Terzo turno qua, semifinale là, magari vinco anche un Challenger, poi al secondo turno laggiù pesco Djokovic, di là Nadal, e alla fine? Non ci vedo più dalla fame.
Abbastanza evidente il riferimento allo spot di una merendina, sebbene il discorso di base sia piuttosto diverso e anche abbastanza preoccupante.
Stiamo parlando dell’annosa questione del prize money, questo sconosciuto, almeno per molti.
Prima di partire con una robusta trafila di numeri e statistiche cerchiamo di fare un po’ il punto della situazione.
Anno Domini 1968: con l’avvento dell’ Era Open i tennisti iniziano a percepire i primi introiti per la partecipazione ai maggiori tornei internazionali.
Da lì in avanti i montepremi sono cresciuti esponenzialmente fino ad arrivare alle cifre astronomiche di oggi.
Nel 2008 si è verificato il definitivo livellamento dei montepremi maschile e femminile per i tornei Slam eppure, proprio quando si pensava di essere arrivati ad un happy ending, si ripresenta un problema della stessa portata e, speriamo, con la stessa risonanza mediatica.
Se per la causa delle quote rosa si era attivato tutto il circuito, con prevedibile e conseguente adeguamento delle federazioni, in questo caso il sasso lo lancia un tennista, solo come lo è in campo, con una schiera di possibili beneficiari che però non hanno lo stesso potere decisionale di un ATP o di un ITF qualsiasi.
Il Mosè in questione è il noto tennista russo Dmitry Tursunov, best ranking n.20 ed attuale n.29 del mondo, con alle spalle una ottima carriera seppure non sotto i riflettori più grandi, centrati sui vari Federer, Nadal ecc..
Nella trasmissione televisiva Open Court della CNN, il russo ha espresso preoccupazione per la piega che ha preso l’universo tennistico negli ultimi anni.
“Sono nei primi trenta del mondo, ma credo di parlare a nome di tanti giocatori, nei primi 100 ma non solo, e la verità è che per restare ai massimi livelli i costi crescono sempre di più, se non riesci ad avere con te un grandissimo sponsor“. Se il pensiero è rivolto ai principeschi premi percepiti dai campioni dei tornei più importanti (spesso sempre gli stessi), un altro fattore determinante sono sicuramente le spese, tra cui viaggi, entourage e alberghi. Continua Tursunov: “Oggi spendiamo almeno 100mila dollari per i viaggi, con un aumento del 10% negli ultimi due anni, e si fa tutto in economy, naturalmente, affrontando fusi e notti insonni. Allora possono anche darci un contentino più cospicuo ai primi turni, ma se non si contengono le spese è inutile fare certa propaganda“.
A volte in questa società moderna ci viene insegnato di dare tutto per scontato, e il mondo del tennis, dove gli interpreti vengono serviti e riveriti dai raccattapalle, ci sembrano tanti bimbi spocchiosi viziati all’inverosimile per divertirsi.
Qualcuno di voi sicuramente starà pensando agli altri sport, quelli che maggiormente intasano l’etere quotidianamente, come calcio, basket e via dicendo.
Proprio su questa similitudine va ad incentrarsi il discorso, con i campioni degli sport di squadra che hanno alle spalle una società che si preoccupa di assolvere per loro le spese necessarie agli spostamenti ed all’equipaggiamento necessario. Allenatori, fisioterapisti, psicologi, medici, mezzi di trasporto.
Prosegue il russo: “Il minimo è 200mila dollari l’anno, queste sono tutte spese a carico nostro: non siamo nel calcio o nel basket, in cui ci pensa la tua squadra, la tua società, e magari capita che tanti miei colleghi più in basso viaggino senza coach. Come si fa ad allenarsi, pensare di poter battere i grandi, creare le condizioni per un ricambio? Si pensa allora a vivere, e a farlo male, quando magari c’è chi come Federer si porta non solo il fisio o il coach, ma l’incordatore e tutto un seguito che ha poco a che fare con lo sport”.
Chiaramente siamo coscienti che in qualsiasi sport esistono realtà borderline, ma in uno sport da lupi solitari come il tennis, questi problemi vengono amplificati sempre più, aumentando a dismisura la spaccatura tra i top players e gli onesti mestieranti pane e racchetta.
