Un debutto sorprendente
A soli 17 anni, Federico Cinà ha fatto il suo esordio nel circuito maggiore con una vittoria che ha acceso l’entusiasmo degli appassionati di tennis italiani. Al Master 1000 di Miami, il giovane palermitano ha battuto l’argentino Francisco Comesana, numero 67 del mondo, guadagnandosi l’opportunità di affrontare un avversario di altissimo livello: Grigor Dimitrov, attuale numero 15 del ranking ATP.
Il successo ha immediatamente suscitato paragoni con Jannik Sinner, l’unico italiano ad aver vinto un match in un Master 1000 più giovane di lui. Ma il suo percorso è unico, e lo sa bene chi lo segue da vicino.
Il tennis nel DNA
Federico non poteva che crescere con la racchetta in mano. Figlio di due tennisti, Francesco e Susanna Cinà, ha iniziato a giocare prima ancora di camminare. A tre anni impugnava già una racchetta di plastica e colpiva le prime palline, mostrando una naturale inclinazione per lo sport di famiglia.
Suo padre, che lo allena, ha rilasciato nei giorni scorsi una interessante intervista al Corriere della Sera dove ammette con ironia che il ragazzo ha preso poco da lui: “Io pensavo solo a non sbagliare, Federico invece spinge, impone il suo gioco, anche a costo di commettere errori. Ha il coraggio della madre, prende l’iniziativa”.
Cinà ha un tennis moderno e aggressivo, con un rovescio bimane naturale e un servizio solido, fondamentale per competere ai massimi livelli. Il suo fisico, ancora in evoluzione, deve adattarsi ai ritmi infernali del circuito: è alto 1,86 m per 78 kg, ma ha ancora margini di sviluppo per migliorare la resistenza e la capacità di reggere gli scambi più duri.
Il rapporto con il padre-allenatore
La relazione tra padre e figlio nel tennis è sempre un equilibrio delicato. Francesco Cinà è consapevole delle difficoltà di questo doppio ruolo: “Il rischio è portarsi sempre il lavoro a casa. Noi cerchiamo di separarli: parliamo degli obiettivi della giornata prima dell’allenamento e poi, a fine giornata, passiamo ad altro. Chiacchieriamo di calcio o diciamo cavolate, come qualsiasi padre e figlio”.
Ma il mestiere di coach non è mai facile, soprattutto con un ragazzo che ancora vive il tennis come un gioco. “Un attimo prima di giocare contro Comesana, ha visto un pallone e mi ha chiesto se poteva tirare un rigore! Stava per affrontare il primo turno di un Master 1000, ma aveva la leggerezza di un bambino”.
Eppure, per competere ai livelli più alti, il salto di mentalità è fondamentale: “Per crescere serve la massima professionalità. L’equilibrio tra divertimento e fanatismo è sottile. Per diventare un grande giocatore serve un certo grado di ossessione” ammette il padre.
Niente pressioni, niente paragoni
Dopo la vittoria a Miami, le aspettative su Federico sono aumentate e i paragoni con Jannik Sinner si sono moltiplicati. Ma la famiglia Cinà sa bene che ogni tennista ha il proprio percorso: “A noi interessa solo che Federico sia sereno. I paragoni gli scivolano addosso. Sinner è un campione straordinario, una macchina perfetta con una mentalità più tedesca che italiana. Federico è un ragazzo di Palermo, cresciuto in un ambiente diverso, con la sua storia e il suo modo di essere. Non vogliamo bruciare le tappe” dichiara il padre con fermezza.
L’obiettivo non è una classifica precisa, ma la crescita costante. Il team lavora su aspetti tecnici specifici, in particolare sul dritto, affinché il ragazzo possa competere ad alti livelli con continuità.
Il futuro tra riposo e nuovi traguardi
Dopo Miami, Federico tornerà in Italia per recuperare dalle fatiche del torneo e risolvere un piccolo problema all’addome. In programma ci sono la stagione sulla terra battuta e la possibile partecipazione a tornei come Madrid, Roma e il challenger di Monza. L’idea è mescolare competizioni di alto livello con eventi in cui possa accumulare esperienza e stabilità.
Nessuna fretta, nessuna pressione e un approccio graduale alla carriera professionistica. Perché, come dice papà Francesco, “Federico i picchi ce li ha già, deve solo stabilizzarsi verso l’alto”.
E chissà, magari un giorno smetteranno di chiamarlo “Pallino”. Ma per ora, il soprannome resta, così come la voglia di sognare.