È una corsa contro il tempo. Domani notte, quando già sarà scattato il 3 gennaio 2020, prenderà il via la nuovissima Atp Cup, competizione a 24 squadra che si svolgerà tra Perth, Sydney e Brisbane. Prima di lanciarci nel nuovo decennio tennistico, indugiamo qualche minuto ancora e torniamo con la mente ai momenti fondamentali di quello appena chiusosi. Mancheranno gli istanti a cui ognuno di noi è più legato, perché a tennis si gioca undici mesi l’anno, e dentro di noi portiamo partite apparentemente insignificanti che si sono svolti in giorni importanti della nostra vita. La selezione è forse un po’ banale e il fotoracconto si limita a 12 schede, non restituendo appieno tutte le emozioni dell’ultima decade. È giusto tuttavia ripassare quanto successo negli anni Dieci del Duemila perché col nuovo decennio si va verso nuove, inevitabili, pagine di storia.[tps_title]Prime Federer: il tennis degli dei per battere Djokovic a Parigi[/tps_title]
Guardando l’immagine, molti di voi avranno un sussulto al cuore. Il dominatore del 2011 è Novak Djokovic, è vero. Questa scheda non dovrebbe esserci. Ma il 3 giugno del 2011 non si può trascurare. È la semifinale del Roland Garros, tra Roger Federer e, appunto, Djokovic. Il serbo viene da 41 vittorie consecutive dall’inizio della stagione e gioca per raggiungere in finale Rafael Nadal, battuto in quattro finali di fila dopo New York. Il destino, però, gli mette davanti Federer. Un Federer che secondo molti gioca la sua miglior partita di sempre in relazione alla qualità dell’avversario. E la striscia di Nole, nella sua testa e nei suoi colpi, non ha alcun peso, è anzi una spinta verso l’eterno. Nel giorno del 25esimo compleanno di Nadal firma la storia, spezza l’imbattibilità di Djokovic e raggiunge la quinta finale a Bois de Boulogne. Probabilmente fa un favore al rivale spagnolo, che in finale lo batte, mentre psicologicamente avrebbe potuto soffrire tantissimo Djokovic, le vette tennistiche viste quel venerdì, però, rimangono quasi irraggiungibili. Il serbo, il più forte di tutti fisicamente e mentalmente, prova l’impresa tra terzo e quarto set. Ma Federer si salva in uno splendido tie-break, evita quinto set e sospensione per oscurità chiudendo 7-6(5) 6-3 3-6 7-6(5). È la dimostrazione che nel gesto, nell’atto del colpire la palla, è il più grande artista moderno. E questa partita, che esista o meno tale figura, nell’immaginario dei suoi tifosi e non solo, diventa il pilastro nell’affermazione di Roger Federer come miglior tennista di tutti i tempi.
[tps_title]Il nuovo Djokovic: l’ascesa del tennista degli anni Dieci[/tps_title]
Il 3 luglio del 2011, il Tempio del tennis, il Centre Court di Wimbledon, apre definitivamente le sue porte al nuovo fenomeno mondiale, Novak Djokovic. E come in un sogno, il giorno dopo aver avuto tra le braccia il trofeo più importante del mondo tennistico, il serbo diventa anche, per la prima volta in carriera, numero 1 del mondo. La vittima della sua ascesa è Nadal, che perde la finale e subisce il sorpasso in classifica. Lo subisce sotto tutti i punti di vista nel 2011, perché il rovescio bimane che disarma il dritto mancino entra nella testa di Nadal, teso, corto e senza contromisure. Finisce 6-4 6-1 1-6 6-3. Già allora, il nuovo Djokovic, dopo la nuova dieta e l’iniezione di fiducia della Coppa Davis a fine 2010, ha pochissimi punti i deboli. Il servizio arriverà più tardi, e nel corso degli anni Dieci lo aiuterà a diventare il miglior giocatore del mondo anche sull’erba. Il primo non si scorda mai, ma rimane pur sempre “solo” un punto di partenza. Da lì arriveranno altri quattro successi, l’ultimo e più drammatico proprio nel 2019.