Forse qualcuno, ma non tanti quanti dovrebbero essere, si ricorderà di Josh Goodall, ex n.2 inglese che si è ritirato poco più di un anno fa, il che forse può non fare notizia, ma se andiamo a sviscerare la causa del suo ritiro, tutto si farà più chiaro.
Con un best ranking da N.184 del mondo, il britannico può essere considerato un tennista come tanti, messo persino meglio di tutti gli altri habitouè delle retrovie.
La causa del suo ritiro non sono stati gli infortuni, o una forma fisica in lento declino, e non è stata la scarsa convinzione nei suoi mezzi, bensì il portafogli vuoto.
In molti casi, per fare il salto di qualità, possono bastare un paio di tornei vissuti da protagonista, ma per chi un fenomeno non lo è, essere nei primi 200 e lottarsi i vari Challenger e ITF è già un grande traguardo, ma come abbiamo visto può anche non essere sufficiente.
Ad un certo punto della vita di un atleta è normale anche tirare le somme della propria esperienza, e quando ciò che hai scelto per la tua carriera diventa un hobby che non ti garantisce un futuro economicamente sostenibile, la bandiera bianca viene da sé.
Rafael Nadal: $ 11.057.935 n.1
Benoit Paire: $ 946.262 n.31
Paul-Henri Mathieu: $ 340.564 n.100
Andreas Haider-Maurer: $ 193.114 n.148
Quattro nomi messi sul piatto per valutare meglio: il primo, come gli altri nababbi in cima alla classifica, lo conosciamo tutti, e se la cifra espressa rappresenta solo il prize money, possiamo facilmente immaginarci quanto in più può essere messo in saccoccia con qualche sponsor al seguito.
Benoit Paire è una giovane promessa, ma li vicino a lui ci sono veterani come Jeremy Chardy e Jurgen Melzer. Già al 31esimo posto si scende sotto il milione.
Se per l’ultimo nome della top100, l’esperto francese Mathieu, si registrano più di 300.000 dollari, ad arrivare alla cifra indicata dal nostro Dmitry come budget minimo di spesa ci corrono solo 48 posizioni, infatti l’austriaco Haider-Maurer non riesce ad arrivare ai fatidici 200.000 dollaroni, e, per quanto riguarda il circuito femminile, siamo lì, senza differenze sostanziali.
Lo spazio che abbiamo dedicato negli ultimi mesi ai Momenti di gloria voleva servire da incentivo per affinare lo sguardo, troppo spesso rivolto ai soliti ed alle solite, perdendo di vista chi, seppure con sacrifici e senza l’aiuto di Madre Natura, vive di tennis e crea quella variegatura indispensabile per apprezzare i Top e per fare da scala dei valori per chi ancora deve arrivare o che sta arrivando.
Il loro ruolo è fondamentale e, se i grandi ci fanno amare questo sport e ci regalano uno spettacolo da re, i più umani giocatori dal ranking più basso ci insegnano l’umiltà del professionista che sfida le avversità della vita dello sportivo, della tenacia e della passione che ci vuole su ogni singolo quindici, anche quando si palesa qualche dolorino o se la situazione personale o la sfera emotiva non sono al massimo.
Se l’augurio è che quello di Tursunov non resti solo un appello, ma diventi un problema sotto gli occhi di tutti che necessita di essere risolto al più presto, io mi sento di lanciare un appello a tutti i tennisdipendenti, come lo sono io e lo siete voi: torniamo ad apprezzare ogni piccola sfumatura di questo magnifico sport, non soffermiamoci solamente agli incontri che possiamo vedere facendo zapping.
Il tennis è un universo che vive del pubblico, e i soldi che permettono alla ruota di girare vengono dagli sponsor e le organizzazioni, ed a muoverli è il pubblico. Facciamo dunque si che il nostro palato si affini e che il nostro interesse cresca: non possiamo dire di amare la musica ascoltando solo ciò che passa la radio, così come non possiamo dire di amare il tennis solo guardando un paio di Djokovic-Nadal.
Non possiamo pensare di cambiare le cose da soli, ma se non siamo capaci di osservare e di dare una nostra impronta, il fiume scorrerà sempre nella stessa direzione, e qualche promettente ragazzo con la luce negli occhi di un amore verso questo sport non avrà la possibilità di arrivare davanti al grande pubblico per dimostrare chi sia e guadagnarsi la nostra ammirazione.
Pensateci.