Ricorderete tutti l’intervista di Jim Courier a fine match durante gli Australian Open a Roger Federer, in cui l’ex tennista chiese allo svizzero se avremmo mai potuto vederlo giocare a tennis in canotta, come il suo storico rivale Rafael Nadal. La sua risposta fu “Non succederà. Sai perché? Le mie braccia non sono come le sue. È piuttosto semplice“. Ma tre mesi e mezzo dopo ecco che lo svizzero è stato fotografato in allenamento a Dubai indossando uno smanicato firmato Nike. Certamente ciò che intendeva dire l’elvetico è che non lo vedremo mai scendere in campo in partite ufficiali vestito in quel modo, ma la cosa buffa è che a quasi 10.000 km di distanza, in quel di Madrid, Rafael Nadal ha indossato la stessa identica canotta durante i primi allenamenti alla Caja Magica. I social si sono subito scatenati su questa analogia tanto da mettere a confronto i due mentre indossano la medesima maglietta. Le donne, in particolare, certamente noteranno qualche sostanziale differenza su come i due tennisti effettivamente vestono lo stesso capo…
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Ma Roger Federer ha tanta classe da vendere anche quando si parla di poliglottismo. Difatti, rispetto a Nadal, che parla quasi unicamente spagnolo e un inglese non certo egregio (nonostante 10 Roland Garros e innumerevoli successi raccolti in Italia e nel resto del mondo…), lo svizzero può vantare la conoscenza di parecchie lingue, anche dovuta alla variegata provenienza internazionale dei membri del suo staff. “Quando parlo francese, è soprattutto nel mondo del tennis, della tecnica e del fisico, perché lo faccio sempre durante la mia preparazione tecnica con Pierre Paganini”, ha detto. “Mi fa pensare anche alla scuola. Quando ero adolescente frequentavo la scuola di Losanna. Quando parlo francese, torno a sentirmi piccolo. Ho interrotto a parlarlo negli anni ’90. Quando parlo inglese, è accomodante, mi sento rilassato. Parliamo anche molto inglese a casa. È così facile. E si usa in tutto il mondo soprattutto quando sono in viaggio. La mia famiglia è svizzera e tedesca così come lo sono io. È come sentirmi a casa. È quello che sono davvero, credo. Mi sento diverso secondo la lingua che sto parlando”.