Fedal: la rivoluzione copernicana di una rivalità tutta nuova

Il fedal è tornato ad essere la rivalità del momento, riprodottasi in quattro succulenti episodi in questa stagione tennistica. Lo svizzero è però stato in grado di imprimere un'inversione di tendenza senza precedenti nella cronistoria della rivalità, decretando un perentorio 4-0 nelle quattro occasioni che hanno visto andare in scena lo scontro fra titani. Andiamo ad analizzare gli scontri diretti del 2017 alla ricerca del leifmotiv di una striscia vincente del tutto inaspettata.

Federer-Nadal, Nadal-Federer, due nomi, un’unica variabile dicotomica che ha dominato la scena tennistica degli anni 2000, e in termini di risultati e in termini di capacità di catalizzare l’attenzione dei media, l’amore dei tifosi, l’odio dei detrattori, l’invidia degli oppositori.

L’eterno scontro maincheo fra eleganza e potenza, destra e sinistra, talento e fisico. Una rivalità storica, probabilmente la più rilevante dell’intera storia del tennis, fatta di match epici, incontri da cardiopalma e scambi avvincenti. Detto ciò, trattavasi, per lo meno sino all’inizio dell’anno corrente, di una rivalità a senso unico: 23-11 recitava lo storico, un parziale quasi impietoso per quello che è universalmente riconosciuto come il miglior tennista di tutti i tempi.

L’INIZIO DI UN NUOVO CAPITOLO DELLA RIVALITA’:

Poi il 2017, due giocatori eterni che dimostrano di non aver ancora esaurito le cartucce, di essere ancora in grado battere tutti e tutto, anche il tempo che avanza. Giocatori eterni, come molte volte si è letto negli ultimi mesi, che hanno saputo però rinnovarsi, perché, come diceva il buon Eraclito, “non si scende mai due volte nello stesso fiume”, così “non si giocano mai due fedal uguali”, direbbe oggi l’Eraclito tifoso di tennis. Ciò è quanto mai vero soprattutto per gli ultimi quattro incontri, che hanno visto concretizzarsi una rivoluzione copernicana, una subitanea inversione dei rapporti di forza fra il maiorchino e lo svizzero, la fine di un copione visto e rivisto più volte, per quanto mai in grado di annoiare. Federer e Nadal sono cambiati molto dai due ragazzini che nel lontano 2004 incrociavano per la prima volta le loro racchette sul cemento infuocato di Miami: due processi evolutivi frutto di un’intelligenza tennistica fuori dal comune, che ha condotto due campioni in grado di vincere tutto a non adagiarsi sugli allori, cercando di giorno in giorno di migliorarsi, di accorciare il gap che di volta in volta si produceva reciprocamente o nei confronti dei grandi rivali che hanno negli anni spezzato il duopolio ibero-svizzero.

FEDERER E NADAL 2.0:

Federer e Nadal hanno seguito da vicino l’evoluzione del tennis, da protagonisti, guidando in volata l’evoluzione dei materiali, degli strumenti, delle superfici, degli avversari e degli stili di gioco. “Il compito più difficile nella vita è cambiare sè stessi” diceva Nelson Mandela, e i due campioni in oggetto sono riusciti in questo arduo compito. Non sono pochi infatti a sostenere che la versione 2k17 dello svizzero sia la migliore mai ammirata (e non sarà certo il sottoscritto a metterlo in discussione); un gioco verticale, fatto di progressioni,  anticipi, colpi in controbalzo, attacchi in controtempo; il Federer due volte campione Slam ammirato quest’anno sui campi soffoca gli avversari, li ammalia con la bellezza dei suoi colpi e li disarma con la sua rapidità; quando la malcapitata vittima di turno si accorge di ciò che sta succedendo al di là della rete è oramai troppo tardi, e non gli resta che porgere l’orecchio all’applauso scrosciante del pubblico.

Dall’altra parte abbiamo una versione di Nadal rinnovata, per certi versi riconducibile a quella che dominava nel 2013 vincendo 3 slam su 4, per altri una versione tutta nuova, fatta di un’inedita aggressività, di un servizio solidissimo, un rovescio penetrante con cui spesso si apre il campo, per poi chiudere con il suo mortifero diritto lungolinea, quello per fortuna rimasto invariato. Nadal è finalmente tornato a vincere sul cemento, si è aggiudicato gli US Open, poi Pechino, e ha giocato finali in Australia, a Miami e Shangai, tornando dopo quattro anni ad occupare la prima posizione del ranking. Tutto bello, bellissimo, se non fosse che… se non fosse che le due versioni 2.0 dei campionissimi abbiano visto l’inversione di una tendenza che vedeva il gioco del maiorchino costruito ad hoc per annientare quello dello svizzero; il servizio mancino slice, a buttare fuori dal campo Federer, poi il dritto dall’altra parte; e poi la diagonale dritto di Rafa- rovescio di Roger, la chiave di volta di tutti i loro incontri.

SERVIZIO E ROVESCIO: LE CHIAVI DI VOLTA?