[tps_title]La finale dei record e i crampi di Djokovic e Nadal dopo sei ore[/tps_title]
Per la storia del tennis, il più importante è quello del 29 gennaio. Sulla Rod Laver Arena va in scena una delle più belle partite di sempre, la finale Slam più lunga, della durata di 5 ore e 53 minuti. Djokovic vince la settima finale di fila su Nadal, ma il 2012 dà nuova linfa allo spagnolo. L’uso più sapiente del dritto lungolinea rimescola le carte della rivalità e lo tiene in vita in una finale che alla vigilia sembrava poter essere senza storia. Alla fine Djokovic pare poter vincere in quattro set, ma lo spirito combattivo di Nadal cambia ancora la storia. L’iberico va avanti anche nel quinto di un break, ma manca sul più bello. Nel finale thriller trionfa Djokovic, 5-7 6-4 6-2 6-7(5) 7-5 in una partita storica, forse la più bella della loro rivalità. Nel cuore di tutti gli appassionati non rimane solo l’esito della finale, ma anche l’abbraccio tra due campioni enormi che sul volto spossato mostrano la loro umanità. Durante la premiazione entrambi sono costretti a sedersi per evitare di svenire. Scene di un decennio in cui l’hanno fatta da padrone, vincendo 28 dei 40 Major in due. Qui sotto, 34 minuti ben spesi per iniziare al meglio il 2020.
[tps_title]La rincorsa di Rafa nel 2013[/tps_title]
Nel 2013, il numero 1 incontrastato torna ad essere Rafa Nadal. Torna dopo otto mesi di assenza dal luglio del 2012 e si riprende la vetta del ranking ad ottobre, dopo aver vinto l’ottavo Roland Garros e il secondo Us Open. Due sono le immagini iconiche per la sua annata. La prima risale al 17 marzo, quando al primo torneo sul cemento dopo il rientro, il primo Masters 1000, supera Juan Martin Del Potro e si lascia andare in lacrime sul centrale di Indian Wells. La seconda è invece l’invasione di Djokovic che cambiò le sorti della semifinale al Roland Garros. Il 7 giugno del 2013 il serbo era avanti di un break al quinto decisivo set contro Nadal. Arrivata sul 40-40, mentre serviva per issarsi sul 5-3, l’invasione del fenomeno di Belgrado scrisse una storia completamente diversa, restituendo il break e arrendendosi poi per 6-4 3-6 6-1 6-7(3) 9-7. A settembre lo spagnolo ribadirà la superiorità battendo il rivale in finale a Flushing Meadows.
[tps_title]La storia si compie, Murray trionfa a Wimbledon[/tps_title]
La pagina più importante del 2013, in ogni caso, arriva esattamente un mese dopo l’invasione tennistica più famosa della storia. Il 7 luglio 2013 si chiude un cerchio apertosi 78 anni prima. Da Fred Perry a Andy Murray, lo scozzese che riporta un britannico a trionfare sul Centre Court di Wimbledon. È Murray che compie il suo destino, quello che gli ha messo la racchetta in mano da bambino. La sua missione, dopo diversi anni di apprendistato, era iniziata l’anno precedente, con la prima finale persa a Wimbledon contro Federer e la vendetta del 5 agosto, nel match valevole per l’oro olimpico. L’aura divina si crea col successo nella rassegna olimpica, spinto dal pubblico di casa, contro un avversario sfinito dalla semifinale vinta su Del Potro. Il Re di Wimbledon irripetibilmente asfaltato in finale per 6-2 6-1 6-4. Col sostegno di Ivan Lendl dalla panchina, Murray cresce esponenzialmente dal punto di vista atletico e, progressivamente, anche col diritto. Il salto di qualità, anche dal punto di vista mentale, si concretizza a settembre. Alla quinta finale in carriera, Murray sfata anche il tabù Grand Slam portando a casa lo Us Open. Un successo decisivo per l’eterna gloria dell’anno seguente, al quinto set dopo 4 ore e 54 di partita, contro Djokovic. Il serbo non tiene il passo dell’avversario, e dopo un estenuante 7-6(10) 7-5 2-6 3-6, crolla per 6-2 nel finale. Quando nel 2013, da campione olimpico, Murray torna a casa, il destino si serve ancora di Del Potro per portare a termine il proprio disegno. L’argentino questa volta costringe Djokovic alla maratona e il numero 1 Atp ha pochissime energie per contrastare un Murray sicuro di sé come poche altre volte in carriera. Come nella finale olimpica, infatti, finisce 3-0, 6-4 7-5 6-4. È tripudio, è liberazione, Andy Murray è il prescelto, l’eroe atteso per quasi 80 anni.
