Qualche giorno fa l’Italia del tennis è uscita sconfitta dallo scontro nei quarti di finale della Coppa Davis contro la Francia capitanata da Yannick Noah. La selezione azzurra ha lasciato Genova, il teatro di questa grande classica del tennis europeo, con grande rammarico; alla vigilia, infatti, i transalpini sembravano tutt’altro che imbattibili, complici anche le numerose assenze e defezioni che avevano decimato le fila dei galletti, privi dei loro tre uomini di maggior esperienza, Gael Monfils, Jo-Wilfried Tsonga e Richard Gasquet. Gli italiani, dal canto loro, non hanno sicuramente fornito una prestazione indimenticabile, le sconfitte di Seppi e Fognini contro Lucas Pouille, inframezzate dalla giornata storta della coppia di doppio azzurra, hanno sancito un risultato netto e meritato in favore dei francesi.
I tifosi, i giornalisti e gli appassionati italiani non hanno risparmiato le critiche nei confronti di una Nazionale apparsa scarica e poco convinta, ma, come (purtroppo) accade da diversi anni, si sono concentrati con particolare malignità e notevole spietatezza sull’uomo simbolo del tennis tricolore, Fabio Fognini, reo, a loro giudizio, di aver consegnato la qualificazione per la semifinale agli avversari della Francia. Quello che però sembra essere sfuggito ai tanti commentatori che si sono lasciati andare ad analisi più o meno condivisibili della sconfitta azzurra e delle sue cause, è che lo scontro in programma sui campi in terra battuta di Genova non prevedeva la resa dei conti tra Fabio Fognini e la Francia, bensì tra Italia e Francia. Questa percezione distorta della realtà è lo specchio dell’attuale situazione del movimento tennistico italiano, un movimento che non riesce più a generare un campione di primo livello da diversi decenni e che finisce per aggrapparsi all’unico buon giocatore presente sul panorama nazionale, chiedendogli uno sforzo che va al di là delle possibilità e delle capacità di qualsiasi tennista.
“Vincere da solo” in una competizione a squadre suona abbastanza ridicolo, oltre che paradossale, tuttavia è proprio questo che gli appassionati italiani continuano a pretendere da Fabio Fognini, non rendendosi conto di che insormontabile ostacolo gli stiano ponendo di fronte. Il ligure, dal canto suo, in questi anni si è più volte calato nel ruolo di salvatore della patria e ha fornito prestazioni straordinarie, come quella contro Murray a Napoli, ma queste imprese, anziché far riflettere sulle difficoltà del movimento tennistico azzurro e sull’assenza di nuovi talenti, hanno fatto aumentare esponenzialmente le responsabilità di Fabio, al quale, sia in campo che fuori, non viene perdonato praticamente nulla.
D’altronde, si sa, Fognini è un personaggio divisivo, capace di generare amore incondizionato o odio profondo e ingiustificato nei cuori dei tifosi a seconda delle occasioni e dei risultati. Il suo carattere irrequieto, il suo essere genuino, ma a volte irrispettoso, e la sua estrema sincerità lo espongono ad ogni tipo di critica e giudizio, che molto spesso finiscono per concentrarsi più sul lato personale che su quello strettamente tennistico. A Fognini viene rimproverato, spesso a ragione, di non riuscire ad esprimere al massimo tutto il suo talento e di buttare via partite contro avversari più che alla portata, quello che però deve essere ben chiaro è che Fabio è il primo a rendersi conto delle sue potenzialità e dei suoi limiti e, come ogni atleta professionista e come ogni agonista, odia la sconfitta e tenta tutti i giorni di migliorarsi attraverso il lavoro e l’allenamento. Da qui a chiedergli di portare l’Italia alla vittoria della Coppa Davis da solo ce ne passa; oltre che utopica, sarebbe una richiesta ipocrita, quasi a non voler riconoscere i traguardi che, nella mediocrità generale, Fabio è riuscito a raggiungere in questi anni (dalla top 20 fino alla vittoria del titolo degli Australian Open con Simone Bolelli).
Detto questo, come è possibile che, a giudizio di molti, Fognini sia il problema, se non la “vergogna”, del tennis italiano? Questa è una domanda a cui, francamente, non vedo la necessità di rispondere, infatti, oltre ad essere tendenziosa e irrispettosa, è, soprattutto, falsa; se in questi anni il tennis italiano non è sprofondato nell’oblio è in gran parte merito di Fabio Fognini, unico giocatore avvicinabile, per talento, colpi e numeri, ad una leggenda come Adriano Panatta, vincitore, lui sì, della Coppa Davis. Nemmeno Panatta, però, è bene ricordare, vinse la Davis da solo, a circondarlo c’era una squadra di grandi giocatori (tutti stabilmente tra i primi 30 giocatori del mondo) che diede un apporto decisivo, proprio ciò che manca ora a Fabio e all’Italia.
Paradigmatico, da questo punto di vista, è ciò che è successo all’inizio di questa settimana nell’ATP 250 di Marrakech; in un torneo obiettivamente di basso livello, su cinque italiani in tabellone, quattro sono usciti al primo turno e uno al secondo, confermando la triste crisi che sta affliggendo il tennis italiano da ormai troppo tempo. Nonostante ciò, anziché interrogarsi sulle cause del declino e del fallimento del movimento tennistico nazionale, appassionati ed esperti continuano a sommergere di critiche e, a volte, di insulti l’unico buon giocatore che il sistema italiano è riuscito a far emergere, perdendo così di vista il vero obiettivo e l’autentico fine a cui si dovrebbe mirare: la rinascita del tennis azzurro.
Questa rinascita, per diversi motivi, sembra ancora lontana; al di là della mancanza oggettiva di un ricambio generazionale all’altezza, non c’è traccia di un progetto di sviluppo coerente e ben definito per il futuro da parte della Federazione, immobile e intenta a crogiolarsi nei continui successi degli Internazionali d’Italia, unico appuntamento di primo piano rimasto nel Belpaese. In questo scenario desolante, a farne le spese sono soprattutto due figure: da una parte il tennis italiano in generale che, per rilanciarsi, ha urgente bisogno di misure precise ed efficaci, oltre che dell’avvento di un top player di livello internazionale, dall’altra proprio Fabio Fognini, vittima incolpevole e capro espiatorio di un sistema marcio che non può più permettersi di andare avanti per semplice inerzia.
Dunque, per rispondere al quesito affrontato qualche riga più su, Fognini non è assolutamente la “vergogna” del tennis italiano, la vera vergogna, se vogliamo continuare ad usare una parola così forte, è criticare senza sosta il giocatore più talentuoso che il panorama nazionale può attualmente vantare e non riconoscere le colpe di una Federazione sempre più povera di lungimiranza e di programmazione. Sarebbe bello che il grande pubblico mostrasse più rispetto e più riconoscenza per Fabio Fognini; in una situazione così precaria e particolare non ci ha mai fatto mancare emozioni, gioie e delusioni, dando speranza ad un movimento altrimenti sterile e depresso. Fabio non è il miglior giocatore italiano di sempre, ma è il miglior giocatore possibile al momento e dovremmo esserne fieri.