare direttamente il MD del prossimo Slam australiano. Ha giocato bene a Metz e ha vinto il Challenger di Valencia, battendo giocatori di ottimo livello. Purtroppo è notizia di questi giorni il nuovo infortunio, che lo ha bloccato nel CH di Maia.

Fabio, dispiaciuto per quanto appena successo, ha postato un messaggio corredato da una sua foto sua in bianco e nero piuttosto evocativa in cui rivendica gli sforzi profusi da sempre ed in questo periodo molto particolare. Fabio ha dichiarato che gioca per passione e amore di questo sport e penso che non mollerà, non ancora. Lui vuole vincere almeno un altro 250 prima di salutare e appendere la racchetta al chiodo. Sarebbe il 10° titolo in singolare, traguardo assolutamente alla sua portata in condizioni fisiche accettabili.

E dunque colgo l’occasione per auguragli un grandissimo 2024, con tanto affetto e soprattutto con la speranza che esaudisca il suo legittimo desiderio: sarebbe il degno epilogo, lo splendido canto del cigno di un giocatore che mi ha donato qualcosa di prezioso: ha riacceso in me l’amore verso lo sport più bello del mondo, il tennis.

Secondo motivo: esortazione. “Sic transit gloria mundi”. Oggi Fabio sta vivendo la fase crepuscolare della sua luminosa carriera. Precipitato di recente in classifica ben oltre la centesima posizione, bersagliato da vecchi e nuovi infortuni, scaricato dall’amatissima squadra di Davis proprio nell’anno della storica vittoria di Malaga, è finito nel dimenticatoio di molti appassionati nostrani perché oggi ci sono altri giocatori da osannare, e anche giustamente, per carità: per ciò che sta facendo il nostro Jannik, pure io ringrazio gli dei del tennis ogni sera  prima di andare a dormire.

Tornando a Fabio, nonostante i suoi giorni di gloria sembrino volgere al termine, esorto calorosamente gli appassionati di tennis azzurro a non dimenticare che dobbiamo molto al nostro talento ligure: prima dei Berrettini, dei Musetti, dei Sinner, Fabio per anni e anni si è caricato il tennis azzurro sulle spalle, regalandoci vittorie e risultati impensabili prima di allora. “Fogna” ha raggiunto traguardi straordinari che hanno dato lustro al  movimento italiano di tennis: di ciò bisogna dargliene atto e non possiamo che esserne riconoscenti, gridando in coro un immenso  “Grazie!” al nostro giocatore. Non dimentichiamocelo  troppo in fretta, non sarebbe un gesto elegante da parte nostra .

Roberto “ItalyFirst” Eusebi

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