Cari Amici, vi scrivo.
Dopo qualche tempo di assenza forzata eccomi tornare a scribacchiare di tennis con Voi. L’idea di questa rubrica è quella di fare il punto sul mese appena trascorso, in chiave ATP. Insomma, niente video di scambi mirabolanti, ma solo un gioco di parole per dare un’occhiata a volo d’uccello su quanto di più interessante il mese ha proposto nel carrozzone del tennis maschile.
Nel menù del mese di Luglio 2017 la portata principale, e non poteva essere diversamente, è quella di Wimbledon. Il tempio di Church Road ha offerto la delizia della vittoria di Re Roger, che torna dall’inferno dell’esilio a riprendersi la sua corona. Commenti, video celebrativi, tanta commozione, per un evento sportivo di grande rilievo, non so se storico, un aggettivo che del quale si tende ad abusare. Di sicuro Federer non ha fatto sconti: ha giocato un tennis brillante, nel quale la parola semplicità mi pare la più azzeccata. “Chiamalo semplice” quel tennis, diranno gli Aficionados, e a ragione. Ma insisto, perché quel modo di giocare è in effetti quello che ogni giocatore dovrebbe fare, cercare il punto nel modo più semplice, logico. Il grande lavoro di Ivan Ljubicic è stato quello di tornare alle radici della tecnica sopraffina dello svizzero, togliere, sottrarre. Meno spin, meno scambio, meno timore nel servizio, meno terra rossa. Una costruzione a più voci, insomma, quella del croato, per portare Federer ad usare quello che è il suo dono straordinario, ovvero la capacità di saper fare tutto su un campo da tennis. L’uovo di Colombo. Disinnescare Rafa Nadal e le sue rotazioni alte sopra la spalla che costringevano Federer a lunghi ed estenuanti palleggi e rischi clamorosi per cercare il punto. Caricare il servizio per guadagnare in percetuale e aprire il campo al dritto. Fare un passo avanti in risposta e riscoprire le doti incredibili di timing di Roger. L’essenziale, che come spesso accade, risultata rivoluzionario.
Wimbledon però non è stato solo Roger. Alzi la mano chi avrebbe pronosticato alla vigilia dei Championship’s quel quartetto di semifinalisti. Thomas Berdych che riscopre le sue doti di erbivoro, in una sequenza negativa che lo aveva portato fuori dalla top 10, Marin Cilic che si ricorda di aver conosciuto tale Goran Ivanisevic, Sam Querrey che riporta il vessillo a stelle e strisce in alto in terra d’Albione. Un quartetto, questo, che ha mostrato però un ritorno all’attitudine da erba, che negli anni si era persa, insieme all’ottimo Gilles Muller, autore del match della vita, probabilmente il più avvincente e tecnicamente interessante del torneo.
Rimandato ad un prossimo futuro il capitolo “NextGen a Wimbledon” (il solo Alexander Zverev ha strappato la sufficienza, insieme alla qualificazione del greco Tsisipas), campanello di allarme per Andy Murray, che ha giocato un torneo in calando, dopo la vittoria su Fabio Fognini e l’accesso ai quarti di finale che prometteva, fisico permettendo, un ruggito da leone britannico. E invece niente, un resa senza condizioni, con quel doppio 6-1 a segnalare un cedimento più psicologico che fisico. Vedremo sul cemento. E a proposito di cedimenti Church Road, come lo scorso anno, segna l’off limits per Nole Djokovic. Il serbo ha alzato bandiera bianca per il 2017. Vedremo se il “ritiro alla Federer” gioverà al campione serbo nel 2018.