Dimenticatevi tutto: Roger non soffre più gli schemi del maiorchino, il suo rovescio sembra dimentico dei tempi in cui soccombeva lentamente sotto le esasperate rotazioni mancine provenienti da Manacor; gioca d’incontro, toglie il tempo a Rafa, ricoprendolo di vincenti, senza permettergli di sviluppare quel gioco che si è dimostrato quest’anno inattacabile per qualunque altro tennista. Molte sono le chiavi di lettura della striscia vincente che il Re è stato in grado di inanellare: passando per il sopracitato rovescio, colpo sul quale la cura Ljubicic ha lasciato i segni più marcati, dotando lo svizzero, se possibile, di un’ulteriore arma aggiuntasi ad un arsenale già di per sé sconfinato; Federer gioca di fino, trova traiettorie impossibili, e mette alle strette Nadal proprio su quella traiettoria sulla quale sino ad un paio di stagioni fa il maiorchino costruiva i suoi successi ai danni dell’elvetico, per poi trafiggerlo con traccianti lungolinea mortiferi, sentenze senza possibilità di appello; proseguendo poi attraverso la centralità del servizio. Esaminando le statistiche dei quattro incontri disputatisi quest’anno, non si può non notare come lo svizzero sia sempre stato impeccabile al servizio; togliendo la finale d’Australia, unico match dove Nadal sia stato concretamente vicino ad ottenere la vittoria, lo svizzero ha sempre concesso le briciole in risposta, lasciando per strada nei restanti tre incontri la miseria di 36 punti complessivi in una finestra di 25 games; Nadal è così riuscito a procurarsi solo 5 palle break nei tre incontri presi in considerazione, senza essere fra l’altro mai in grado di convertirne alcuna. Il maiorchino non è inoltre stato altrettanto impeccabile al servizio, non riuscendo mai a spingersi oltre il 66% di punti vinti con la prima di servizio: troppo poco per impensierire lo svizzero, messo in tal modo nelle condizioni di poter sviluppare il suo gioco in verticale anche nei turni di risposta. Lo stesso si dica per la seconda di servizio; Nadal ha raccolto poco, in particolare nei match disputatisi a Miami e Shangai, assestandosi su valori ben lontani dalla media stagionale, pari a 59%, la seconda migliore di tutto il circuito (dietro proprio a quella del King). Il risultato è sotto gli occhi di tutti: Rafa raccoglie 19 miseri games negli ultimi 6 set.

UNA QUESTIONE DI TEMPO

E’ pertanto possibile spiegare gli straripanti successi dell’elvetico facendo riferimento al solo servizio od al solo rovescio? Probabilmente no. Trattasi del sommarsi vincente di una serie di fattori e variabili, inserite però tutte nel medesimo solco, in un sentiero che porta verso un unico esito, tanto banale quanto efficace ai fini del successo del Re: Roger toglie il tempo a Rafa, non gli permette di sviluppare il suo gioco, di elaborare la sua complessa trama, di trovare la sicurezza nei colpi. Lo si è visto benissimo nell’ultimo scontro diretto, disputatosi in quel di Shangai: Rafa non è mai riuscito veramente ad entrare nello scambio, e forse nemmeno nel match; eppure si trattava di un Nadal in grande fiducia, proveniente da una striscia di 17 vittore consecutive. Poco conta, poiché Federer ha avuto il merito di tenere il rivale con la testa sott’acqua. Tanto è bastato, un’ora e poco più di un tennis divino, declinantesi attorno a questa semplice e quasi banale idea: togliere il tempo.

Perché Roger non l’abbia fatto prima non lo sappiamo, e forse non lo sapremo mai. Non ha forse nemmeno senso chiedersi perché il Federer 2017 non giochi come il Federer 2013, perché, ci perdoni Eraclito se lo tiriamo nuovamente in causa, il fiume 2017 non è il fiume 2013. Il prosieguo della stagione ci saprà dire se il mancino di Manacor sarà in grado di farsi carico di un’ulteriore, complessa, evoluzione, se saprà trovare le contromisure ad una dinamica di cui lo svizzero è oramai divenuto padrone. Certo Federer potrà ora contare anche sul fattore psicologico, forte della consapevolezza di aver inserito un tarlo nell’impenetrabile psiche dell’amico rivale, un granello di polvere negli oleati ingranaggi della macchina da tennis spagnola, anche perché, come ha da poco dichiarato Nadal stesso, “per quanto uno ci provi, non ci si può abituare a battere Federer”. Rafa non è però nemmeno uno che si abitua facilmente a perdere, Roger è avvisato.
Nella speranza che questo bellissimo capitolo di storia del tennis possa arricchirsi di nuove avvincenti pagine, solo il futuro saprà dirci se Nadal sarà in grado di reinventare nuovamente il suo gioco, di avvalersi per l’ennesima volta di uno stimolo che, per ammissione stessa dei diretti interessati, ha spesso concorso in maniera determinante nel miglioramento del gioco suo e del rivale. 

Che Fedal sia, in saecula saeculorum. Qualunque sia il vincitore.

Amen.

 

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