[tps_title]L’irruzione dell’invincibile Stanimal[/tps_title]
Fino al 2013, Murray era stato l’unico ad aver la fortuna di vincere almeno un Major nell’Era del dominio di Federer, Djokovic e Nadal. A gennaio del 2014, però, nasce un altro campione, che da allora sarà lo spauracchio dei suddetti tre nei tornei dello Slam. Stanislas Wawrinka arriva all’Australian Open da numero 8 del mondo, in netta crescita e col ricordo della straordinaria partita giocata e persa l’anno prima in ottavi per mano di Djokovic, ma solo 12-10 al quinto e decisivo set. Lo svizzero però è maturato ancora di più sotto la guida di Magnus Norman, e i suoi colpi sono oramai unanimemente considerati i più pesanti del circuito insieme al martellante diritto di Del Potro. Nei quarti del 2014 ritrova Djokovic e lo spettacolo è di poco inferiore a quello dell’anno precedente. Questo semplicemente perché, a differenza dello scorso anno, comanda con molta più costanza lo svizzero, che pure fatica a scrollarsi di dosso il campione in carica. Dopo aver dominato secondo e terzo parziale, difatti, si ritrova di nuovo al quinto parziale, come pure nella semifinale, persa, quattro mesi prima, a Flushing Meadows. L’esperienza, però, lo favorisce non poco questa volta, e Djokovic, dopo quattro ore esatte di partita, si arrende per 2-6 6-4 6-2 3-6 9-7. È l’ultimo vero scoglio verso la Norman Brookes Challenge Cup. Ci sarebbe Rafa Nadal il 26 gennaio, in finale, ma alla domenica ha una schiena molto dolorante e non può impedire a Wawrinka il sogno ad occhio aperti. Sarà il primo di tre Slam, uno per anno fino al 2016, ad eccezione del solo Wimbledon. Precisione e sovrumana potenza per più di tre ore, è questo il Wawrinka della seconda parte della decade, un giocatore unico. Probabilmente imbattibile quando è al suo massimo, sarà lui a fermare Djokovic alla conquista del Roland Garros 2015 e dello Us Open 2016.
[tps_title]Nole il conquistatore, un anno e mezzo da record[/tps_title]
Per molti aspetti, questa è la scheda principale del nostro riassunto. Perché celebra il dominatore degli ultimi dieci anni nella sua impresa più grande di tutte. Un’impresa, per la verità, che sui campi da tennis non si vedeva del 1969. Tra il 2015 e il 2016, infatti, Novak Djokovic ha non solo completato il Career Grand Slam vincendo la tanto ambita Coppa dei Moschettieri, ma si è aggiudicato quattro Major consecutivi, Wimbledon e Us Open nel 2015, poi Australian Open e Roland Garros l’anno successivo. Il 2015 poi, in termini di punti, 16.585, è la migliore di sempre per un tennista. Tre Slam e la finale persa da Wawrinka a Parigi a cui vanno sommati sei Masters 1000 e le Atp Finals. Cifre da capogiro, cifre da Novak Djokovic, l’unico insieme a Robin Soderling ad aver battuto Nadal al Roland Garros e l’unico insieme a quest’ultimo ad aver battuto Federer in finale a Wimbledon.
[tps_title]L’incredibile finale di 2016 di Andy Murray[/tps_title]
Dopo tali risultati, la fiducia e la forma fisica di Djokovic cominciano a mostrare le prime crepe, e così, Murray, già vittorioso a Roma, prende in mano lo scettro di numero 1 di fine anno. Col serbo che è affaticato, fisicamente nessuno sembra al suo livello. Da metà stagione in poi, praticamente, gli scappa solo lo Us Open. Vince al Queen’s, a Wimbledon e poi consecutivamente a Shanghai, Bercy e le Atp Finals in casa a Londra. In Cina e in quest’ultimo caso si costruisce il sorpasso su Djokovic (battuto entrambe le volte) e superato proprio nella finale alla O2 Arena in classifica. Tra Wimbledon e lo Us Open, peraltro, si riconferma campione olimpico, legando la sua storia ancora a Del Potro, nettamente inferiore in finale a Rio de Janeiro. Alla fine dello scorso decennio si parlava convintamente di Fab Four. Alla fine di questo, con lui fermo a “soli” tre Major, si parla di Big Three. La verità però sta in mezzo, perché rimane lui l’unico ad aver chiuso la stagione in vetta infilandosi tra i 15 anni delle tre leggende.