Capitolo italiani. Come sempre si fa festa con i fichi secchi. Fognini fa il suo compito di tds e raggiunge il terzo turno, dove gioca senza continuità un match che lo vede salire in cattedra e poi scomparire dal campo contro il n.1 del mondo e campione uscente, a casa sua. Insomma, le condizioni ideali per esaltare il ligure, che però, un po’ per sfortuna e davvero poco per proprio demerito, perde l’occasione di portare al quinto lo scozzese e mettersi in condizioni di giocare un eccellente quarto turno a Wimbledon. Andreas Seppi passa un turno e poi esce senza colpo ferire. Thomas Fabbiano gioca due set eccezionali e poi si arrende a un Sam Querrey in stato di grazia, chiudendo la sua prima volta diretta in un main draw Slam con enorme dignità e merito. Si qualificano Simone Bolelli, che passa anche un bel primo turno, salvo poi arrendersi a Kei Nishikori, forse più per disabitudine a questo livello, che per altro, nell’ennesimo “ritorno” della sua martoriata carriera. Storica qualificazione di Stefano “Steto” Travaglia, a coronare una tenacia da samurai, per un giocatore che era dato per finito ma che ha dimostrato di volere fortissimamente un posto al sole. Torneremo preso a parlare di lui, nella top100. Infine Paolo Lorenzi: il compagno Stakhanov del tennis italiano, che da “signor nessuno” di qualche anno fa, non solo si è preso lo sfizio di vincere la sua (abbordabile) prima vittoria sull’erba, ma di presentarsi niente di meno che da testa di serie a Church Road (citofonare Brad Gilbert, nella categoria “un bel tacer non fu mai detto”).
Archiviata la kermesse londinese si torna sulla rassicurante (per tanti) terra rossa europea e sulla propaggine erbosa di Newport.
Restando in tema di erba, a Newport John Isner mette tutti in riga lasciando le briciole ai suoi contendenti, una manica di seconde file (con rispetto parlando) e di bombardieri, a caccia degli ultimi scampoli di prato dove far valere le proprie cannon-balls. Tanti nomi noti agli addetti ai lavori o poco più, tra i quali spiccano quelli di Matthew Ebden, capace di issarsi fino alla finale partendo dalle qualificazioni e di Peter Gojowczyk che ha mostrato un tennis d’attacco e un servizio assolutamente rimarchevole. Un appuntamento nel quale avrebbe potuto dire la sua anche il nostro Thomas Fabbiano, che però a giustamente preferito preparare la lunghissima trasferta USA che lo sta vedendo impegnato sulla sua superficie preferita, con coraggio e serietà, come sempre.
Tutti al mare ad Umag. Belle ragazze, divertimento, musica e cocktail a bordo piscina o sulla spiaggia a fare da cornice al torneo di tennis più chiassoso del circuito (forse). Aspettavamo Fabio Fognini a difendere un bel po’ di punti, ma abbiamo trovato altri protagonisti azzurri. L’amata terra rossa ferma al palo il ligure, travolto da Andrej Rublev, lucky-loser capace di vincere il torneo su un fenomenale Paolino Lorenzi (ciao Brad!), a sua volta autore dello stop nella prima semifinale ATP per Alessandro Giannessi, che finalmente raccoglie i frutti di un talento nato per la terra rossa, che lo deve portare presto nella Top50 del ranking, un obiettivo doveroso. Bene anche Marco Cecchianto, capace di far fuori a suo di vincenti quel Gilles Simon, che sulla terra può ancora dire la sua, nonostante un periodo non certo positivo. Vittoria di un LL, con Rublev al primo squillo di tromba vero dopo tanti proclami a salve. Vedremo nel proseguimento di questa stagione, che sta offrendo nomi nuovi.
In Svezia, nel glorioso torneo di Bastad, altra finale semplicemente non pronosticabile. David Ferrer, il Ferru del tennis mondiale, ritrova un acuto dopo lungo silenzio e declino anche nel ranking. Una vittoria d’altri tempi, ritrovando lo smalto dei giorni migliori e la profondità di colpi che lo ha portato stabilmente nei quartieri alti della classifica, rappresentando il paradigma del giocatore “costruito” dalla volontà di ferro. A fargli compagnia nella finale tedesca quel amabile “svitato” di Alexander Dolgopolov, l’ucraino tutto talento ed estro, capace di ritrovare una finale ATP e di deliziare con colpi fuori dal comune la platea svedese. Una connobio che più diverso non poteva essere, rappresentando il torneo forse più interessante proprio sul piano tecnico del trittico della settimana. Si palese Khachanov, in una match di quarti di finale perso sul filo di lana proprio contro Dolgopolov, con clima teso forse non solo per motivi tennistici, tra due rappresentanti di nazioni da tempo in conflitto aperto.
