La crisi di Marco Cecchinato: analisi degli alti e bassi nella prima parte di stagione

Il 26enne siciliano è in un periodo di netta flessione: la sconfitta al primo turno del Roland Garros lo ha portato fuori dai primi 40 giocatori del mondo. Uros Vico è il suo nuovo allenatore dopo la separazione da Simone Vagnozzi. Ripercorriamo insieme il suo 2019 fino ad oggi, con la necessità di ritrovare il proprio miglior livello in attesa soprattutto della terra battuta in estate.

Con la sconfitta al primo turno del Roland Garros, sommata a quelle rimediate tra il Queen’s e Eastbourne, Marco Cecchinato si ritrova ora al numero 41 della classifica Atp. Una posizione figlia delle enormi difficoltà cominciate dopo il successo a Buenos Aires. Difficoltà fisiche in primis, con l’influenza che dopo Monte-Carlo gli ha impedito di difendere il titolo a Budapest. Ma anche e soprattutto mentali, culminate con la recentissima separazione dallo storico coach Simone Vagnozzi.

I PROBLEMI DI CECCHINATO Tutto è cominciato dopo il successo di Buenos Aires. Perché se nella capitale argentina il siciliano aveva reagito in maniera superba alla dolorosa sconfitta in rimonta al quinto set, nel primo turno degli Australian Open, quelli della settimana di Baires sono stati gli unici lampi del Cecchinato visto nel 2018. Una sconfitta bruciante contro Aljaz Bedene nella settimana successiva, a Rio de Janeiro, poi zero vittorie sul cemento americano: sconfitta contro Ramos-Vinolas in quel di Indian Wells e poi resa contro un David Goffin non ancora irresistibile a Miami. E pensare che sul veloce l’ex semifinalista di Parigi stava cominciando ad ingranare, con un ottavo nel Masters 1000 di Shanghai a fine 2018 e poi la semifinale di Doha ad inizio stagione, lottando con coraggio contro Tomas Berdych. Con l’arrivo della stagione su terra, le prospettive sembravano più luminose, ed infatti a Monte-Carlo è arrivato il secondo ottavo in un Masters 1000. Nel Principato però, dopo un’ottima rimonta su Stanislas Wawrinka, la corsa si è fermata contro Guido Pella, in una giornata di malessere generale, derivante anche dall’influenza contratta proprio in quei giorni. Successivamente anche il forfait, da campione in carica, a Budapest. Qui forse i primi tentennamenti, dai punti persi in Ungheria all’avvicinarsi dell’impegno al Foro e la cambiale di Parigi. Nel mezzo la semifinale raggiunta a Monaco, ma anche la sconfitta all’esordio a Madrid. Da Monte-Carlo a Madrid, c’è anche un denominatore comune: sei partite completate, di cui cinque primi set persi molto nettamente, raggiungendo in una sola occasione i quattro game vinti. Problemi riconducibili quindi alla sfera mentale, alla difficoltà nell’approccio ai match, forse all’eccessiva pressione patita prima di scendere in campo. Una sola vittoria in due set, contro Martin Klizan, tre sconfitte e due rimonte. La rimonta è arrivata con difficoltà anche a Roma, contro un Alex De Minaur in grado di creargli molti più problemi del previsto sulla terra battuta: Cecchinato bravo certamente a rimanere nel match, ma incostante come in tutto il resto della stagione. Alti e bassi nei singoli match, non concessi se si vuol rimanere in una zona alta di classifica. Partenze ad handicap e rientri tardivi che costano carissimo quando di fronte ci si trova poi un astro nascente come Christian Garin o un combattente come Diego Schwartzman. Tra Roma e Parigi sappiamo come è andata. La sconfitta contro Philipp Kohlschreiber fa male, ma ci può stare. È quella contro Nicolas Mahut che però lascia il segno. Seconda rimonta consecutiva subita al primo turno di un Major, questa volta quello a lui più congeniale. Una caduta clamorosa, contro un giocatore certamente esperto, ma non più di primo piano, sicuramente non sulla terra battuta. Ma Cecchinato ha perso sé stesso proprio dove si era trovato, dove il tennis italiano lo aveva trovato e riconosciuto. L’amore di Cecchinato e il Roland Garros è l’opposto di quello di Dolcenera di De André. Dall’ansia di aversi di nuovo, di tornare e difendersi su quei campi amati, ha avuto invece, in un giorno, la certezza di perdersi. Perdersi nella peggior maniera possibile, perché dopo i primi due set, Cecchinato ha lasciato che la partita si mettesse su binari per lui senza via d’uscita, col pubblico a spingere il tennista di casa. A farlo volare, fino poi al terzo turno, mentre l’azzurro sembrava sprofondare. Fallendo proprio in ciò che meglio gli era riuscito lo scorso anno, non controllando più le redini del proprio destino.