[tps_title]Il ritorno del Re e le gerarchie ribaltate, Nadal non vince più[/tps_title]
Anche quando sei una leggenda, riaprire un libro dei record rimasto chiuso per cinque anni, reinventarsi, riscrivere le regole della rivalità della tua vita, è impossibile. Almeno così sembrava. Fin quando Roger Federer non ha deciso di cimentarsi in questa sfida. Dopo la sfida di Basilea nel 2015, il bilancio recitava 23-11. Se quanto accaduto a Djokovic è la pagina principale della decade, quanto accaduto tra Nadal e Federer nel 2017 è forse la cosa più sorprendente degli ultimi due lustri di tennis. E non tanto per la poetica finale in Australia, in cui Nadal era addirittura avanti di un break nel quinto e decisivo set. Ma soprattutto per il prolungato dominio negli scontri diretti da allora ostentato dallo svizzero. Nadal è impotente tanto quanto lo era con Djokovic nel 2011, e con Federer perde per quattro volte, di cui tre finali. Il sodalizio con Ivan Ljubicic funziona e riporta Federer ai vertici nel triennio 2017-2019, con tre Grand Slam in più che lo lanciano a quota 20. L’arma in più, su Nadal soprattutto, è il rovescio in top, spesso in controbalzo per la posizione avanzata dello svizzero in campo. Si lascia scappare gli ultimi due Wimbledon, ma accresce la sua leggenda superando i 100 titoli alzati in carriera. Lode a Roger Federer, che nel 2020 sarà in campo nella quarta decade differente, per più di 20 anni di carriera all’attivo.
[tps_title]Da Wimbledon a Wimbledon: un anno da Novak Djokovic[/tps_title]
Dopo momenti difficili, come i due diretti concorrenti, anche Djokovic è tornato al top della forma. Ha vinto quattro delle ultime sei prove dello Slam, battendo peraltro in quelle del 2019 sia Nadal che Federer con dei piccoli grandi primati. A gennaio è diventato l’unico tennista a sconfiggere lo spagnolo per 3 a zero in una finale Major. A Wimbledon, invece, ha giocato la finale più lunga di sempre, il primo tie-break decisivo nella storia del torneo e, per la prima volta nell’Era Open, ha vinto il torneo annullando match point in finale. In maniera meno appariscente rispetto agli altri due, è anche lui evoluto nello sviluppo del gioco, senza avere le stesse doti nel gioco di volo. Atleticamente, quando non ha dolori, rimane insieme a Nadal e Daniil Medvedev il migliore e sul veloce continua a scivolare come fosse di gomma, come stesse pattinando. Si è ampiamente discusso del suo ambiguo 2019, resta vedere in che condizioni si presenterà in Australia. È il primatista assoluto e guai a darlo per spacciato.
[tps_title]Nadal e l’arte dell’evoluzione[/tps_title]
La decade è iniziata con la sua miglior stagione. All’inizio del nostro fotoracconto avrebbe meritato molta più attenzione il primo successo a New York. Vittoria che lo consacrava come unico dai tempi di Laver a trionfare negli Slam su tre superfici diverse nello stesso anno, oltre che più giovane della storia nell’Era Open a completare il Career Grand Slam. Ha New York si è imposto con più tempo, ma oramai l’amore è sbocciato. Con quattro successi è il miglior tennista del decennio nella Grande Mela, e l’ultima perla sembra essere, tecnicamente parlando, il punto più alto della sua evoluzione. Un’evoluzione costante, ma come per Federer fattasi più netta col cambio allenatore dal 2017 in poi. Con Carlos Moya la parola d’ordine, almeno sul cemento, è il gioco verticale, favorito da un nuovo sfavillante servizio. Su terra viene da altre tre Coppe dei Moschettieri, che lo portano a quota 12. Ha vinto la Davis da leader, gli ultimi due match alle Atp Finals in rimonta e l’esibizione ad Abu Dhabi. È a meno uno dai 20 Major di Federer, e se al primo gennaio 2020 c’è uno che tra gli Over-30 sembra arrivare sicuramente al top già dalle battute iniziali, quello, è proprio Rafa Nadal.