Ad Atlanta si riconferma il dominio di John Isner, tanto per cambiare senza perdere set. Torneo decisamente a stelle e strisce con ben 5 statunitensi nei quarti di finale. Si rivede Gilles Muller (semifinale), perché la tecnica si manifesta in tutta la sua bellezza a dispetto della carta di identità. Nel torneo “sudista” per eccellenza si rivedono un po’ di NextGen, come Chung, Escobedo, Fritz, che però escono allegramente al primo ostacolo, mentre brilla la stellina di Christopher Eubanks che si issa fino ai quarti. Seguiamolo nella stagione cementizia. Dopo il buon quarto di finale nel challenger di Gatineau perso contro l’arrembante Shapavalov (rivincita dell’erba britannica), Thomas Fabbiano inizia male il suo tour statunitense con una prova davvero scialba contro l’abbordabile Lacko.
Inno di Mameli a Gstaad. La località svizzera sorride non solo ad Heidi, ma soprattutto a Fabio Fognini. Il ligure, tanto per cambiare, si presenta con una wild-card in Svizzera, e con qualche ombra dopo la sconfitta di Umag, non scevra dalle solite, inutili, polemiche via social. E invece si ritrova via via, soffrendo in campo: inizia contro Robert Gombos nel peggiore dei modi, perdendo un set praticamente senza giocare. Poi soffre, sgomita, sbraita, colpisce la palla sempre meglio e porta a casa una partita complicatissima. Nei quarti trova una osso duro, neanche tanto gradito, Ernests Gulbis. Il lettone che insieme al ligure è campione in cupio dissolvi. Match intensissimo, a tratti davvero bello, tra due che non se le mandano a dire e non lesinano mai spettacolo. Se il tabellone di Umag era per Fognini invitante, ma per l’appunto gettato alle ortiche, quello svizzero appare molto complesso. Dopo Gulbis ecco il muro di Roberto Bautista-Agut. Altra maratona, altra rimonta, match soffertissimo, con un avversario mai domo. Ma altra vittoria di carattere, di fisico soprattutto, con Fognini che mostra una vitalità da ricordare. Infine il match psicologicamente più complesso, contro il tedesco Yannick Hanfmann, un nome che ricorda il tennis esplosivo del francese Noah, dal quale prende il servizio, senza dubbio, ma non l’estro. Nella settimana della vita del tedesco, al suo debutto su questi scenari, Fognini si ritrova a dover rappresentare il “fine corsa”. Lo prende a pallate, un po’ per la differenza di categoria e un po’ per l’emozione del teutonico. Poi si incarta, e il match diventa lottato. Ma nei momenti chiave Fognini si fa valere, a conferma che questa settimana è costruita, voluta, cercata, non “trovata”. Le premesse per tornare nella top 20 ci sono tutte. In chiave Italia occhio al primo main draw di un onesto giocatore, Lorenzo Giustino, leggero ma davvero piacevole da guardare. Capace di costruirsi una buona classifica nel circuito cadetto, ed ora pronto a provare il grande salto. In bocca al lupo!
Chiudiamo con l’unico 500 della settimana. Nella industriosa Amburgo ritorna a sorridere, dopo molto tempo, un giocatore di qualità come Leo Mayer, argentino dal rovescio ad una mano. E di nuovo è un LL a vincere il torneo, a conferma che il livello del tennis mondiale nel circuito ATP è particolarmente “livellato”, le differenze sono minimali, e la distanza tra vittoria e sconfitta è spesso rappresentata da dettagli. Questo dovrebbero ricordarlo bene gli Aficionados, prima di lanciarsi in giudizia tranchant una settimana sì e l’altra pure. In finale, Mayer trova un altro Mayer, Florian, questa volta tedesco, altro giocatore reduce da una sequenza di infortuni mica da poco. Torneo che, eliminate all’esordio le prime due tds, è diventata una questione tra Germania e Argentina, che prenotavano ben 6 posti nei quarti di finale, nei quali si introfolava nuovamente Khachanov, che sta lavorando decisamente bene, a suo agio sulla terra europea.