 

Marco Cecchinato, Roland Garros 2019, Simple Messieurs, 1er Tour, Photo : Nicolas Gouhier / FFT

IL TENNIS NON INCIDE – Ora siamo sull’erba, e Cecchinato, sfortunato anche nei sorteggi, ha abbandonato al primo turno sia al Queen’s e ad Eastbourne. La semifinale raggiunta lo scorso anno nello stesso Atp 250, sembra lontanissima. Ma Milos Raonic e Hurbert Hurkacz ora gli sono nettamente superiori. Nel frattempo, dopo il crollo del Roland Garros, il 26enne ha abbandonato anche il coach storico, Simone Vagnozzi. Quella pressione a cui non ha retto, infatti, che gli ha tolto lucidità e fiducia, si rilegge anche tra le righe del post in cui ringrazia l’amico e allenatore. Una scelta che Cecchinato riconduce proprio al match contro Mahut, mentre era in campo e forse si accorgeva già di non poter fare più nulla per evitare la sconfitta. Una scelta voluta, che probabilmente l’italiano ha percepito come necessaria, per un cambiamento che lo riportasse sulla strada giusta. Al suo fianco è rimasto ora Uros Vico. E anche se non sappiamo quale strada i due prenderanno per il bene di Cecchinato, ciò che non ha funzionato sul campo, è abbastanza chiaro a tutti. Perché mente e fisico hanno sempre delle evidenti ripercussioni sulla tecnica e la tattica. Nel tennis di “Ceck” infatti ben poche cose hanno dato frutti, nessuna probabilmente con la dovuta costanza. Del servizio in kick velenoso sono rimaste pochissime tracce, e senza fiducia il dritto ha deluso, anche dal lato sinistro. Sull’intermittente rovescio hanno trovato le basi le rimonte del classe 1992. Il topspin col rovescio a una mano si è rivelato però non incisivo come a Buenos Aires sull’incrociato, e molto impreciso sul lungolinea. La scarsa brillantezza fisica poi ha fatto il resto, non garantendogli la possibilità di avvicinarsi con convinzione alla rete come ha dimostrato di poter fare più volte nel 2018.

Vagnozzi e Cecchinato

 

UN PERCORSO NUOVO – Difficile capire fino a che punto il cambio in panchina possa aiutarlo. Sicuramente il suo gioco non può essere rivoluzionato, ma può almeno ritrovare la fiducia. Vico è da tempo già nel team di Cecchinato ed è una scelta che ha i suoi pro e i suoi contro. Da una parte, è una voce familiare, per un cambiamento che in tal modo non è radicale. I riferimenti rimangono gli stessi, ma forse proprio per questo la collaborazione è certa solo sino a novembre. Una voce familiare, infatti, è pur sempre una voce già sentita, e Cecchinato vuole e deve darsi tempo per capire se non ha bisogno effettivamente di una voce diversa. Purtroppo per lui ora si ritrova al numero 41 del ranking mondiale, con alle porte un Wimbledon che difficilmente potrà restituirgli lo smalto. Una reale verifica potrà essere la stagione su terra in estate, dove difenderà anche il successo di Umago. Anche per i più ottimisti la fiducia però è poca, e ad oggi Cecchinato non sembra pronto ad una nuova verifica. La speranza è che ci sia la consapevolezza di aver bisogno di tempo, ma di poter ancora dare il meglio di sé. Pazienza, consapevolezza e umiltà, un percorso che solo può coinvolgere giocatori maturi. Capaci di comprendere che la risalita non può essere uguale all’ascesa dello scorso anno, perché c’è un purgatorio da attraversare. Ci sono delle ferite da curare che cambiano ogni uomo.

 

Cecchinato e Uros Vico
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