L’erba di Murray

Tra il n. 1 Djokovic e il n. 2 Murray in classifica c'è un abisso. Ma il duello è iniziato da tempo e l'erba potrebbe segnare un punto per lo scozzese.

Andy Murray è probabilmente l’uomo più sereno nel circuito ATP.
Sa bene qual è la sua missione, ma è talmente complessa che nessuna pressione può essergli caricata sulle spalle. Riprendere il fuggitivo, quel serbo che risponde al nome di Novak Djokovic che si gode il primato, in vetta, col doppio dei punti del n. 2, Andy per l’appunto. Proprio per questo lo scozzese sa di poter pensare con calma le prossime mosse, attendere il suo avversario al fisiologico varco del primo calo, dei primi punti non difesi, per iniziare una lenta rincorsa, continua e magari coronata, alla fine del prossimo anno da un fantastico sorpasso.

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Da dove iniziare a scrivere quello che sembra un libro dei sogni? Da Wimbledon e dai tornei sull’erba.
Murray ha dimostrato di essere particolarmente a suo agio sui prati: veloce di piedi, servizio in grado di offrire variazioni affidabili, ottima mano a rete. Anzi, proprio la rete potrebbe essere la chiave di volta del suo gioco, accorciando gli scambi e chiudendo di volo, lo scozzese potrebbe risparmiare energie preziose se il serbo dovesse presentarsi a Wimbledon con la stessa condizione sfoderata nella finale di Parigi.

Murray ha però ancora qualche tassello da sistemare. La scelta di Jamie Delgado come coach per rimpiazzare Amelie Mauresmo è evidentemente da ripensare. Delgado, buon doppista e raro frequentatore del circuito ATP anche da singolarista, si presenta più come uno sparring partner d’esperienza e poco come un motivatore adatto a tenere alta la tensione per un giocatore così nervoso come Murray, così legato al rapporto anche conflittuale con la panchina, molla e pungiball indispensabile per gestire l’adrenalina. Servirà un coach in grado di dare un’ulteriore spinta verso elementi di programmazione e tattica che portino Murray verso l’ultima parte della sua carriera, quella dove Andy è chiamato all’acuto definitivo. Scrollatosi di dossi l’incubo della “vittoria britannica a Wimbledon”, portata a casa una medaglia d’oro che pesava come piombo se fosse finita in mani non albioniche, ora può serenamente, a cuor leggero, giocare da outsider di lusso, lasciando al serbo tutto il peso del posto da leader e del Grande Slam da completare.

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