Il fine settimana ha regalato ai tifosi italiani due grandi soddisfazioni; a Los Cabos, Fabio Fognini, con un’acconciatura insolita e piuttosto bizzarra, ha vinto l’Atp 250 messicano battendo in finale l’argentino Juan Martin Del Potro, in Polonia, invece, Paolo Lorenzi ha conquistato il suo ventesimo titolo Challenger in carriera, trionfando sulla terra battuta di Sopot.
Queste due belle vittorie si sono aggiunte alle recenti imprese degli altri azzurri protagonisti dell’estate 2018; appena due settimane fa è arrivata la doppia vittoria di (ancora) Fabio Fognini e Marco Cecchinato, rispettivamente campioni a Bastad e Umago. Per il palermitano, protagonista di una primavera stellare culminata con la semifinale al Roland Garros, si è trattata di una graditissima conferma dopo la travagliata stagione su erba. Una settimana fa, inoltre, Matteo Berrettini ha conquistato il primo titolo Atp della sua giovanissima carriera, imponendosi a sorpresa a Gstaad e battendo giocatori del calibro di Andrey Rublev, Feliciano Lopez e Roberto Bautista Agut.
Questo inaspettato “Rinascimento” del tennis italiano, pur nella sua unicità, presenta una caratteristica ormai rintracciabile a livello macroscopico nel tennis moderno; sembra, infatti, diventata una regola ben precisa quella che fino a poco tempo fa era la semplice tendenza dei giocatori a ritardare il proprio processo di maturazione ed arrivare a vincere trofei importanti solo in età avanzata. In un decennio in cui il tennis d’élite è stato dominato e continua ad essere dominato dai soliti grandi campioni, e in cui gli outsider sono stati rappresentati da giocatori ben più maturi di quanto ci si potesse aspettare (basti pensare a Wawrinka, Del Potro e Cilic), è difficile pensare che questo spostamento progressivo della soglia anagrafica non sia ormai un fattore endemico.
Paolo Lorenzi ha fatto registrare i suoi migliori risultati nella seconda parte di carriera, raccogliendo i frutti di un lavoro e di un impegno sempre costante; a 36 anni, il senese può vantare un palmares di assoluto rispetto, che continua ad essere rimpinguato anno dopo anno. Ancora più incredibile la storia di Marco Cecchinato, la cui carriera a livello Atp è realmente iniziata solamente nel 2018, a 25 anni; il palermitano, dopo la vittoria nel torneo di Budapest, è stato protagonista di una marcia trionfale, terminata solamente in semifinale nell’Open di Francia, che lo ha portato ad occupare la ventunesima posizione della classifica mondiale. Fabio Fognini, invece, ha avuto un percorso di crescita più lineare, intervallato da tanti alti e bassi, ma che sembra aver finalmente raggiunto il suo apice. A 31 anni Fabio sta giocando il miglior tennis della sua carriera e, dopo aver vinto tre tornei in stagione, è ad una sola posizione dal suo best ranking (n. 13). In tanti hanno già iniziato a parlare di Atp Finals, un obiettivo ambizioso, forse prematuro, ma che non deve assolutamente pesare sulle spalle di Fognini, già così la sua stagione sarebbe da incorniciare.
Come ogni regola che si rispetti, però, anche questa presenta un’eccezione; se a livello mondiale, tra molte difficoltà, i tennisti più promettenti della Next Gen stanno finalmente trovando il loro spazio, l’Italia può godersi l’ascesa di Matteo Berrettini. Il tennista romano classe ’96 ha bruciato le tappe rispetto ai suoi colleghi e, a soli 22 anni, è riuscito a conquistare il suo primo titolo Atp, un ottimo segnale per un movimento che è ancora scottato dal grande flop di Gianluigi Quinzi, il quale, per vari motivi, non è purtroppo riuscito a fare il tanto sperato salto di qualità nel tennis professionistico.
Berrettini è un tennista dalle straordinarie doti fisiche e caratteriali, dotato di grande potenza soprattutto con il servizio e con il dritto, ma anche di una discreta sensibilità a rete e nei colpi liftati, vero e proprio marchio di fabbrica della scuola italiana (Fognini e Cecchinato docent). Il ventiduenne romano sembra avere le carte in regola per raccogliere la pesante eredità del tennis azzurro, ma dovrà essere lasciato libero di sbagliare, di maturare e, se necessario, di consacrarsi molto tardi. Perché Berrettini sarà pure un’eccezione, ma molto spesso l’eccezione finisce per confermare la regola.