Ci sono iguane ovunque, a Crandon Park. Lasciato il deserto roccioso ai margini di Indian Wells, il carrozzone del grande tennis ha compiuto a ritroso il duro cammino dei pionieri ed è andato a cercare l’oro nell’isolotto di Key Biscayne, dove lo skyline discreto di Miami fa da sfondo a palme agitate dal vento come agitati sono i cuori degli appassionati.
Per un certo periodo, quello che in origine fu il Lipton International si guadagnò l’intrigante appellativo di “quinto slam” (termine di cui ora spesso si abusa) non fosse altro perché allineava i tabelloni a ben 128 pretendenti e si giocava, nel maschile, tre su cinque dai quarti di finale in poi. Era però il 1985 e le successive riorganizzazioni dei due circuiti avrebbero via via tolto al torneo (poi diventato Nasdaq-100 ed Ericsson, fino all’attuale Itaù) quell’aura di pretenziosa superiorità, da diverse stagioni penalizzato pure dall’impossibilità di allargare i propri confini territoriali a causa di espressi divieti da parte delle autorità cittadine. E non è un caso che si parli di concrete possibilità di trasferimento del torneo altrove.
In attesa di leggere nella sfera di cristallo quale sarà il destino del torneo, il futuro più immediato ci propone il 21° capitolo di una vecchia storia, che i più credevano conclusa nel lontano mese di novembre del 2013. Si era, a quel tempo, sulle rive del Tamigi e, dentro la O2 Arena di Londra, Roger Federer si imponeva all’argentino per 7-5 al terzo al termine di una sfida rallentata dalla superficie e che avrebbe falsamente premiato lo svizzero con la semifinale per spedirlo in realtà dritto tra le fauci spalancate di un Nadal che mai prima d’allora era riuscito a batterlo al Masters.
Era, quel Federer, al termine del suo primo (e forse unico) anno orribile, un anno in cui si era fatto sorprendere nientemeno che da Stakhovsky a Wimbledon e da Tommy Robredo a Flushing Meadows, per non parlare delle sconfitte rimediate contro i carneadi Delbonis e Brands sulle terre post-parigine di Amburgo e Gstaad (con lo scopo di testare il nuovo attrezzo, maggiorato rispetto al precedente). Delpo invece pareva in ottima salute e, se pure aveva perso sempre contro Federer qualche giorno prima nei quarti a Bercy, poteva calare sul tavolo delle credenziali carte rilevanti come i recenti titoli nei 500 di Tokyo e Basilea e la finale persa di un soffio a Shanghai con Djokovic. Insomma, certamente non il più indimenticabile dei loro venti head-to-head ma importante, con il trascorrere dei mesi, in quanto appena tre mesi più tardi, a Dubai, il polso sinistro del sudamericano avrebbe fatto crack e per il ragazzo di Tandil sarebbe iniziata la via crucis terminata solo dopo due anni, tre operazioni e un paio di tentativi di rientro.
Uno, Del Potro, tornare in attività (febbraio 2016, Delray Beach); l’altro, Federer, uscirne per sei mesi (dopo Wimbledon) e lasciare intendere che, chissà, forse è l’addio definitivo. Uno, Juan Martin, che fa piangere Djokovic a Rio de Janeiro e solo la resilienza di Murray gli impedisce di conquistare la medaglia d’oro; l’altro, Roger, che salta a piedi pari sei mesi di circuito e annuncia che rientrerà nientemeno che alla Hopman Cup ai primi del 2017.
Ma che Federer sarà, quello? Domanda più che lecita, a cui Australian Open e Indian Wells pare abbiano dato risposta più che convincente. E allora eccoci qui di nuovo ad osannare colui che la rivista GQ ha recentemente definito GOAT senza immaginarsi (o forse sì?) il vespaio che avrebbero scatenato e, soprattutto, da inguaribili incontentabili, a chiedergli sempre nuove imprese, quale ad esempio di portare a casa pure il trofeo di Miami. Così, a 35 anni e mezzo, manco fosse un ragazzetto.
In ogni modo, stasera (per noi italiani, perché in Florida saranno circa le tre del pomeriggio) Federer affronterà l’ennesimo durissimo esame di questo fantastico inizio di stagione e siamo certi che, per certi aspetti, sarà felice di ritrovare dall’altra parte della rete un avversario con il quale ha condiviso momenti memorabili dell’ultimo decennio. Perché la rivalità tra i due, nonostante le cifre (15-5 per Federer), da quella semifinale al Roland Garros 2009 (lo svizzero si trovò sotto 1-2 e parve in balìa di un avversario fin lì quasi intrattabile) è stata decisamente equilibrata e il ragazzone di Tandil si è meritato più di una citazione nel libro nero di Roger.
La prima fu la finale degli US Open, in quello stesso 2009, nella quale “Delpo” conquistò il suo unico major in carriera battendo Federer che non perdeva un match a New York dal 2003 (40 vittorie consecutive) e puntava a confermarsi campione per la sesta volta di fila. Poi ci furono le due finali consecutive in casa dello svizzero, a Basilea nel 2012 e 2013, torneo al quale il GOAT (secondo GQ) ovviamente tiene in maniera particolare. E la lista avrebbe potuto allungarsi se Roger non avesse recuperato due set di svantaggio nei quarti di Parigi 2012 (3-6, 6-7, 6-0, 6-2, 6-3 lo score) o, ancora di più, non si fosse aggiudicato quell’indimenticabile terzo set della semifinale dei Giochi Olimpici di Londra 2012: 3-6, 7-6, 19-17 per 266 interminabili minuti sull’erba di Wimbledon, che premiarono l’elvetico ma lo svuotarono di energie tanto da farsi poi prendere a pallate da Murray nel match che valeva la medaglia d’oro.
Insomma, da quel 6-3, 6-0, 6-0 con cui Federer distrusse Del Potro nei quarti di Melbourne 2009, cospargendo la metà campo dell’argentino di bisce avvelenate con lo strettino di rovescio in back sul quale l’imponente Juan Martin era vanamente costretto a piegarsi, l’argentino ha imparato la lezione e questa sera proverà a creare più di un grattacapo all’avversario. Anche se Del Potro ha fatto di necessità virtù imparando a contenere gli scambi dal lato del rovescio staccando la mano, il suo pressing da fondo campo – sostenuto da un dritto a volte di brutale potenza – potrebbe dare fastidio a Federer che, verosimilmente, cercherà di sfruttare gli angoli per evitare di fare a pallate con il sudamericano, situazione dalla quale potrebbe uscire con le ossa a pezzi. È pure verosimile che Federer riproponga a più riprese lo slice di rovescio, allo scopo di far giocare JMDP in fette di campo a lui poco congeniali, mentre continuerà a usare il top in risposta, per non concedere troppo campo e il comando delle operazioni al rivale.
Come spesso accade, saranno poi le percentuali di servizio ad aiutare o deprimere l’uno o l’altro dei contendenti e forse a spezzare un equilibrio che, in sede di pronostico, parrebbe piuttosto scontato. Chi vincerà stasera avrà mezza semifinale in tasca, perché in questo quarto di tabellone non sembra esserci nessuno in grado di impensierire Federer o Del Potro fino alla possibile sfida con Wawrinka o Kyrgios; un altro validissimo motivo per non perdersi un match che promette spettacolo.
Peppe Nacca
Federer: “Contento per questo match” Del Potro: “Lui è il super favorito”