Chissà se Roger Federer conosce Patty Pravo…Ma sì, quella maliarda (una volta…) con la voce roca particolarmente affascinante, interprete di canzoni di successo entrate nella coscienza collettiva, come La Bambola, Ragazzo Triste, Pensiero Stupendo, e tante altre: fra cui Pazza Idea, una delle più evocative ed immaginifiche, la quale evidentemente il tennista elvetico da qualche parte deve aver ascoltato. Tanto che pure a lui immaginiamo sia pian piano maturata nella capoccia una bizzarra convinzione, difficile assai da realizzarsi, ma per la quale si direbbe voler spendere gli ultimi fuochi di una carriera da autentico mito… Ci torneremo.
Nel frattempo prendiamo atto con un pizzico di sgomento che il futuro, il quale sembrava davvero alle porte, nel tennis non è ancora cominciato. Nonostante se ne parli da anni ormai, e che molto -se non tutto- sembrava deporre vivaddio al suo anelato avvento: stante gli acciacchi ed i problemucci vari che da un po’ affliggono, chi più chi meno, i protagonisti indiscussi degli ultimi tre lustri con la racchetta in mano; e soprattutto la folta schiera di tigrotti che incombono, desiderosi come in tutte le dinamiche che sovrintendono da migliaia di anni le cose della natura, ed in particolare il regno animale (quindi pure il genere umano), di porre in pensione con le buone o le cattive coloro i quali hanno detenuto sinora le leve del potere. Già: al Roland Garros il vecchio leone iberico è stato messo in un cantuccio, e se il delitto lo ha commesso materialmente un altro dei tiranni, sembrava che i frutti potesse coglierli il più audace e sfrontato degli imberbi, pronto ad infliggere il colpo di grazia al regicida (e per lui, a tutta la sua generazione di fenomeni).
L’andamento della finale deponeva chiaramente in tal senso, col giovane messaggero degli dei -rafforza la suggestiva immagine la provenienza di questi dalla terra dell’ Olimpo, ed il suo aspetto gentile, ma fiero al tempo stesso, di discendente diretto di Apollo- che è arrivato ad un passo dal mozzare la testa al confuso rivale, il quale di già l’aveva docilmente posta sull’ orrida pietra patibolare. Macchè, eravamo tutti pronti (dai confessiamolo, le dittature quandanche magnifiche ad un certo punto vanno a noia…) a celebrare il sol dell’avvenire, quando le tenebre -non particolarmente oscure e spaventose, ma insomma, pur sempre di tenebre si tratta: per il povero greco di sicuro- hanno d’improvviso ma inesorabilmente avvolto il malcapitato, trasformando il suo sorriso da (quasi) vincente in una smorfia di dolore e disperazione. L’ennesima, e sempre quella, al cospetto del passato che non vuol saperne di farsi da parte. Insomma, per uscir di metafora, il più recalcitrante fra i tre splendidi nel lasciar strada libera alla new wawe (che in molti casi, a forza di aspettare invano è diventata col tempo … semi new), e cioè Novak Djokovic dal satanico ghigno, ancora una volta pur fra diversi batticuore ha rimesso al posto suo -vale a dire di allievo diligente e preparato, ma ancora seduto sul banco di scuola senza possibilità di salire in cattedra- Stefanos Tsitsipas: colui il quale cioè era uscito dalla parte bassa del tabellone, ove singolarmente un sorteggio munifico aveva piazzato gli aspiranti, con le stimmate del predestinato a far fuori i vecchi arnesi della metà di sopra, tutti lì ammucchiati.
Non entreremo nel dettaglio tecnico della tenzone, già sviscerata da altri sotto tutti i punti di vista, ma ci colpisce e ci intriga la mancata realizzazione del golpe, quando sembrava sul serio che finalmente si potesse compiere. Ed allora occorre spostare l’attenzione su un diverso aspetto, il quale consiste nel fatto che la storia della disciplina si sta ancora scrivendo, prima che un giorno (quando?) i tre despoti si decideranno volenti o nolenti ad appendere l’attrezzo al fatidico chiodo. Eh già, dato che ormai Nole è ad una stretta incollatura da Roger e Rafa -20 Slam loro, 19 lui-, con la prospettiva niente affatto remota di affiancarli tra un mesetto dopo il passaggio sui sacri prati londinesi! Ambè, dopo sì che si farebbe serrato il dibattito, aldilà delle convinzioni personali e delle preferenze di ciascuno, su chi meriti il fatidico titolo di GOAT: e con una possibile ulteriore variabile, sempre che il serbo replichi a Wimbledon il successo dell’ultima edizione disputata due anni or sono (nel ‘20 nisba causa Covid, come si ricorderà), data dal fatto che il medesimo si lancerebbe verso il mito assoluto che da 52 anni non si ripete… Sì, proprio il grande Slam, che dai tempi ormai vetusti di Rod Laver (era il 1969) nessuno è mai riuscito a replicare. E a quel punto, fine delle discussioni, e giù il cappello dinanzi al migliore di sempre!
Stiamo correndo un po’ troppo avanti? Mmmh, mi sa di sì… Ed allora fermiamoci, anzi facciamo un passo indietro rispetto allo US Open prossimo venturo, e torniamo all’assunto di partenza: quello su cui abbiamo coinvolto la fascinosa cantante di origine veneziana. Perché siamo straconvinti che a Federer frulli in testa, e non da ora, una autentica ed insopprimibile pazza idea: quella di piazzare l’ultimo prestigioso sigillo sull’erba, la superficie a lui più cara, per chiudere da imperatore vero (macchè Olimpiadi, ha già fatto capire più o meno velatamente che a Tokyio non andrà). E, specialmente, cogliere l’opportuna vendetta -tremenda, come tutte le vendette che si rispettino- nei confronti della sua fastidiosa nemesi belgradese, dopo i due sanguinosi match-point falliti nel 2019, in un testa a testa drammatico di cui ancora serbiamo i brividi (fastidiosa nemesi? Diciamo pure odiata, dai…): la quale vendetta al tempo stesso consisterebbe pure nel tener a distanza il fiero inseguitore, e stoppargli sul più bello il disegno ‘en plein’ che comincia ad accarezzare rispetto ai 4 Majors. A Parigi ha rinunciato senza colpo ferire al rendez-vous con Berrettini, rammenterete, per preservarsi in vista del proprio appuntamento clou: a che pro, se non coltivasse disegni grandiosi? La sua storia personale dice che ne ha il diritto, di immaginarsi qualcosa di immenso: ed anche le possibilità, di andare oltre quel che detterebbe la fredda ragione. La quale dice, riconosciamolo: no, non accadrà… Ma chi siamo noi, per opporre il comune buon senso alla lucida, grandiosa follia? Comunque vada, ho già messo in frigo una bottiglia di champagne, ma di quello buono: un brindisi d’eccezione è certo. Se non alla leggenda, di sicuro ad una grandezza con pochissimi eguali. Un altro paio, al massimo…