Una delle responsabilità più grandi che un allenatore possa avere è quella di allenare forse il miglior tennista a livello maschile mai esistito, Roger Federer. Negli ultimi anni, Ivan Ljubicic ha scoperto cosa si prova e in quest’intervista ha rilasciato dichiarazioni molto interessanti.
“Penso che chiunque voglia entrare nel mondo del tennis debba essere disposto a viaggiare. Lo sport è così, non si può star fissi in un luogo. La differenza (da allenatore) è che adesso quando sto a casa non devo allenare o far altro. Passo il mio tempo con mia moglie e i miei figli.”
“Quando inizi ad allenare un giocatore a partire da metà stagione, come mi è capitato con Milos Raonic, non puoi dire ‘Voglio cambiare tutto perché io facevo così’. Non penso funzioni così: per essere un allenatore ad alti livelli bisogna ascoltare molto, bisogna capire il giocatore in modo da aiutarlo. Ricordo che quando ero ancora un giocatore chiesi a Paul Annacone cosa si sentisse ad allenare. Ero curioso. Mi disse che la cosa più importante era ascoltare, studiare e guardarsi sempre attorno non sapendo che tipo di informazioni potessero essere utili. Per questo io con i miei giocatori non parlo molto, e se dico qualcosa devo esserne pienamente convinto.”
Gli è stato chiesto quali siano le differenze principali tra allenare e giocare, e questa è stata la sua risposta:
“La differenza tra allenare e giocare è che il giocatore è il capo. Il giocatore deve essere solido mentalmente perché in campo è lui che prende le decisioni. Da allenatori, bisogna mettere da parte il proprio ego, assicurarsi che il giocatore faccia tutto il possibile per competere al massimo livello e che sia una persona migliore.”
“L’impatto con i giocatori non avviene subito, infatti quando ho iniziato a lavorare con Milos e Roger non pensavo potesse durare a lungo. Quella è la parte complicata. Inoltre bisogna avere anche fortuna all’inizio, i risultati sono necessari affinché il giocatore acquisti fiducia, altrimenti nasceranno i problemi. Le emozioni che prova un allenatore sono come quelle di un giocatore ma ad una intensità minore. È la cosa più simile al gioco vero e proprio e ne amo l’adrenalina. Le emozioni sono forti ma non sono paragonabili a quelle di quando ero giocatore. “
“Il ruolo più complicato dell’allenatore è quello di non superare un certo limite, sapere quando non parlare e quando dire qualcosa. L’allenatore non può essere egoista, non funziona così. A volte è meglio lasciar sbagliare il giocatore piuttosto che fargli fare qualcosa che non pensa. Il coach, per la maggior parte del tempo, deve aspettare e osservare, è il giocatore quello che agisce, è sempre lui che vince le partite. Sono loro che dirigono lo spettacolo.”
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