Da una parte Rafa Nadal, la leggenda della terra battuta, con 89 finali alle spalle, di cui 62 vinte e attuale n. 1 del mondo; dall’altra parte Kei Nishikori, top ten orientale in pectore, alla sua prima finale in un Master Mille, imbattuto nel 2014 sulla terra, proveniente dal trionfo nel 500 di Barcellona. Prima di questo fantastico squarcio di stagione, vantava sulla superficie lenta solo una modesta finale a Houston.
Da un lato l’incognita per il maiorchino, di un cammino lungo la settimana che, al di là dei numeri, ha mostrato delle crepe rispetto all’assoluta inscalfibilità del suo gioco, vista in ampi tratti del 2013. Dall’altra il giapponese arrivava alla finale con l’incognita della tenuta atletica, avendo concluso meno di 24 ore fa le sette fatiche di Ercole contro David Ferrer. I precedenti dicono 6 a 0 per Nadal.
Primo set. Rafa parte in quinta con sei punti consecutivi, ma il suo primo set, strano a dirsi, finisce lì. Per il resto viene letteralmente dominato dal giapponese, come forse mai si era visto sul rosso. Nishikori più profondo, più avanti nel campo, aggressivo, preciso. Rafa dal canto suo non ne becca una, non sorprende la carenza di suoi vincenti ma l’abbondanza di errori. Talvolta non trova addirittura la palla, viene bombardato dal suo avversario e per il rotto della cuffia riesce a fare un altro game prima della chiusura per 6-2 con Nishikori al servizio. Il giapponese annulla solo una palla break nel secondo gioco. Da lì in poi va che è un piacere. Zero errori, scelte sempre corrette. E tennis di qualità.
Secondo set. Si parte sulla falsariga del primo ed è subito break in favore dello sfavorito della vigilia. Rafa ha la possibilità di controbrekkare, ma Nishikori recupera da 0-40 e tiene il servizio. Avanti così fino al 4-2 per Kei. Ma i sogni devono il loro fascino anche al fatto che non sempre si realizzano. Lì cambia tutto, ma proprio tutto. Improvvisamente il giapponese non riesce più a muoversi, come se tutta la stanchezza e gli acciacchi che lo avevano accompagnato nei giorni precedenti (si era fatta massaggiare anche ieri, durante i cambi di campo) battessero cassa all’unisono. Il settimo game va via veloce e Rafa lo porta facile a casa. Sul 4-3 Nishikori va a servire: cronaca di un break annunciato. Niente. La partita in pratica finisce lì. La cosa che stupisce, spiace dirlo, è la smodata esultanza del pluridecorato campione spagnolo, a fronte di una rimonta frutto non dell’innalzamento del suo livello di gioco, ma dell’evidente menomazione fisica dell’avversario. E’ una questione di stile, puoi stare tante ore su un campo da tennis, ma quello non lo impari. Il 6-4 Nadal è automatico e l’esultanza sempre più sguaiata, nonostante si veda lontano mille miglia che il suo avversario non sia più in grado (fisicamente) di lottare. Anche il pubblico ci mette il suo, fischiando Nishikori qualche game prima dell’infortunio (esiste un giocatore più corretto del giapponese?), e accompagnando la rimonta con spudorati applausi di gioia.
Il terzo set in realtà non comincia mai. Kei è agonizzante e fa il cattivo con se stesso stando ancora in campo per tre game. Sul 3-0 per Nadal arriva finalmente come una liberazione il ritiro. Rafa vince il primo torneo della primavera europea sul rosso, senza dissolvere i dubbi sulla sua reale condizione. Al foro potremmo vederne delle belle. Il personaggio della settimana però è certamente il giocatore giapponese, autore fino al momento dell’infortunio di una formidabile prestazione, ma ahi lui non nuovo a cedimenti del suo fisico. Benvenuto nella top ten.