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Janowicz, chi era costui?

Mi ero completamente dimenticato di Jerzy Janowicz. Il fatto che sia bastato un 2016 fuori dai giochi (per infortunio) per farmelo dimenticare qualcosa vorrà pur dire. Ma adesso che mi ritorna in mente sono quasi dispiaciuto, perchè di cose da dire il gigante polacco ne ha avute e ne aveva sicuramente ancora in serbo.

UN TRISTE RITORNO ALLE CRONACHE – Peccato ricordarmelo per il deprimente episodio al Challenger di Guadalajara: siamo all’inizio del secondo set della semifinale, in cui si affrontano il nostro eroe (Jerzy) e un altro tranquillone del circuito, Denis Shapovalov, che poche settimane fa ha sparato a più di 100km orari la palla nell’occhio del giudice di sedia durante un paccatissimo accesso d’ira. Nel bel mezzo di un duro scambio, uno spettatore chiama out una palla che out non era, ma confonde Janowicz che perde il punto. A questo punto Jerzy impazzisce gratuitamente e comincia a sbraitare mandando tutti in quel posto, prima il pubblico poi il povero arbitro che ha la malsana idea di cercare di tranquillizzarlo. Offessissimo si siede e minaccia di non proseguire la partita. In qualche modo si torna a giocare e Jerzy si becca un primo warming per la scenata. Perso il punto successivo, perde anche il servizio e ha la buona idea di sparare la palla contro il pubblico, che non la prende troppo bene e fischia sonoramente il polacco, che si becca il primo penalty point. A questo punto va in scena l’atto finale – tragico – del siparietto: a Jerzy si chiude la vena e uno-due si ritrova a sbraitare cose incomprensibili sotto al giudice di sedia. Risultato: game di penalità. Perderà la partita in tre set, dopo essere stato avanti di uno.

DOPO ANNI BUI – Peccato viene da dire. Peccato perchè il – pur quanto triste – siparietto ha fatto più notizia del buon risultato dello scorso mese, con la vittoria del Challenger di Bergamo, che ha chiuso un cerchio con l’altro Challenger vinto a fine scorsa stagione, sempre in terra nostrana, a Genova; queste due ultime vittorie hanno contribuito a saziare un digiuno di titoli che durava già da qualche anno. Pur essendo troppo poco per un giocatore del (potenziale) livello del polacco, sono già qualcosa dopo gli ultimi tre anni a dir poco disastrosi. E tengono fede alle ultime dichiarazioni di Jerzy, che è dovuto tornare per l’ennesima volta a manifestare il proprio amore per il tennis e la volontà di portare avanti una carriera che – di fatto – a molti sembrava già chiusa.

Il 2016 era infatti stato alquanto infelice per Janowicz, che si era dovuto portare dietro per più di 6 mesi un infortunio mal gestito al ginocchio. Il gigante di Lodz ha infatti, come tutti i giganti, un fisico decisamente di cristallo, e facilmente soggetto agli acciacchi cui questo sport crudele sottopone tutti i suoi praticanti (eccetto Uno). La scarsa tenuta fisica ne ha compromesso molti risultati, e pur essendo una costante nella storia sportiva del polacco, può essere considerata fino a un certo punto una scusante.

Prendere per buoni questi risultati sa un po’ di resa a un talento che ormai forse si è arenato nella normalità, ma che poteva fare ben altro come ci aveva lasciato sperare in almeno due occasioni. La prima, un indimenticato percorso a ostacoli a Parigi (Bercy) nel 2012, dove, ancora relativamente giovane e poco conosciuto, arriva in finale dopo aver infilato un listone di quotati (Kohlschreiber, Cilic, Murray, Tisparevic, Simon), salvo poi arrendersi al buon Ferrer. Finale persa ma buon risultato per il giovane Jerzy, confermato anche dal sorrisone ebete sfoggiato durante la premiazione. La semifinale a Wimbledon 2013, persa da Murray per 3-1, sembra la conferma alla consacrazione, arrivando a toccare il numero 14 del mondo. E invece no. Il giocattolo si rompe, il gioco scintillante si spegne, le sfuriate smettono di essere perdonate e scende piano piano nel Purgatorio del tennis e infine nel dimenticatoio. Fra 2014 e 2016 gioca poche partite, spesso le gioca male, e ne perde molte, facendosi battere soprattutto da se stesso.

Janowcz e Ferrer dopo la bella finale a Parigi-Bercy 2012, uno dei momenti più alti della carriera del polacco

HA SENSO SPERARE? – Gli eventi recenti, al di là della sfuriata di cui sopra, forse possono farci sussurrare un flebile “ma”. Ripartire dai Challenger non è impossibile, non è il primo a passarci e non sarà l’ultimo. L’importante è riuscirci, ma le ultime uscite in questi tornei – spesso crudeli – sono di fatto buone, quindi possiamo attaccarci a qualcosa. Speriamo per lui, ma le cose su cui lavorare sono ancora tante, e forse troppe.

Aureliano Fiorini

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